La tempesta perfetta

nave-tempesta-495x389 A lungo attesa, annunciata da numerosi segni premonitori, la tempesta finanziaria perfetta è arrivata. Violenta come un uragano, ha fatto precipitare le borse in pochi giorni, mentre gli analisti continuavano a dire che di correzione tecnica si trattava, ma ormai il futuro sta nascendo da un caos e il caos non si può leggere con gli occhiali del passato. Siamo di fronte ad una tempesta che ha gli effetti di tutte le altre: lascia coloro che si sono arricchiti col lungo rialzo, più poveri ma più ricchi di prima, mentre chi non ha potuto prendere l’ascensore, rimane solo più povero. E’ probabile che queste tempeste rallentino l’economia globale, rendendo tutto il mondo più povero. Se gli esiti sono simili, le ragioni sono diverse. In questi anni il mondo ha continuato il suo cambiamento, l’occupazione è aumentata ovunque, ma non nella vecchia Europa, la ricchezza ha continuato a trasferirsi dal vecchio mondo, agli emergenti e dal ceto medio ai super ricchi, ma la stampa di denaro delle banche centrali non ha prodotto la ripresa sperata, non ha prodotto l’aumento dei consumi, né l’inflazione desiderata. Entrambi aumentano infatti se aumenti i salari, ma la globalizzazione provvede a tenerli bassi, per favorire il ritorno finanziario immediato. In Europa i paesi euro, non potendo agire sulla svalutazione competitiva, hanno un solo modo per rendere attrattivi i loro prodotti: agire sul contenimento dei salari o sull’aumento della tecnologia, che taglia occupazione, come si vede bene ad esempio nel mondo bancario. Abbiamo poi il problema della mutazione dell’economia cinese, che da manifatturiera sta evolvendo verso il terziario, le nuove tecnologie, internet, ecc…Ciò determina un rallentamento maggiore di quello statisticamente rilevato, ma prepara il Dragone alla sfida del futuro con gli Usa. La guerra delle valute per mantenere competitività, legata al crollo delle materie prime, ha messo in crisi grandi paesi come il Brasile, la Russia, il Sudafrica.Il crollo del petrolio, che da riserva finita, sta diventando abbondante, ha mandato in crisi anche i paesi arabi, africani e sudamericani: l’Arabia Saudita ha emesso un prestito da 100 miliardi, il Venezuela è sull’orlo del crac e la Nigeria non sta bene. A rianimare il prezzo dell’oro nero non sono bastate neppure le guerre nell’area petrolifera per eccellenza, ben tre in Iraq, Siria, Yemen. A ciò dovremo aggiungere la distruzione di posti di lavoro, perlopiù dequalificati, che porteranno le nuove tecnologie e l’economia internet, per paradosso in futuro sarà più facile accedere ad Harvard che alla Mc Donald. In questo quadro, l’Europa in generale e quella del sud in particolare, è destinata a perdere posizioni, perché è più vecchia, meno qualificata e più legata alla manifattura, dove la componente salariale è sempre più importante, senza poter usare appunto la svalutazione, l’euro è forte perché i tedeschi temono l’inflazione, quando il rischio è il suo opposto. Per l’Italia, al netto dell’ottimismo renziano, doveroso ma pure incosciente, il futuro non è buono: continuiamo a vendere le nostre industrie maggiori, metà paese corre e metà frena, lo Stato fa pena, l’evasione è altissima, il lavoro nero pure, il che rende la tassazione eccessiva, mancano la sicurezza, la certezza del diritto, un’ istruzione universitaria meno baronale e accademica. Inoltre abbiamo un debito stratosferico, in una parola non abbiamo fatto i compiti a casa, che non sono solo le riforme costituzionali, ma tutto ciò che rende attrattivo e competitivo il Paese. Esportiamo lavoratori qualificati, dai manager ai camerieri e importiamo disperati che alimentano l’economia illegale, non solo al Sud, che ci consente di gareggiare con il Pakistan, non con le economie del nord Europa. Alla fine di questa crisi, che non sarà breve, troveremo il mondo e le sue classifiche cambiate e noi non saremo neppure in zona Uefa. Un consiglio a chi vuole e può: investire sulle lingue e sull’istruzione sia scientifica che professionale, in tutto il mondo servono buoni ingegneri, programmatori (vecchia dizione), operatori sanitari e cuochi, perché il prossimo spazio di lavoro sarà appunto il mondo.

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