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La prima settimana dell’anno si è aperta con un netto ribasso delle borse – in particolare di quella cinese (in due dei primi quattro giorni di negoziazione il meccanismo di interruzione dei mercati è scattato per ben due volte dopo che l’indice CSI-300 ha subito un ribasso del 7%) – la svalutazione di molte valute dei paesi emergenti e un nuovo ribasso dei prezzi delle materie prime, il tutto favorito dalla scarsa liquidità tipica del periodo e dagli stop loss (vendite forzate).  Le ragioni del sell-off sono molteplici, sia di natura macroeconomica che tecnica: Dal lato macroeconomico, in Cina sono stati pubblicati dati inferiori alle attese del mercato: l’indice Caixin/Markit Pmi a dicembre è sceso a 48,2, segnalando una contrazione dell’attività manifatturiera per il quinto mese consecutivo (calo probabilmente accentuato dallo stop imposto dalle autorità alle industrie in molte zone a causa dell’elevato inquinamento). Inoltre, giovedì 7 gennaio la People Bank of China (PBOC) ha fissato la parità mediana di riferimento dello Yuan a 6,5646 contro US$, un livello

inferiore dello 0,5% rispetto a mercoledì, la maggior svalutazione giornaliera dallo scorso agosto quando la PBOC sorprese i mercati con una svalutazione improvvisa del 2%. La mossa ha nuovamente alimentato i timori di una guerra valutaria, ma è probabile che la PBOC stia usando la fine del 2015 e la finestra di inizio del 2016 per deprezzare la valuta a un livello desiderabile per poi stabilizzarla nel resto dell’anno, riducendo così gli sforzi necessari per fissare il tasso di cambio (a dicembre la Cina ha dovuto vendere riserve valutarie per US$108mld – scese ora a US$3.330mld – per difendere la parità di riferimento).

Dal punto di vista tecnico il mercato ha anticipato la fine del divieto di vendita da parte dei grandi investitori, che sarebbe scaduto l’8 gennaio 2016. Tuttavia la China Securities Regulatory Commission (CSRC) ha appena dichiarato che dal 9 gennaio i grandi azionisti dovranno notificare con un anticipo di 15 giorni l’intenzione di vendere e non potranno cedere più dell’1% in tre mesi. La CSRC ha anche deciso di sospendere da venerdì 8 gennaio le nuove regole di blocco automatico degli scambi in Borsa, note come “circuit breaker”, introdotte il 1°gennaio 2016. Il meccanismo di blocco prevedeva una sospensione di 15 minuti in caso di perdite superiori al 5% e, se le perdite avessero successivamente superato il 7%, la sospensione sarebbe stata prolungata all’intera seduta. Invece di stabilizzare il mercato il “circuit breaker” ha prodotto l’effetto opposto: molti investitori, infatti, in questi primi giorni dell’anno si sono affrettati a liquidare le proprie posizioni prima dello scatto del blocco del mercato, contribuendo così

all’aumento delle perdite. Oltre alla Cina il mercato è stato penalizzato dalle tensioni Arabia Saudita-Iran, dal calo della fiducia degli imprenditori del settore manifatturiero negli USA e dall’annuncio del nuovo test nucleare della Corea del Nord.

 

Effetti sui mercati e prospettive

 

Occorre notare che il calo dei mercati azionari non ha avuto al momento un pesante effetto contagio sugli altri mercati. L’apprezzamento dei principali indici obbligazionari governativi è stato modesto mentre i bond societari e dei paesi emergenti non hanno allargato gli spread in modo significativo. Anche l’oro, bene rifugio per eccellenza, ha registrato un aumento modesto tornando solamente ai livelli di inizio novembre (area US$1100/oncia). Nel breve, per arginare la flessione dei listini sarà importante la conferma di una crescita economica nei paesi sviluppati, in grado di compensare il rallentamento della Cina, ulteriori misure da parte delle autorità cinesi o nuove conferme da parte della FED che nel prossimo futuro rimarrà estremamente cauta nel proseguire il ciclo di rialzi dei tassi. Sarà inoltre importante assistere ai primi segnali

di stabilizzazione dell’economia cinese, grazie a nuovi stimoli monetari e fiscali. Il rischio principale, soprattutto con un’economia centralizzata come quella cinese, è la perdita di fiducia degli investitori nella sua

leadership politica. Le incertezze recentemente mostrate dal governo nel pilotare il difficile periodo di transizione verso un’economia più moderna stanno provocando un deflusso di capitali, che alimenta la svalutazione del cambio e i crolli in borsa.

Il governo dovrebbe evitare di confondere gli operatori annunciando la liberalizzazione dei mercati salvo poi imporre pesanti controlli e obbligare le società pubbliche a comprare azioni per evitarne il crollo.

In un’ottica di lungo periodo – benché la crisi dei Mercati Emergenti sia probabilmente destinata a protrarsi e il timore di un eccessivo rallentamento della Cina ci accompagnerà nei prossimi anni – riteniamo che, a differenza della crisi del 1998, le economie emergenti siano nel complesso in una posizione più solida. Ciò grazie a importanti riserve valutarie, cambi più flessibili e limitati debiti pubblici che rendono possibili l’attuazione di politiche fiscali di supporto alla crescita. In Cina le riforme dovrebbero diventare più chiare e trasparenti – soprattutto nei comparti delle imprese pubbliche, dei mercati dei beni e servizi e in quello del lavoro – e la borsa andrebbe ripulita da titoli economicamente inconsistenti e dalle operazioni puramente speculative.

 

Operatività: considerazioni e possibili implicazioni

 

Per quanto riguarda il contagio sui listini delle borse occidentali, la più difensiva è quella americana. L’export USA verso la Cina rappresenta solo l’1% del totale delle exports americane (le quali, a loro volta, sono il 13% del PIL USA, vedere grafico), soltanto il 2-3% dei fatturati delle aziende dell’indice S&P500 è generato in Cina e circa il 6-7% negli EM (fonte JPM). L’export europeo è più esposto alla Cina/Mercati Emergenti (per esempio auto e macchinari tedeschi, beni di lusso delle aziende italiane e francesi) così come quello del Giappone, ma queste due aree beneficiano dei segnali di ripresa domestica favorita anche dal calo del prezzo del petrolio e da politiche monetarie accomodanti. In un raffronto con le più importanti fasi di correzione dei mercati occidentali del passato, spiccano importanti differenze: non

siamo in presenza di un livello elevato dei tassi e di rendimenti obbligazionari sopra la media, i profitti delle aziende dei Paesi Sviluppati sono attesi in crescita, seppur modesta, il mercato immobiliare e quello del lavoro sono in forte ripresa negli USA. Strategia  monitorare attentamente l’andamento dei mercati e se, nel corso dei prossimi giorni, verranno violati i supporti chiave di lungo periodo (rappresentati dall’area 1860 dell’indice S&P500 e 320 dello Euro Stoxx 600) valutare l’opportunità di una riduzione del rischio di portafoglio con il passaggio dell’equity a sottopeso da neutrale.

Per quanto riguarda la componente obbligazionaria prendere in considerazione una riduzione dei bond dei Paesi Emergenti e dei corporate bond High Yield a favore dei governativi europei.

E’ molto probabile che anche il 2016 sarà caratterizzato da un netto incremento della volatilità dei mercati, confermando il trend iniziato ad agosto 2015, una netta inversione di tendenza rispetto al periodo 2012-metà 2015, dominato dalle politiche espansive delle principali banche centrali mondiali che avevano compresso le variazioni dei corsi.

 

 

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