Una “uscita ordinata” dall’euro darebbe all’Italia “benefici in termini di miglioramento della competitività, crescita economica e finanza pubblica”.
E’ quanto scrivono due analisti di Bank of America Merrill Lynch in uno studio riportato dalla Bloomberg secondo cui il nostro nostro Paese, avrebbe maggiori incentivi a lasciare l’eurozona rispetto alla Grecia mentre i danni maggiori arriverebbero alla Germania.
L’analisi rileva come ” la Germania potrebbe ‘corrompere’ l’Italia a rimanere nella zona euro ed evitare le conseguenze di una uscita. Questo perché l’Italia ha più motivi rispetto alla Grecia di uscire e ogni compensazione potrebbe divenire troppo costosa per la Germania oltre al fatto che gli italiani possano essere più riluttanti dei greci ad accettare le condizioni per rimanere”.
“Gli investitori stanno sottovalutando l’ipotesi di un’uscita volontaria di uno o più Paesi”, scrivono i due esperti che sottolineano come “le analisi portano ad alcuni risultati che anche i lettori che non le condividono probabilmente le troveranno interessanti”. Insomma, chi ci rimetterebbe di più ovviamente sarebbe la Germania e guarda caso l’Italia in teoria avrebbe tutto da guadagnarci. A metà Giugno se ne era uscito un sorprendente Der Spiegel con l’analisi di Wolfgang Munchau sottolineando come l’ Italia, uscendo dall’euro, non sarebbe in grado di onorare il suo debito estero visto che il nostro deficit resterebbe relativamente basso. Ciò, di fatto, renderebbe l’Italia sufficientemente indipendente dalle economie oltreconfine. A detta di Spiegel con l’uscita dall’euro e il taglio del debito, la crisi italiana si interromperebbe bruscamente, ma renderebbe palese una crisi tedesca appena iniziata.
Ma torniamo agli analisti americani…
“Gli investitori sottovalutano la possibilità che uno o più paesi si ritiri dall’Unione monetaria europea. La nostra analisi prevede una serie di risultati imprevisti che potrebbe interessare anche coloro che sono in disaccordo con le nostre conclusioni”, dicono gli autori dello studio. Secondo BofA Merrill Lynch, un ritorno alla lira permetterebbe all’Italia di migliorare i suoi indicatori economici, di rafforzare la competitività della sua produzione e di ottimizzare la sua bilancia dei pagamenti. Gli esperti hanno valutato l’impatto di una uscita dalla zona euro sulla crescita economica del paese, sul rendimento delle sue obbligazioni, sulla competitività e sulla bilancia dei pagamenti. Quanto maggiore è l’indice ottenuto, tanto più è difficile per un paese abbandonare la moneta unica europea. E viceversa.
Il più alto indice è stato assegnato alla Germania: 8,5 punti. Gli esperti ritengono che questo paese sia il meno interessato a lasciare l’euro, in quanto ciò potrebbe rallentare lo sviluppo economico e aumentare la spesa di Berlino per il servizio del suo debito. Gli indici più bassi (3,5 punti) caratterizzano l’Italia e l’Irlanda. L’indice della Grecia è di 5,3 punti. Vediamo l’analisi.
1- Per accusare il colpo di una uscita dall’area euro, che limita l’accesso ai mercati dei capitali, è necessario avere disavanzi pubblici limitati e surplus delle partite correnti. Senza alcuna sorpresa, la Germania si trova nella posizione migliore per affrontare questa sfida, davanti ad Austria, Paesi Bassi, e Italia. La Francia è al nono posto con l’Irlanda. Maglia nera alla Grecia e alla Spagna.
2- L’impatto sulla crescita dipenderebbe dal livello della moneta nazionale, dopo l’abbandono dell’euro e il suo effetto sul volume delle esportazioni. Considerata l’incidenza delle esportazioni sul PIL, l’Irlanda sarebbe la prima a trarne vantaggio. La banca americana stima un incremento del 7% del PIL. L’Italia si colloca al secondo posto con una crescita del PIL del 3%. Al contrario, la Germania accuserebbe il maggiore calo (- 7%) a causa dell’impennata del marco.
3- Dopo la rottura dell’area dell’euro, i rendimenti sui titoli a 10 anni scenderebbero nei paesi periferici, con il ritorno alla sovranità monetaria, che elimina il rischio di default. Risultato: gli oneri finanziari diminuirebbero di 2200 punti in Grecia, 590 in Portogallo e di 400 in Irlanda. I tassi tedeschi salirebbero di 80 punti, perché il “bund” non svolgerebbe più il suo ruolo di rifugio. Ciò consentirebbe ai paesi periferici notevoli risparmi, stimati al 37,7% del PIL per la Grecia.
4- In caso di uscita dalla zona euro, l’indebitamento privato (famiglie, imprese) o pubblico (Stato) per quanto riguarda i rapporti esterni, dovrebbe essere denominato in valuta locale e non convertito. In caso di svalutazione monetaria, il debito diventerebbe più “leggero” per lo Stato indebitato e sarebbe il creditore a perderci. In caso di apprezzamento, il debito verrebbe svalutato di conseguenza e la Germania sarebbe il primo perdente. Effetto esattamente opposto nel caso dell’Irlanda, dove il debito estero rappresenta 17 volte il PIL, seguita dal Belgio (quattro volte il PIL). Conclusione: Italia e Irlanda hanno più interesse a lasciare la zona euro e ad adottare una propria valuta.
Al contrario, i paesi che hanno più da perdere sarebbero proprio Germania, Austria e Finlandia. Tra i paesi periferici, la Spagna avrebbe meno da guadagnare in caso di un collasso della zona euro, rispetto ai cugini del sud europeo Ma diamo un’occhiata anche al gioco delle ipotesi…
Quale dovrebbe essere la contropartita che la Germania dovrebbe pagare al nostro paese perché per noi ci sia convenienza a restare nell’euro? Sarebbe disposta la Germania a pagare un prezzo per tenere nell’euro l’Italia come ha fatto sinora per Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, capitali che in realtà non hanno fatto altro che tornare nei bilanci delle banche tedesche.
La risposta secondo gli analisti di BOFA è si anche se la strategia non darebbe risultati certi e stabili La sintesi, la realtà è che l’Italia ha più incentivi della Grecia ad uscire dall’euro e la Germania meno a mantenerla nell’euro per i costi connessi e che quindi l’Italia dovrebbe essere pragamaticamente più riluttante della Grecia e di altri paesi ad accettare ulteriori sacrifici per rimanere con gravi ripercussioni negative sui mercati nei mesi a venire.
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