Mercati finanziari in fase laterale aspettando ‘Godot’

L’ANALISI: Per molti la Yellen stupirà come Bernanke nel meeting del 2013 ma il rischio è alto

La decisione sui tassi non è affatto scontata ed avrà comunque molteplici ricadute

Aspettando Godot’ è una celebre opera teatrale di Samuel Beckett nonché uno dei testi più noti del teatro del Novecento. Una tragicommedia che deve la sua fortuna ad una apparente e “semplice” trama che potrebbe essere sintetizzata nella storia di “qualcuno che alla fine non arriva mai”. E fin qui nulla di particolarmente stimolante apparirebbe allo spettatore se non fosse una rappresentazione che rientra nel teatro dell’assurdo ed in una astrattezza che quantomeno apre a qualsivoglia interpretazione di ‘Godot’ ed a cui molti hanno voluto accostare Dio, la morte, il destino ecc. nonché il concetto dell’attesa con l’A maiuscola. Un’attesa quasi “messianica” che ormai nel comune dire dell’uomo della strada è spesso utilizzato solo per rappresentare quell’attesa infinita e senza certezza che quotidianamente ognuno sperimenta nei più diversi ambiti della propria vita.

ASPETTANDO ‘GODOT’

Il parallelo dell’attesa di Godot in ambito finanziario appare perciò essere scontato nella settimana in cui il mondo intero o quantomeno quello degli operatori finanziari e dei più comuni risparmiatori-investitori è ormai da tempo in attesa di sapere se ‘Godot’ (inteso come il cambio di politica monetaria) si manifesterà o continuerà a farsi attendere dopo oltre 6 anni di assenza.

A guardare le aspettative di molti economisti e come pubblicato sul Wall Street Journal sembra prevalere l’idea che ciò non accadrà, non fosse altro per gli innumerevoli appelli che da più parti si alzano e che assomigliano sempre più a vere e proprie implorazioni.

Nelle ultime settimane non sono infatti mancate le quasi “suppliche” del FMI o della Banca Mondiale, ovvero le più elevate organizzazioni sovranazionali al mondo. La prima con le dichiarazioni fatte da William Murray portavoce del FMI, in merito alle prossime decisioni della FED ovvero che «il nostro punto di vista generale è che abbiano la flessibilità per sospendere», e la seconda, con l’intervista rilasciata al Financial Times dal capo economista Kaushik Basu della World Bank, nella quale si afferma che un rialzo dei tassi creerebbe «panico e turbolenze», in particolar modo sui mercati emergenti e se gli USA procedessero troppo velocemente nei rialzi «danneggeranno il resto del mondo in modo piuttosto pesante». Per tali policy maker, sarebbe quindi opportuno ponderare con molta attenzione qualsivoglia decisione o addirittura saggio soprassedere per ora al manifestarsi di ‘Godot’.

IL PRECEDENTE

Per chi lo avesse scordato, già nel 2013 assistemmo a qualcosa che, paragonandolo all’attuale contesto, sembra essere per molteplici aspetti la copia carbone di allora. Nella tarda primavera del 2013 (aprile/maggio) il predecessore della Yellen a capo della FED, ovvero Ben Bernanke, innescò una forte turbolenza sui mercati mondiali paventando una futura uscita dal QE (quello che poi verrà conosciuto come ‘tapering’) ed allora come nell’ultimo quadrimestre si assistette ad una volatilità estrema nelle valute mondiali, nonché a crolli importanti nei mercati emergenti, oltre a decisi “sussulti” nei rendimenti delle obbligazioni mondiali. Gli operatori finanziari iniziarono così a prezzare la “paura” di un rallentamento negli acquisti della FED, a seguito del miglioramento dei parametri dichiarati per l’uscita dal QE (poi nel tempo opportunamente abbassati, come ad esempio il livello di disoccupazione). Un pò quello a cui finora si è assistito nella spasmodica valutazione di qualsivoglia dato economico che arrivi dall’altra parte dell’oceano. Allora come oggi e sempre in agosto si verificò un’escalation di tensione in Siria (ricordarsi l’enfasi mediatica sul massacro di civili e bambini e sul reale o presunto utilizzo di armi chimiche, quale prova della “pistola fumante” di Assad) che portava all’evidente contrapposizione tra USA, Inghilterra, Francia, Israele, Arabia Saudita da una parte e Russia, Iran, Cina dall’altra. Uno scenario nuovamente familiare per il quale però non è più il tema delle armi chimiche a scuotere i governi ma quello che viene descritto come l’esodo biblico dei profughi. Un quadro che nel settembre del 2013 veniva discusso sempre in questa rubrica come un “timing perfetto” per un’economia di guerra. Un contesto bellico che allora come oggi avrebbe potuto fornire tempo all’amministrazione USA per risolvere le proprie questioni economiche a scapito del resto del mondo. Allora come oggi vi era infatti l’approssimarsi del limite al tetto del debito USA (debt ceiling), tematica che torna guarda caso di attualità proprio in questi giorni. Allora come ora le turbolenze estive avevano inoltre fatto scendere lo S&P500 con una chiusura mensile così negativa da far paventare nefasti presagi.

