L’ANALISI: Draghi si dichiara pronto a comprare i titoli di Stato ma in Germania le banche fuggono dai BTP
L’evidente sfiducia del sistema bancario tedesco dovrebbe però allertare i risparmiatori
Poche parole e l’effetto Draghi è stato più che soddisfacente per i mercati finanziari globali ed in particolar modo per quelli dell’eurozona. Le sue dichiarazioni sono state capaci di spingere il tasso dei BTP decennali ad un nuovo minimo assoluto e pari ad un rendimento del 2,21%, con relativa compressione dello spread rispetto al Bund tedesco. Una discesa manifestata anche nei rendimenti degli altri titoli dei paesi europei, con la Spagna al suo nuovo minimo storico del 2,01% e l’omologo titolo tedesco schiacciato allo 0,77%. Una tale compressione dei rendimenti è merito del discorso fatto durante un congresso che si è tenuto a Francoforte venerdì scorso in cui Mario Draghi ha fatto riemergere negli operatori la possibilità di un quantitative easing molto più concreto rispetto ai suoi passati interventi.
ASPETTATIVE DI QE
Il presidente della BCE, parlando del problema di bassa inflazione che affligge l’Europa e di quelle che potrebbero essere le ripercussioni sull’economia, ha affermato che se le politiche già avviate non si riveleranno sufficienti a riportare “senza ritardi” l’inflazione verso il noto target del 2% “aumenteremmo la pressione e allargheremmo ancora di più i canali attraverso i quali interveniamo, modificando di conseguenza la dimensione, il ritmo e la composizione dei nostri acquisti”. Un concetto subito tradotto dagli operatori finanziari in aspettative di azioni straordinarie a breve termine, essendo le ordinarie sui tassi ormai esaurite e quelle “semi-straordinarie” ed annunciate in estate, in completamento. Infatti dopo l’avvio ad ottobre degli acquisti di covered bond e da settimana scorsa anche degli Asset Backed Securities da parte della BCE ed in attesa dell’ultima asta TLTRO di metà dicembre, gli investitori hanno letto nelle parole del governatore un solo possibile ed ulteriore passaggio, da realizzarsi già nel 2015, ovvero un QE sulla falsa riga della FED americana o della più recente BOJ giapponese. Una speranza alimentata anche dall’inusuale silenzio dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. L’assenza di critiche e commenti da parte del banchiere centrale tedesco è stata dai più interpretata come un’indiretta approvazione o quantomeno, un’accondiscendenza al nuovo e potenziale corso dell’Eurotower.
SCOMMESSE RISCHIOSE
Gli investitori sono dunque tornati a scommettere in modo deciso sulle obbligazioni dei paesi periferici ma in questa euforia collettiva sembra esservi qualcuno non proprio così innamorato dei PIIGS e dei loro bond. Il guastafeste di turno sarebbe come al solito la Germania ma stavolta in un modo ben più concreto delle semplici critiche verbali che puntualmente sono state espresse dalla banca centrale tedesca nei confronti di Draghi a partire da quel “whatever it takes” pronunciato nella drammatica estate del 2012. Critiche che fino ad ora sono state interpretate dagli operatori finanziari solo come pura ortodossia accademica e dietro le quali non vi sarebbe stata nessuna reale conseguenza. Fino ad ora i mercati hanno considerato la Bundesbank come una semplice “bacchettona”, essendo una crisi sul debito italiano ritenuto come un evento troppo negativo per il sistema bancario tedesco. Su tale assioma le scommesse sono state prese sempre e con maggiore intensità ed hanno consentito ad oggi di vedere ad esempio i bonos spagnoli offrire rendimenti similari ai decennali della più virtuosa Norvegia o quelli italiani raggiungere tassi inferiori al treasury americano a 10 anni e ben più bassi del periodo pre crisi.
GERMANIA IN USCITA
Seppur ad oggi le maggiori scommesse vengono palesate nei comportamenti a dir poco azzardati di tanti piccoli risparmiatori, intenti a sottoscrivere BTP con scadenze fino a 20 o 30 anni pur di ambire ad un 3% annuo, è indubbio che i veri giocatori sono ravvisabili all’interno del sistema bancario nazionale, il quale dal 2011-12 ha raddoppiato la posta sugli investimenti in titoli di Stato (quasi 400 miliardi) grazie alle aste Ltro della BCE. In questi ultimi anni è perciò costantemente diminuito il peso dei creditori esteri, ormai prossimi ad un modesto 35% e dunque è sempre meno determinante l’alibi di un creditore estero di ultima istanza, vedi Germania, disposto a qualunque cosa pur di non lasciare andare a fondo il nostro debito. Analizzando infatti l’ultimo report della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) si evince che le banche tedesche, trimestre dopo trimestre investono sempre meno in Italia, così come nel resto del Sud Europa e ciò nonostante il tanto sbandierato supporto della BCE, ovvero quel potenziale “bazooka” in grado di offrire pasti gratis a tutti. A metà dell’anno le banche tedesche risultavano invece esposte verso l’Italia per poco meno di 100 miliardi di euro, ovvero a livelli minimi ed addirittura inferiori al drammatico periodo del 2012 o agli albori della moneta unica, nel lontano 2002. La loro esposizione complessiva è ormai ad un misero 4% degli investimenti esteri effettuati ed è costantemente diminuita mentre tutti si buttavano sui PIIGS.
