Dopo aver registrato in ottobre e gran parte di novembre alcune delle peggiori performance dalla fine della crisi finanziaria del 2008-2009, i mercati degli asset rischiosi hanno recuperato vistosamente terreno entrando nell’ultimo mese dell’anno, grazie ad un mix di aspettative, poi realizzate, e sorprese di politica economica sui fronti più “caldi” del momento, come Fed, guerre commerciali e OPEC. Con il rialzo di ieri, l’S&P 500 ha recuperato circa il 6% nelle ultime 6 sedute e ricostituito una conformazione tecnica più favorevole, con la formazione di un doppio minimo in area 2600/2630 e tornando sopra le medie mobili a 100 e 200 sedute. Nel mercato azionario, i comparti ciclici (come tecnologici, industriali, materie prime e consumi discrezionali) hanno sovra performato, arrivando da livelli che prezzavano già un significativo deterioramento dell’outlook macroeconomico. A livello geografico, anche se il recupero è stato diffuso, gli asset rischiosi USA hanno sovra performato quelli europei, dove il flusso di notizie macroeconomiche e politiche è certamente meno favorevole. Inoltre la rotazione delle performance relative verso gli asset Emergenti e legati alla Cina è proseguita, seguendo gli ultimi sviluppi dal G20. Nel mondo del credito corporate, uno dei più colpiti dalla recente correzione, l’esplosione degli spread è in parte rientrata, soprattutto negli USA, complice anche il recupero del petrolio, ma lo stress rimane ancora elevato in numerosi segmenti di mercato, soprattutto europei.
Il discorso del Presidente della Fed Powell all’Economic Club di New Yorkha fornito la prima sorpresa positiva a supporto del rally di “sollievo” degli asset rischiosi. Confermando le indicazioni arrivate di recente dalle dichiarazioni di altri esponenti della Fed, come il Vice Presidente Clarida, Powell ha sorpreso i mercati in senso più “dovish”, segnalando che la Fed non è completamente insensibile al recente stress finanziario e macroeconomico. Se in ottobre il Presidente aveva affermato che i tassi erano ancora probabilmente lontani dalla neutralità, la scorsa settimana la retorica è nettamente cambiata, indicando che i tassi sono appena al di sotto dell’ampio intervallo di stime della neutralità (che va dal 2,5% al 3,5%). Powell ha anche indicato un gran numero di potenziali fattori di rischio e segnalato che il percorso futuro dei tassi sarà molto più legato all’andamento dell’attività economica nei prossimi mesi. Se il rialzo di 25 bp dei tassi nel FOMC di dicembre non è in discussione, la guidance sarà molto probabilmente modificata per riflettere il nuovo orientamento e la risposta dei mercati è stato di abbattere le aspettative sui rialzi nel 2019: attualmente il mercato obbligazionario prezza solo più 1,25 rialzi di 25 bp per il prossimo anno rispetto ai 3 previsti dalla stessa Fed.
La sorpresa sul fronte della politica monetaria della Fed si è sommata alle aspettative di un miglioramento delle relazioni commerciali USA-Cina in occasione del vertice del G20 in Argentina, che non sono andate deluse.
L’incontro tra il Presidente Trump e la sua controparte cinese Xi Jinping ha portato di fatto ad una tregua nella guerra commerciale, con la posticipazione dell’aumento dal 10% al 25% dei dazi USA su 200 miliardi US$ di beni importati dalla Cina dal 1 gennaio al 1 marzo, per lasciare maggior spazio ai negoziati. Anche se i dettagli sono scarsi ed i comunicati USA e cinesi non sono completamente coerenti, la “tregua commerciale” era probabilmente il risultato più positivo che ci si potesse aspettare e va nella direzione di ridurre uno dei principali fattori di rischio per lo scenario macroeconomico e per i mercati finanziari. Negli ultimi due mesi vi erano stati diversi segnali di pre posizionamento degli investitori per uno sviluppo più favorevole sul fronte commerciale, come la sovra performance degli asset Emergenti e di quelli legati alla Cina (rame, dollaro australiano). Il trend è probabilmente solo all’inizio e sarà probabilmente rafforzato dalla sorpresa “dovish” della Fed.
Anche se il posizionamento degli investitori e gli sviluppi sul fronte della politica monetaria e commerciale sono favorevoli, la tenuta dello scenario macro economico è in ultima analisi il fattore cruciale per permettere ai mercati finanziari di uscire dalla turbolenza correzione degli ultimi 2 mesi, analogamente a quanto avvenuto in febbraio/marzo. Su questo fronte, il flusso di notizie è contrastato. La batteria di indici PMI Manifatturieri per il mese di novembre è sostanzialmente in linea con la tenuta della crescita dell’economia globale intorno al ritmo annuo del 3% prevalente per gran parte del 2018. Questo è però dovuto in gran parte alla persistente divergenza di crescita a favore degli USA. Nei Paesi Emergenti l’attività economica sembra stabilizzarsi, in linea con la recente riduzione dello stress finanziario, male condizioni macroeconomiche rimangono molto meno favorevoli. La tregua commerciale con gli USA consente alle autorità cinesi di guadagnare tempo per permettere alle misure di stimolo macroeconomico già varate di ripercuotersi positivamente sull’economia e di introdurne di nuove. L’elemento cruciale rimane sempre l’accelerazione dell’economia della Cina, poiché l’economia mondiale è ancora a rischio di sincronizzarsi al ribasso qualora il miglioramento dell’attività economia in Cina tardasse troppo a concretizzarsi.
Negli USA, la crescita del PIL nel terzo trimestre è stata confermata al ritmo annualizzato del 3,5% ma i dati segnalano rischi al ribasso per il quarto trimestre, dove le aspettative di crescita sono già più modeste a +2,5% annualizzato. La sorpresa positiva dell’ISM Manifatturiero, rimbalzato quasi in area 60, e le prime indicazioni sull’andamento delle vendite nel Black Friday e nel Cyber Monday confermano che le condizioni dell’economia USA rimangono buone, ma l’andamento delle richieste di nuovi sussidi di disoccupazione segnala una perdita di impeto del mercato del lavoro, seppur da livelli surriscaldati. In quest’ottica, il report sul mercato del lavoro di venerdì sarà guardato con molta attenzione.
In Europa le condizioni macroeconomiche rimangono molto meno favorevoli, cui si aggiunge la persistente turbolenza politica. Anche se i PMI Manifatturie ripreliminari di novembre sono stati rivisti al rialzo grazie a Germania e Francia ed i dati in Irlanda, Spagna e Grecia sono stati positivi, l’indice per l’intera Eurozona è ai livelli più bassi da agosto 2016. Inoltre l’economia italiana si è contratta nel terzo trimestre e la discesa del PMI Manifatturiero di novembre ulteriormente sotto quota 50 conferma i rischi al ribasso per la crescita anche per il quarto trimestre. Anche se la retorica tra Governo italiano e autorità europee sul deficit sembra migliorare, con la possibilità che la manovra finanziaria espansiva venga “annacquata” nell’iter di approvazione parlamentare per ridurre la distanza dalle richieste europee, la tensione politica rimane elevata in Italia e crescente in altri Paesi, in particolare in Francia (per le proteste di piazza ed il collasso della popolarità del Presidente Macron) e Gran Bretagna (ci avvicina il voto parlamentare dell’11 dicembre cruciale per la sopravvivenza del Governo May e per la Brexit).