Il QE della FED e LTRO della BCE hanno “narcotizzato” la volatilità implicita degli attivi rischiosi
La volatilità è un indicatore sintetico che misura il grado di variabilità dei prezzi di un indice, un titolo o uno strumento finanziario in genere, ed è sicuramente uno dei fattori più importanti da monitorare in un investimento. In genere all’alta volatilità si associa un maggior rischio dell’investimento e non a caso all’aumentare della stessa è richiesto un rendimento atteso crescente.
Il problema principale è però che essa varia nel tempo in misura notevole se non improvvisa e spesso in relazione ad eventi che alterano sensibilmente le attese e l’operatività degli investitori.
Al risparmiatore sono perciò spesso suggerite due semplici opzioni per contenere la volatilità dei sui investimenti:
1) Un orizzonte d’investimento di lungo periodo: in quanto gli incrementi ed i decrementi nel breve termine seppur possono ricordare le montagne russe, in genere tendono, sul lungo periodo, ad assumere una traiettoria ascendente ed ottenere un’adeguata remunerazione per il rischio corso.
2) Un’ampia diversificazione per ridurre la volatilità complessiva del portafoglio, in quanto combinando più strategie d’investimento insieme e con la maggior decorrelazione possibile tra loro è spesso conseguibile un minor sali e scendi del portafoglio aggregato.
Entrambi i punti, sono logicamente corretti ma quello che ormai appare certamente evidente agli operatori finanziari è che il primo punto è spesso un’utopia, in quanto il risparmiatore medio è fortemente condizionato dall’emotività personale e come insegna la finanza comportamentale è spesso soggetto ad errori cognitivi che lo inducono a subire la volatilità dei mercati con decisioni d’investimento errate e negative ed in cui spesso l’unica vera soluzione è di avere al proprio fianco un professionista del risparmio capace di mitigare tali errori.
Il secondo punto invece riguarda sia il risparmiatore che l’investitore professionista in quanto la crisi del credito, ora al suo sesto anno, ha reso molto più complessa un’efficace diversificazione e mette fortemente in difficoltà la classica teoria di portafoglio.
La realtà è davvero molto diversa rispetto al passato, in quanto gli investitori oltre ad abituarsi ad aspettative di bassi rendimenti – e questo non è un qualcosa che viene in modo naturale all’Homo sapiens – devono adattarsi a ciò che viene spesso definito come un ambiente con elevata correlazione.
Il risparmiatore “nostrano” avrà riscontrato questo fatto osservando banalmente il quasi simbiotico movimento dei titoli di Stato italiani e di Piazza Affari, un andamento che vede salire e scendere contemporaneamente il suo classico dossier titoli composto in genere da BTP, obbligazioni bancarie ed alcune delle principali azioni italiane.
Quello che certamente appare meno evidente al non addetto ai lavori, è invece l’aumentata correlazione tra gli asset, anche a livello globale, ovvero anche tra quegli strumenti che ad oggi e sempre più spesso inserisce nel suo portafoglio allo scopo di diminuire la tanto odiata volatilità.
L’allegato grafico illustra bene il problema, evidenziando come le correlazioni durante l’altro grande shock, nel periodo 2000-03 (bolla internet – in azzurro), rispetto alle attuali correlazioni 2007-2012 (crisi del credito – in blu scuro) siano diventate molto più alte, tranne in una o due eccezioni.
Nel mercato orso del 2000-03, le materie prime sono state ad esempio una eccellente diversificazione contro il rischio del mercato azionario, con le due classi di investimento che erano perfettamente non correlate (0,05). Attualmente però, le due sono altamente correlate (0,69). Da questo ne consegue che oggi non siamo solo in un ambiente con bassi rendimenti, come dimostra il misero ritorno delle azioni a partire dalla fine del mercato toro secolare nei primi mesi del 2000, ma si deve fare molta più attenzione sull’effettiva diversificazione del rischio.