QUALI IMPLICAZIONI
Adesso, l’Italia è solo la sesta destinazione negli investimenti delle banche tedesche e questo significa che per la Germania non siamo più un motivo di grande preoccupazione e molto probabilmente lo saremo ancora meno nel 2015, se da qui a fine anno verrà confermato un tale trend. Il grafico allegato e pubblicato dal sito Risparmiamocelo mostra come la fiducia tedesca nei nostri confronti sia costantemente scemata dal 2008 e sia ai minimi da 15 anni a questa parte, guarda caso alla vigilia di un importante anno di scadenze.
Infatti tra rimborso del debito ed interessi da pagare, l’Italia dovrà far fronte al rinnovo di quasi 320 miliardi di titoli ed al pagamento di circa 58 miliardi di interessi, come evidenziato dal grafico pubblicato dal sito Intermarket & More. Un giro di boa non forse così facile come credono i mercati e che si aspettano possibile grazie ad un potenziale e provvidenziale QE della BCE. Una politica che però non è propriamente gradita alla Bundesbank e nei fatti neppure più supportata dalle banche tedesche.
In altri termini, se anche dovessimo dichiarare un default o più verosimilmente una ristrutturazione del debito, fino all’impensabile uscita dalla moneta unica i tedeschi potrebbero facilmente contenere i danni. E se ciò fosse vero, significherebbe palesemente che il potere di ricatto implicito espresso più volte dal governo italiano, apparirebbe ormai un’arma sempre più spuntata. I tedeschi lo sanno bene e forse, nell’inusuale silenzio di Weidmann, potrebbe nascondersi un pericoloso monito piuttosto che la semplicistica conferma al piano tanto auspicato dagli euforici mercati. Avvertimenti che potrebbero arrivare anche dall’osservazione del sistema dei pagamenti interbancari Target2 dell’eurozona, ovvero da quel sistema che lo stesso presidente della Bundesbank osservò con preoccupazione a fine febbraio 2012, quando trapelò dalla stampa una lettera indirizzata a Draghi ed inerente gli eccessivi saldi a favore della Germania, conseguenti dalla fuga di capitali provenienti da Spagna ed Italia. Una situazione che da allora è gradualmente rientrata dopo il discorso del governatore della BCE nel luglio 2012 ma che da qualche mese è sinistramente riapparsa solo sul fronte italiano.
COSA FARE
Sia come sia, è fuor di dubbio che la situazione italiana con i dati fondamentali dell’economia che mostrano PIL in discesa, disoccupazione in aumento, debito pubblico in espansione, sistema del credito bancario in crescente sofferenza, difficilmente giustificano un tasso di rendimento sui BTP ai minimi storici. Il rischio è dunque di una improvvisa inversione del sentiment favorevole creato ad arte dalle sole parole di Draghi. Un fenomeno in grado di intensificarsi con l’approssimarsi del febbraio 2015, ovvero quando saranno da rimborsare anche i prestiti triennali ricevuti dalle banche italiane nell’asta LTRO del 2012 e guarda caso in prossimità delle vociferate dimissioni del presidente della Repubblica. In ogni caso ed a prescindere dal sempre più incerto scenario politico nazionale futuro, fino a quando il mercato crederà che il debito italiano sia sostenibile e si fiderà più che altro degli annunci dalla BCE, la situazione potrà forse reggere ma la scarsa ed evidente sfiducia del sistema bancario tedesco dovrebbe però portare i risparmiatori a chiedersi se il rischio che assumono acquistando un titolo italiano o le stesse obbligazioni bancarie, siano correttamente remunerate e quindi se valga ancora la pena rischiare. La Germania del 2015 è una realtà ben diversa e meno condizionabile di quella del 2011-12 e non si lascerà ricattare facilmente da un’economia del Sud che nel frattempo si è legata in vita una cintura esplosiva di debito crescente e da cui le banche tedesche si sono sganciate per tempo, dopo la passata e complicata esperienza greca.
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