Il recente fallimento del primo corporate bond cinese, ovvero quello della Shangai Chaori Solar Energy Science & Tecnology, azienda specializzata nella produzione di pannelli solari, ha riacceso i riflettori sul mercato delle obbligazioni societarie di tale paese. Un fatto che seppur non rappresenti la prima azienda del dragone ad alzare bandiera bianca, in quanto era già fallita nel marzo dello scorso anno un altro gigante cinese del fotovoltaico, la Suntech Power, mostra però una netta differenza. Chaori Solar è il primo default nella storia della Cina, ovvero da quando il governo ha avviato la contrattazione pubblica dei titoli di debito nel 1997 e rispetto Suntech Power, ufficialmente finita insolvente negli USA, ha creato il primo e fragoroso precedente in cui lo Stato o le banche non sono intervenute per un salvataggio.
AUTORITA’ CINESI
Chaori Solar aveva già rischiato la bancarotta nel gennaio 2013, però il governo distrettuale di Shanghai aveva persuaso le banche a rimandare le richieste di saldo dei debiti scaduti ma ora, lasciando l’azienda al suo destino, le autorità cinesi hanno evidenziato un importante svolta. Lo stesso premier Li Keqiang ha ammesso per la prima volta che alcuni default di società private “sono inevitabili”, escludendo così interventi generalizzati di salvataggio da parte del governo ed evidenziando una nuova disciplina di mercato volta al ridimensionamento dell’azzardo morale cresciuto a dismisura a partire dal 2009. Non bisogna infatti dimenticare che la Cina ha pesato, negli ultimi cinque anni, per metà dei 30 trilioni di dollari di aumento del debito a livello globale ed una tale espansione, avvenuta sia nei canali creditizi ufficiali ma ancor più in quelli comunemente definiti dello “shadow banking system” ovvero del “sistema bancario ombra” e non direttamente controllato e supervisionato dalla PBoC (People’s Bank of China), ha generato indubbiamente degli azzardi. Rischi eccessivi cresciuti all’ombra di un’implicita sicurezza basata sull’ipotesi di sostegno incondizionato del governo.
SOCIETA’ A RISCHIO
Dall’inizio della crisi 2008-09, le più grandi imprese cinesi hanno avuto facile accesso al credito, alimentando così alti livelli negli investimenti, nonostante un calo della redditività, fino a raggiungere quella che per molti analisti sembra ormai essere una vera e propria sbornia. L’indebitamento delle aziende cinesi ha infatti raggiunto in questi anni il 150% nel rapporto debito/PIL, ovvero i 2/3 di un debito complessivo tra privato e pubblico stimato al 226% del prodotto nazionale. Ed ora, con il rallentamento della economia, devono affrontare una sfida non facile e per la quale il governo non appare più disposto ad accollarsi gli oneri. Il settore delle imprese è perciò sempre più sotto pressione, sia a causa dei margini di profitto in diminuzione ed ormai scesi dal 17% del 2010 ad un valore attualmente inferiore al 14% e sia per gli sforzi del governo volti a frenare la crescita del credito. Tra le varie società, quelle legate ai materiali di costruzione, del carbone, dei trasporti ed in genere dei metalli e del settore minerario sono particolarmente esposte, non a caso il Financial Times di venerdì scorso, segnalava la Haixin Stell, importante azienda dell’industria dell’acciaio, come un’altro possibile “focolaio” di crisi. In ogni modo la percentuale di perdita nelle imprese industriali è in aumento e a novembre 2013 colpiva il 13,7 % delle società, con un aumento significativo rispetto al minimo del 9,4% di fine 2011.
ECONOMIA IN FRENATA
Un numero crescente di indicatori mostrano un rallentamento nell’attività economica cinese dall’inizio del 2014 e come evidente dalla tabella vi è una diminuzione al 8,6% ed al 11,8% nell’aumento su base annua della produzione industriale e delle vendite al dettaglio nel mese di gennaio – febbraio nonché la crescita degli investimenti in capitale fisso ha seguito un andamento simile, scivolando al 17,9 % su base annua dal 18,2 % del quarto trimestre 2013. Tutti elementi che pesano sull’obiettivo pianificato di crescita del +7,5% per il 2014 e che già vari analisti iniziano a rivedere al ribasso rispetto ai piani di stato comunicati dal premier al Congresso Nazionale del Popolo. Non ultimo è anche il recente dato shock sull’export cinese in febbraio, un -18% contro attese del +7,5%, una contrazione che ha causato il crollo del prezzo del ferro nonché la discesa del rame di settimana scorsa, oltre alla caduta del’indice azionario Shangai Composite in area 2000 punti (-5,27% da inizio anno). In questo contesto, il calo dei prezzi dei metalli industriali riflettono indubbiamente le preoccupazioni circa le prospettive di crescita. E’ però da evidenziare che la discesa del rame non deriva solo dai timori sulla crescita cinese ma anche dalla percezione di crescente rischio di insolvenza nel settore corporate a causa di un’elevata leva finanziaria ed in cui il rame è anche usato come garanzia nel finanziamento delle imprese cinesi.