Tuttavia, seppur vero che una corretta ed ampia diversificazione aiuti comunque il portafoglio a contenere i rischi, è ormai da qualche anno che la volatilità non appare più essere solo un parametro da tenere sott’occhio per arginare il rischio da parte dei professionisti della finanza, ma è divenuta essa stessa un asset class d’investimento strategico. E questo perché la maggior parte dei periodi caratterizzati da elevata volatilità hanno avuto luogo quando il mercato è sceso e dunque i noti indici di volatilità sui principali mercati hanno presentato movimenti rialzisti opposti al trend del mercato azionario, come ben evidente nel grafico di confronto tra l’indice S&P500 e l’indice VIX sulla volatilità.
Tale peculiarità ha perciò reso sempre più popolare l’utilizzo di strumenti legati alla volatilità, da parte dei gestori qualificati, per proteggersi meglio in caso di “shock” e questo in genere tramite operazioni in derivati che consentono di replicare i vari indici di volatilità.
Una strategia certamente non replicabile direttamente dal comune investitore ma che però è in parte e da qualche tempo riproducibile tramite strumenti d’investimento acquistabili sul mercato.
Il risparmiatore che volesse perciò migliorare il suo rapporto rischio/rendimento potrebbe trovare in tali strumenti un interessante supporto nella diversificazione strategica del suo portafoglio, a maggior ragione se ritenesse maggiormente possibile un rischio di correzione dei principali mercati azionari, oppure se volesse mitigare nel tempo la volatilità di tale asset class. Ovviamente se vi fosse la certezza di una correzione immediata sarebbe logico disinvestire la componente azionaria ma siccome l’effetto delle banche centrali sta distorcendo anche l’andamento delle borse può essere utile un approccio “contrarian” e di accumulo di posizioni legate alla volatilità, in quanto attualmente e come ben evidente nel grafico, i tre principali indicatori di volatilità sui mercati S&P500, Eurostoxx50 e Nikei225 presentano livelli decisamente bassi e similari a quelli pre crisi.
L’avvertenza è però d’obbligo, in quanto il QE della FED (ancora funzionante) ed il programma di acquisto di titoli di Stato da parte della BCE hanno certamente rivitalizzato gli attivi rischiosi riducendo il rischio sistemico ma hanno anche forzatamente compresso la volatilità implicita, per non dire narcotizzata e dunque reso un pò meno efficace tale strategia. L’effetto delle banche centrali ha finora controbilanciato rischi ancora ben presenti quali: la crisi europea, i cui sviluppi sono nuovamente alla ribalta con il caso Cipro, il fiscal cliff negli USA che porta al così detto “sequester” con tagli automatici alla spesa nonché al persistente problema del “debt ceiling” o al più o meno temuto hard lending dell’economia cinese, ovvero tutti quegli elementi che posso indurre una maggior volatilità nel sistema finanziario.
L’eventuale scommessa sarebbe dunque quella di uno spike di volatilità importante, in quanto i livelli correnti sono simili alle situazioni viste ad aprile 2010 (prima della crisi greca) e del luglio 2011 (prima del downgrade USA). In entrambi i casi, crisi “inaspettate” che hanno innescato livelli di avversione al rischio elevate. Seppur un picco di volatilità è impossibile da predire, qualunque cosa porti la situazione fuori dagli schemi correnti avrà un maggiore impatto di volatilità e dunque potrà rappresentare una possibile occasione di guadagno e/o di difesa del portafoglio. Di possibili “mine” vaganti sembra essere pieno il lungo e tortuoso percorso che le banche centrali hanno intrapreso per sorreggere il sistema finanziario, perciò valutare una moderata diversificazione di portafoglio in asset legati alla volatilità potrà rappresentare al momento opportuno una gradevole sorpresa anche se per alcuni periodi potrebbe essere stato considerato un costoso ed inutile investimento. Come sempre pagare una polizza contro l’incendio non piace mai a nessuno, finché non scoppia imprevedibilmente un rogo.
L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari.
Per domande e chiarimenti potete scrivere a: rubens.ligabue@gmail.com
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