Ubs in un report dedicato ai metalli preziosi sottolinea che le banche centrali hanno comprato 651,5 tonnellate d’oro lo scorso anno, il livello più elevato dalla fine di Bretton Woods e dalla sospensione della convertibilità del dollaro in oro del 1971. I maggiori acquirenti sono stati la Russia (274,3 tonnellate), la Turchia (51,5 tonnellate), il Kazakhstan (50,6 tonnellate). “Mentre queste tre banche centrali hanno rappresentato il 94% di tutti gli acquisti del 2017, il loro peso nel 2018 è sceso al 58%. Acquirenti che erano scomparsi da molti anni sono riemersi, come l’India (40,5 tonnellate), Ungheria (28,4 tonnellate) e Polonia (25,7 tonnellate). Dopo un’assenza di oltre due anni la Cina ha ricominciato gli acquisti nel dicembre 2018 e ha continuato nel 2019”.
Secondo Ubs il tema degli acquisti delle banche centrali continuerà anche nel 2019. Le Banche Centrali come investitori a medio-lungo termine hanno infatti un’affinità con gli asset reali e possono tollerare la volatilità. Inoltre le banche centrali apprezzano dell’oro l’assenza di rischio di credito e il suo ruolo di copertura sull’inflazione. Detto questo “Gli acquisti delle banche centrali, nonostante siano di aiuto, non sono sufficienti a dare una spinta al prezzo dell’oro. I maggiori driver rimangono il dollaro Usa debole, il tasso di interesse reale Usa, i rischi politici e la volatilità dei mercati equity. La combinazione di tutti questi fattori dovrebbe far salire il prezzo”, dice il report di Ubs. In particolare Ubs prevede a 12 mesi il prezzo dell’oro a 1.350 dollari l’oncia rispetto agli attuali 1.311 dollari l’oncia.
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