L’ANALISI: Draghi apre al Quantitative Easing ed alla monetizzazione del debito
Il rally dei bonds PIIGS è prossimo al termine e con rischi eccessivi sulle scadenze lunghe
Nell’estate del 2012, Mario Draghi arrestò il crollo dei bond periferici con la forza delle parole e la minaccia/promessa di un “bazooka” rivolto contro coloro che volevano affossare l’euro ed innescò una modifica sostanziale nel sentiment degli operatori, prima latente e poi crescente nel tempo a favore dei titoli di Stato dei paesi periferici. Un cambio di paradigma che ormai ed ancor più dall’inizio del 2014 ha portato i paesi più critici dell’euro-zona ad essere, in termini di performance, gli indiscussi vincitori del primo trimestre 2014 e ciò anche grazie alle ultime esternazioni del capo della BCE e della Bundesbank, in merito alla possibilità di avviare un stampa di moneta per l’acquisto di bond europei (QE).
IL GRANDE RALLY
I bond dei PIIGS hanno ormai raggiunto tassi inimmaginabili soli 18 mesi fa, con i “solidissimi” bond greci a 10 anni che rendono il 6,16%, ovvero oltre due punti e mezzo in meno di quelli russi o i “pregevolissimi” bond portoghesi, con tassi sul decennale al 3,86% e che rendono meno di quelli australiani fermi al 4,15%, nonostante un debito/pil portoghese al 124,1% rispetto al 20,70% dell’Australia. E poi che dire della tigre celtica, ovvero dell’Irlanda, che ha raggiunto tassi al 2,92% e similari alla virtuosa e solida Norvegia con bond al 2,85% ma il meglio arriva dalla “produttiva” Italia che con un pil a -0,9% batte l’operosa Corea del Sud, il cui pil è al 3,7% annuo, grazie a tassi sul decennale ormai in area 3,24% rispetto al 3,56% dei coreani ed infine la Spagna, con una disoccupazione giovanile record, gareggia con gli Stati Uniti di Barack Obama, in quanto ha già raggiunto il medesimo rendimento sulle obbligazioni a 5 anni ed è ormai ad una manciata di decimi di punto sul decennale USA, essendo i bonos spagnoli al 3,15% rispetto al 2,8% dei treasury americani.
RITORNO ALLA REALTA’
Che dire, i famigerati PIIGS sembrano essere diventati il miglior posto dove investire e se non mancasse il bianco coniglio parlante di Alice, potremmo dire di essere nel paese delle meraviglie, in quanto di cappellai matti vi è una certa in abbondanza, essendo sempre maggiore il numero di piccoli risparmiatori disposti a strapagare titoli lunghi o lunghissimi (oltre i 20-30 anni), pur di ambire a tassi lordi annui attorno o di poco superiori al 4%. Signori sveglia, è ora di portare a casa le plusvalenze eventualmente maturate sui prezzi ed attendere una salutare discesa dei prezzi e senza una eccessiva fretta di rientrare, in quanto e nonostante il paventato (solo a parole) potenziale QE in salsa europea è innegabile che gli attuali prezzi scontano già tali scenari fiabeschi pro PIIGS e pro banche.
SCENARI GIA’ PREZZATI
Non bisogna scordarsi che gli USA dopo migliaia di miliardi di dollari stampati dalla FED e veicolati anche nell’acquisto delle obbligazioni americane è riuscita per ora a non far salire i tassi decennali statunitensi oltre il 3% e se oggi l’Italia e gli altri paesi periferici sono ormai prossimi a tali rendimenti è forse il caso di comprendere che tale euforia sconta già scenari in cui la BCE sperimenti azioni di stimoli con analoga portata ma se ciò accadesse realmente e quindi dalle parole si passasse ai fatti, sarebbe una scommessa non più vincente per coloro che entrano ora, essendo per buona o totale parte già incorporata nei prezzi e quindi per comprimere ancora i rendimenti e far proseguire il rally dei prezzi obbligazionari di BTP & co., Draghi più che attivare il famigerato bazooka dovrebbe utilizzare un cannone, mentre se ciò non avvenisse ne vedremo delle belle.
SCOMMESSE ALL’INCASSO
Se ciò non accadesse o non fosse azionata una potenza di fuoco ritenuta adeguata per gli operatori finanziari, non sarà difficile portare sotto pressione, più o meno volutamente, i governativi periferici dell’euro-zona, in quanto di scuse pronte ad essere utilizzate a tale scopo ve ne sono in abbondanza, a partire dall’ancora in essere crisi Ucraina, fino alle prossime elezioni europee di maggio o ai futuri stress test della BCE sul sistema bancario europeo ecc. E poi, seppur a mal pensare, saranno probabilmente gli stessi grandi “investitori-scommettitori” a voler costringere la BCE ad agire e questo per poter lasciare il tavolo ed incassare le fiches puntate in modo crescente sui bond europei, a partite dalle ormai famose parole di Draghi “whatever it takes”, pronunciate nel luglio del 2012.
