A fine aprile, il mercato rialzista era a malapena visibile. I principali mercati industrializzati, come quelli rispecchiati dagli indici S&P500 e MSCI World, facevano registrare nuovi picchi: ad esempio, in data 29 aprile, l’indice S&P500 si attestava a quota 1363,6, un valore pari a un incremento di oltre il 100% rispetto al record negativo del 9 marzo 2009. Lo scenario economico sottostante continua a risultare favorevole, con previsioni di crescita economica globale pari al 4,5% dati del FMI. In più, anche la propensione al rischio degli investitori sembra apprezzabile: ad esempio, l’indice VIX, frequentemente citato come ‘indicatore della paura’, si è assestato in data 27 maggio al di sotto del 16%, un valore ben inferiore ai massimi raggiunti recentemente e in linea con i livelli solitamente registrati, in periodi di ascesa dei mercati, prima della crisi del credito del 2008. Tuttavia, dopo i livelli record raggiunti il 29 aprile, sia l’indice S&P500 che quello MSCI World hanno subito flessioni per quattro settimane di fila. A questo dato si è aggiunto il calo dei prezzi del petrolio, il Brent ha segnato una nettissima flessione dopo il picco del 29 aprile. La flessione delle quotazioni azionarie, dei prezzi delle commodities e dei rendimenti obbligazionari indica una tendenza in contrasto con un mercato rialzista: si tratta di segnali di indebolimento della crescita economica e di calo della domanda globale. A differenza di quelli industrializzati, i principali mercati emergenti hanno evidenziato un calo rispetto ai picchi post-crisi sin dalla seconda metà del 2010. L’indice Shangai Composite ha raggiunto il picco post crisi nell’agosto 2010, mentre l’Indian Sensex risulta in calo rispetto a tale picco sin dal novembre 2010. Fra le possibili cause dell’indebolimento della domanda globale si annovera l’inasprirsi delle politiche monetarie, che puntano ad arginare la crescita e controllare l’inflazione: ad esempio, il premier cinese Wen Jiabao ha dichiarato che il raffreddamento della crescita rappresenta una priorità. Le manovre di rientro del debito nei mercati industrializzati potrebbero rivelarsi una altro fattore di indebolimento della domanda globale. Sono già stati varati rigidi programmi di austerità nei paesi potenzialmente insolventi della periferia dell’Eurozona, come la Grecia, ma la mancanza di unità politica rende reale il rischio che la situazione sfugga al controllo delle autorità, con ripercussioni negative per i mercati europei globali. Anche negli Usa, entrambi i principali partiti politici concordano che la riduzione del debito sia una priorità essenziale. Il presidente statunitense Obama ha proposto un taglio del deficit nazionale di 4 trilioni di dollari nel corso dei prossimi dodici anni. Ciò comporta un taglio pari a 333 miliardi di dollari all’anno sulle spese statali previste. Inoltre, la maggiorazione repubblicana alla camera bassa del Congresso sembra decisa a imporre in tempi brevi una manovra di tagli alla spesa pubblica, bloccando qualsiasi aumento del tetto nazionale del debito sino a quando non siano approvate riduzioni significative. Magari la ripresa riapparirà ed avremo un mercato rialzista. Tuttavia, è forse consigliabile ridurre il rischio del portafoglio finché non si sia stabilizzata la situazione-debito nei paesi alla periferia dell’Eurozona e non siano state definite la portata e la tempistica dei tagli di bilancio previsti negli Usa nonché la decisione di riprendere in autunno il quantitative easing.
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