L’Iran cavalca le paure dell’Occidente distratto ed indebolito dalla crisi economica, con il placet dell’Oriente. Il rapporto dell’AIEA ribadisce che il regime di Ahmadinejad rappresenta una seria minaccia nucleare per il pianeta, in barba alle dichiarazioni di non belligeranza del leader iraniano, che oramai si sprecano a fronte degli out-out imposti, in modo scomposto e sconnesso, da Stati Uniti ed Israele. Se guerra fosse, in Europa sarebbe ora il turno della Gran Bretagna – come dimostrano le pubbliche uscite del ministro Hague – dopo che la Francia ha detto e fatto la sua in Libia. Nuove tensioni, vecchi separatismi. Giustificati da tutto fuorchè da interessi collettivi, a dispetto delle dichiarazioni politicamente corrette dei vari capi di stato “maggiore” coinvolti nel dibattito. Fra americani ed ebrei non è certamente idillio in questa fase, lo si vede sia negli USA che dall’altra parte dell’Atlantico. Tant’è che il ministro della difesa israeliano, facendo leva sulla sovranità di Israele, dice che non c’è bisogno di autorizzazioni del governo statunitense per attaccare l’Iran. La Russia non ne vuole invece sapere di inasprire le sanzioni verso il regime iraniano, sarebbe un gesto di ingiustificata cattiveria verso un popolo già troppo e a torto maltrattato dall’Occidente, oltre che in netta contraddizione con la grande ospitalità, a titolo oneroso, che l’Iran ha offerto a scienziati russi per implementare tecniche avanzate di uso civile dell’atomica, come il fisico Danilenko testimonia. L’Iran, fra l’altro, è il terzo principale fornitore di greggio della Cina, la Cina è quindi uno dei principali finanziatori per l’Iran; si capisce perché i cinesi ritengano eccessivi i timori degli Stati Uniti, a loro volta fortemente irritati per il non interventismo delle super-potenze dell’est. La Clinton infatti ammonisce l’Iran per redarguire Medvedev e Hu Jintao, i quali fanno notare che un attacco militare all’Iran sarebbe come fare esplodere l’atomica nel cuore del Medio Oriente, rischiando di annientare l’intero pianeta. La Clinton e Panetta sono ben consapevoli del rischio, ma sono tentati dall’opportunità di una soluzione forzosa contro il regime iraniano. Vincere con le armi in Iran – in nome degli ideali di giustizia e libertà planetari – potrebbe in effetti comportare diversi vantaggi materiali per il governo americano: nuova egemonia imperiale sul Medio-Oriente, a un passo dai confini cinesi, dopo l’annessione dell’Iraq con tanto di finta indipendentista; nuove riserve di petrolio per l’Occidente, sottratte allo sviluppo anti-democratico della Cina; rilancio dell’economia bellica americana, anche grazie allo svuotamento dei magazzini di armi obsolete in carico alla Difesa; rilancio degli States sullo scacchiere internazionale, che potrebbe implicare il rilancio dei democratici alle prossime presidenziali, a prescindere da Obama. Troppe opportunità, per lasciar perdere da subito. Tant’è che – per quanto si apprende da certa stampa – sarebbero già pronti cargo pieni di bombe “bunker-buster” diretti verso gli Emirati Arabi Uniti, pronti ad essere impiegati per scovare i siti iraniani dove si lavorerebbe all’atomica poco civile. Capite le opportunità per gli USA quanto le necessità di Israele, sarebbe un grave errore sottovalutare i rischi globali di un attacco all’Iran, perché non andrebbe come è andata in Vietnam, Iraq o Afghanistan, dove pure così bene non è andata. Urge quindi una intesa ed una cooperazione su scala internazionale, a scopo preventivo, evitando sortite bilaterali fra singole potenze orientali-occidentali ed il regime iraniano, come sta di fatto già accadendo. Se le infrazioni denunciate dall’AIEA saranno appurate, anche in seguito ad ulteriori ispezioni in loco presso i siti incriminati – posto che Ahmadinejad fornisca spiegazioni plausibili alla Clinton e sia disponibile ad accogliere gli ispettori del nemico – dovranno cessare del tutto gli scambi commerciali con l’Iran, che si tratti di armi, petrolio, tecnologie o infrastrutture. Il problema non riguarda solo la Cina o la Russia, come si potrebbe pensare. L’Italia, ad esempio, è sotto stretta osservazione per il suo attivismo commerciale verso il regime iraniano, ritenuto eccessivo dalla comunità internazionale. Stessa cosa dicasi per la Germania. Anche se il nostro paese è storicamente conosciuto per le sue posizioni di mezzo – non sempre giustificabili dalla ragione geopolitica e culturale – occorrerà evitare atteggiamenti equivoci che possano indebolire la già fragile alleanza occidentale. Riguardo poi all’Iran, c’è da sperare che ragioni di politica interna possano prima o poi risolvere i problemi di politica internazionale, sindrome nucleare in testa. Su questo fronte l’Occidente può fare tanto in termini di supporto logistico e sensibilizzazione culturale, dando manforte al movimento studentesco ed alle forze riformiste iraniane che si contrappongono al regime in carica. La primavera araba ha infatti dimostrato che i nuovi mezzi di comunicazione ed informazione possono bypassare la sovranità di regimi autoritari, quando si tratta di trasmettere il verbo della democrazia e della libertà ai popoli oppressi da tali regimi, anche contro la volontà di questi ultimi. Prima quindi di valutare la soluzione bellica, sarebbe auspicabile impiegare al meglio deterrenti di tipo economico, in aggiunta ad una azione di persuasione politica (verso il regime iraniano) e culturale (verso il popolo iraniano)
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