E’ perciò molto probabile che qualcosa sarà realmente fatto dalla banca centrale europea, essendo il premio al rischio non più sostenibile a lungo dagli operatori finanziari. C’è sempre più consapevolezza del fatto che non è rimasto molto differenziale da stringere tra i rendimenti dei diversi paesi sviluppati. Ed a meno che non si creda alle favole e si ritenga che il Portogallo, la Grecia, l’Italia, l’Irlanda e la Spagna possano diventare in brevissimo tempo come la Norvegia, la Germania, gli USA ecc. è il caso di tornare alla realtà e con i piedi per terra. Lo spassionato consiglio è perciò quello di non farsi “abbindolare” dai recenti annunci della BCE o dalle pseudo aperture della Bundesbank, in quanto più rivolte a coloro che hanno sostenuto il gioco fino ad ora piuttosto che ai piccoli risparmiatori desiderosi di buttarsi oggi in acquisti su titoli a medio – lunga o peggio ancora lunghissima scadenza. E’ invece l’ora di monetizzare le eventuali plusvalenze e di stare alla finestra in attesa occasioni e prezzi migliori.
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SPREAD E BANCHE TRASCINANO IL MERCATO
Il 4 novembre scorso, con l’articolo dal titolo “Sulla cresta dell’onda i mercati periferici dell’euro-zona”, si analizzava il deciso e corale rally apparso nel mese di ottobre nei paesi PIIGS e che mostrava una crescita anche a doppia cifra per alcuni mercati azionari periferici. Un movimento sospetto, la cui principale causa derivava da importanti afflussi di capitali esteri su tali mercati. Movimenti che a distanza di tempo ed in particolar modo per l’Italia, sappiamo oggi provenire prevalentemente da operatori finanziari quali ad esempio BlackRock, il più grande asset manager al mondo, il quale ha rastrellato quote crescenti di azioni italiane ed in particolar modo nel settore bancario ed è oggi tra i primi azionisti in istituti come Unicredit, Intesa, Banco Popolare, MPS nonché da parte di altri player finanziari internazionali statunitensi, britannici, svizzeri ecc. anch’essi acquirenti di azioni bancarie, senza poi escludere le recenti comunicazioni alla Consob di quote azionari al 2% in Enel ed Eni da parte di People Bank of China. Un flusso di denaro che secondo l’analisi elaborata da Intermonte Sim, sugli ultimi 6 mesi di comunicati d’acquisto di partecipazioni rilevanti svolte da investitori istituzionali esteri, sarebbero attualmente valutati in oltre 8,7 miliardi di euro, una cifra ragguardevole e superiore al 3% della capitalizzazione di borsa. E questo non solo confermerebbe quanto espresso allora sull’immensa liquidità circolante nel sistema ed in cerca di qualsiasi asset potenzialmente sottovalutato rispetto a mercati più maturi come S&P500, DAX ecc. ma con il senno del poi ed in relazione alle recenti aperture di BCE e Bundesbank ad un QE europeo, spiegherebbe lo smodato interesse rivolto al settore bancario. Un movimento di capitale che ha portato l’Italia e tutti i PIIGS a fornire le migliori performance del primo trimestre 2014, a dispetto dei modesti e quasi nulli rendimenti conseguiti dal mercato americano o dai paesi core europei, per non dire fortemente negativi dei BRIC e del Giappone. Il “turbo” italiano è imputabile prevalentemente al peso del settore finanziario sull’indice stesso e dunque questo cosiddetto “hot money”, piovuto copioso e da qualche mese sul nostro mercato (ben prima delle recenti aperture della banca centrale europee al QE), non solo mostra una “strana” relazione tra banche, banchieri centrali ed investimenti temporalmente perfetti da parte di grandi operatori finanziari ma evidenzia come la scommessa sia legata al costante restringimento dello spread BTP-Bund, ovvero del rischio collegato ai titoli di Stato di cui sono piene zeppe le banche nazionali e che come ben noto, sono stati acquistati grazie al prestito LTRO di oltre 250 miliardi di euro ricevuti dalla BCE ed in prossima scadenza (2014-2015). Il grafico elaborato da IntermarketAndMore, nel quale è messo in relazione lo spread e l’andamento inverso dell’indice di borsa italiana è eloquente e perciò quanto oggi il comune risparmiatore osserva semmai sbigottito o ancor peggio lo sprona ad improvvisarsi baldanzoso speculatore, non deve essere fatto alla leggera bensì valutato con molta attenzione in quanto si sta giocando con “squali” ben più grossi e come spesso poi accade alla fine, il pesce grande mangia il pesce piccolo.
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