QUALI CONSEGUENZE

In un tale quadro la volatilità e l’incertezza regnò sovrana sui mercati finanziari e questo fino al meeting della FED, ovvero fino a quando, nel susseguirsi di appelli e scongiuri da parte degli operatori finanziari, non avvenne l’annuncio a sorpresa di prosecuzione del QE e dunque dell’inversione ad U del governatore Bernanke. Un sorpresa che fu anticipata di pochi giorni, proprio dagli accordi di Ginevra sulla distruzione degli arsenali chimici siriani, avvenuti tra USA e Russia. Un fatto che stemperò il clima all’interno dell‘ONU ed evitò l’avvio di una campagna militare americana nella regione. Due eventi che misero perciò da parte qualsivoglia idea di “economia di guerra”, seppur successivamente si sia aperto un ulteriore focolaio di tensione con l’ormai nota e non conclusa vicenda ucraina e d’invasione della Crimea ad inizio 2014. Il dopo è ancor più noto finanziariamente parlando, essendo stata estesa fino a fine 2014 l’operazione di ‘taperig’ nonché autorizzato dal congresso USA l’aumento del debito americano, ovvero il proseguimento di un pompaggio monetario in grado di comprare ulteriore tempo sulla falsariga di quel messaggero che nella rappresentazione teatrale citata, annunciava ai protagonisti il mancato arrivo di ‘Godot’ e posticipava l’incontro sempre all’indomani. Un indomani che, nella promessa di rivitalizzare la crescita e far riprendere l’inflazione, è stato provvidenzialmente allungato dopo la fine del ‘tapering’ della FED dalla Bank of Japan e nel 2015 dalla BCE. Un calciare il barattolo avanti che ha portato tra aprile/maggio di quest’anno ad oltre 2.000 miliardi di titoli pubblici con rendimento negativo ed ai massimi storici i listini azionari.

COSA ATTENDERSI

Nell’ambito dei reali decisori e sempre in quell’estate, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), ovvero la cosiddetta banca centrale delle banche centrali, ammoniva in merito al rischio creato dalle politiche monetarie fino ad allora attuate e sentenziava come il “prendere in prestito tempo” non fosse la soluzione migliore. Quest’anno la stessa istituzione ha detto chiaramente che la politica monetaria si è ormai fatta carico di una parte fin troppo grande dell’onere volto a stimolare la crescita e ciò porta dritto alla formazione di vulnerabilità finanziarie (leggasi bolle finanziarie per i comuni risparmiatori).

Da quella calda estate 2013 che ricorda così tanto l’attuale contesto, nulla sembra essere realmente cambiato mentre il tutto appare ancor più complesso e quantomeno amplificato nelle sue distorsioni. Da allora è infatti aumentato il debito globale e sempre più debitori sono sull’orlo del precipizio (Grecia, Ucraina, Porto Rico ecc.), l’economia globale non ha raggiunto una crescita così forte da poter controbilanciare gli squilibri creati dalla finanza (BRICS in caduta ed Occidente stagnante) e le banche centrali si sono infilate in un ‘cul-de-sac’ da cui hanno finora avuto paura di uscire ed a cui si sono aggiunte ed amplificate le tensioni geo-politiche (Siria, Ucraina, ISIS, Mar della Cina ecc.).

GODOT’ IN ARRIVO ?

Questa volta però, potrebbero avverarsi decisioni non così scontate e le cui conseguenze avranno comunque molteplici ricadute. Sempre la BRI ricorda che la politica monetaria è ormai sovraccaricata da troppo tempo e deve essere solo parte della soluzione, non l’unica soluzione. Un chiaro monito ad abbandonare un modello di crescita trainato esclusivamente dal debito. Un monito a cui è recentemente seguita la designazione a capo di tale istituzione di Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank, ovvero colui che in tempi non sospetti ha dato chiare interpretazioni su come gestire ed abbattere il debito e su quale fosse la sua opinione del QE. Date queste premesse e nonostante il messaggero Yellen, possa ancora stupire e posticipare l’arrivo di ‘Godot’, è ora di comprendere che la fine della rappresentazione teatrale è sempre più prossima e l’attuale fase di temporeggiamento, seguita al crollo dei mercati del 24 agosto, potrebbe equivalere a quell’attesa che attende il pubblico tra la chiusura del sipario e gli applausi o i fischi che poi rivolge ai teatranti durante il saluto finale.

L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari. Per domande e chiarimenti potete scrivere a: info@rubensligabue.com

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.