Svizzera
L’economia della Svizzera sta resistendo meglio del previsto al generale rallentamento europeo e nel 2018 la sua crescita (2.6%) dovrebbe sovraperformare quella dell’Eurozona. Anche se la deflazione è terminata nel 2017, le pressioni inflazionistiche rimangono molto modeste (l’inflazione è intorno all’1% da maggio). Con l’inflazione molto lontana dal target del 2%, la Banca nazionale svizzera (SNB) difficilmente cambierà la sua linea di politica monetaria, certamente non prima della BCE, anche se la propensione ad intervenire sul mercato valutario per frenare l’apprezzamento del CHF (che è diventato il principale strumento di politica monetaria) è nettamente diminuita, essendo il bilancio della Banca Centrale cresciuto a livelli potenzialmente destabilizzanti per l’economia. A partire da maggio, l’appeal del CHF come bene rifugio è tornato evidente, riflettendo il crescente premio per il rischio politico italiano e più di recente l’intensificarsi dei rischi al ribasso per la crescita economica e l’instabilità dei mercati finanziari a livello globale. Manteniamo neutrale la view sul CHF: il rendimento negativo è un notevole deterrente all’investimento nella divisa, ma la minore capacità della Banca Centrale ad intervenire sul mercato per frenarne l’apprezzamento la rende più attraente come bene rifugio all’intensificarsi dell’avversione al rischio.
Norvegia
La crescita dell’economia della Norvegia è in miglioramneto e se il PIL nel 2018 dovrebbe attestarsi attorno al 1.5%, nel 2019 dovrebbe salire sopra il 2%. Nel frattempo l’inflazione ha raggiunto il 3% già a luglio. Con lo scenario macroeconomico in linea con le sue previsioni, la Norges Bank nel meeting di settembre ha alzato i tassi di 0.25 pb a 0.75% precedendo non soltanto la BCE ma anche la Riksbank svedese. La sensibilità della corona norvegese all’andamento dei prezzi del petrolio è stata più bassa del normale negli ultimi mesi, con la valuta mossa maggiormente dalla generale propensione al rischio sui mercati, dall’aumento del rischio politico nell’Eurozona ed in Svezia e dalla retorica della Norges Bank. Manteniamo la view positiva sulla NOK, dal momento che il differenziale di politica monetaria è di supporto e che i mercati prezzano un percorso di rialzi futuri dei tassi molto lento nel 2019 e possono pertanto essere facilmente sorpresi in senso “hawkish” dalla Banca Centrale norvegese. Nel caso di un nuovo brusco calo dei prezzi della materia prima , tuttavia, il rapporto tra i fattori di rischio diventerebbe meno favorevole.
Svezia
Nonostante la crescita dell’economia nel primo semestre sia stata elevata, intorno al 3%, il Pil nel 2018 dovrebbe attestarsi attorno al 2.3%, con l’inflazione che ha finalmente raggiunto il target del 2%. Come conseguenza, il rialzo dei tassi di 25 bp a dicembre non è stata una sorpresa. Il differenziale dei tassi d’interesse svedesi rispetto a quelli dell’area euro e della Norvegia continua a pesare sulla SEK e la sua debolezza riflette probabilmente anche l’elevata esposizione della Svezia all’economia ed al commercio internazionali con il rischio che sorprese negative sui dati macroeconomici inducano la Riksbank ad adottare una retorica più accomodante (come avvenuto nel meeting di settembre). Le elezioni di settembre non hanno determinato un drastico cambio di politica interna, poichè il partito di estrema destra dei Democratici Svedesi non è stato in grado di ottenere una maggioranza significativa e ora che il nuovo Governo è stato formato, il clima politico è tornato sereno. Manteniamo la view neutrale sulla SEK: la debolezza della valuta sembra eccessiva alla luce dei fondamentali macroeconomici e dei differenziali favorevoli di crescita e di politica monetaria, ma la natura più ciclica della valuta la rende più vulnerabile ai rischi al ribasso per la crescita economica mondiale.