Il punto

Facciamo il PUNTOL’attenzione degli operatori continua ad essere rivolta al dibattito politico americano e, dopo avere superato le due settimane di shutdown, nelle ultime ore sono tornate a salire le aspettative di un imminente accordo. Secondo le ultime indiscrezioni i leaders del Senato Harry Reid e Mitch McConnell sarebbero vicini ad un’intesa che prevedrebbe la riapertura dell’attività di Governo sino a metà gennaio e l’innalzamento del tetto del debito sino a metà febbraio. Il posticipo della questione di qualche mese consentirebbe di proseguire le discussioni sul budget federale in vista del nuovo round di sequestration (tagli automatici alla spesa pubblica), che dovrebbero scattare a gennaio per un ammontare di 19 mld di $.

Intanto, gli effetti negativi del prolungato shutdown sulla crescita dell’economia nel 4Q (tra l’altro con la chiusura dell’attività pubblica sono venuti meno tutta una serie di dati macroeconomici, soprattutto quelli relativi al mercato del lavoro) ha ulteriormente allontanato le ipotesi di tapering del QE. La questione non dovrebbe tornare di attualità prima del FOMC del 28-29 gennaio, anche se non è da escludere che l’avvio del tapering possa essere rinviato al meeting del 28-29 marzo quando Janet Yellen avrà ormai sostituito Bernanke alla guida della FED, soprattutto se si confermasse l’impatto negativo sull’economia dell’impasse politico delle ultime settimane. Nel frattempo negli Stati Uniti ha preso il via la stagione dei risultati relativi al 3Q, con le grandi banche e alcuni dei principali gruppi industriali (Intel, IBM, GE, Google) che riporteranno entro il fine settimana.

L’aspettativa è per una prevalenza di sorprese positive considerato che anche in questa occasione la reporting season è stata anticipata da un revisione al ribasso delle previsioni trimestrali. Da verificare se l’atteso superamento delle attese sarà ancora una volta accompagnato dalla revisione al ribasso delle stime sul trimestre in corso, anche perché con riferimento alle stime sull’intero anno negli Stati Uniti da qualche mese si è sostanzialmente arrestato il processo negativo di revisione, mentre in Europa a partire dal mese di settembre sono giunti importanti segnali di stabilizzazione. Per quanto riguarda il raggiungimento di un’intesa sullo shutdown e sul debt ceiling sia comunque positivca e possa essere salutata da un balzo iniziale dei mercati, l’assenza di un accordo su tutta la linea (ipotesi al momento più probabile) sembra non lasciare spazio per un forte movimento di Wall Street, anche perché il mercato, prossimo ai massimi assoluti fatti registrare a metà settembre, ha già incorporato una soluzione positiva del dibattito fiscale (molto dipenderà comunque dell’orizzonte temporale della soluzione adottata, positiva se di qualche mese, negativa se limitata a qualche settimana).

I mercati azionari, sostenuti dalle politiche monetarie delle banche centrali, si sono portati avanti all’andamento dell’economia e degli utili aziendali. L’impressione è che su un orizzonte temporale di qualche mese (considerato anche il posticipo del tapering), l’approccio risk-on sia destinato a prevalere spostando al medio- lungo termine la verifica sull’eventuale dissonanza rispetto all’entità della crescita economica e, di conseguenza, dei ricavi e degli utili aziendali. In questo contesto la nostra preferenza resta per i mercati europei e per il Giappone:

a)      I primi dovrebbero beneficiare del miglioramento dell’economia, di un favorevole scenario dei flussi (con il parziale rientro dei capitali fuoriusciti negli anni passati) e di migliori livelli valutativi (il gap con gli Stati Uniti diventa piuttosto evidente se si prende a riferimento metriche di lungo termine con il P/E mediato per il ciclo, il cosidetto P/E di Shiller);

b)      Sulla Borsa giapponese dovrebbero continuare a dispiegarsi gli effetti della cosiddetta Abenomics e della sua esposizione ai settori ciclici.

Sul fronte tassi, alla luce dello scenario delineato (accelerazione americana frenata dalla “crisi” fiscale e tapering quantomeno posticipato di qualche mese), dovremmo vedere i rendimenti dei Governativi core muoversi per alcuni mesi in un trading range delimitato dai recenti minimi e dai massimi di metà settembre. Sui Governativi italiani il rapporto rischio-rendimento resta poco attraente, mentre con riferimento ai Corporate, da un lato il default rate non dovrebbe destare preoccupazione, dall’altro lo spazio di contrazione degli spread sembra limitato.