Per gran parte del 2018 la crescita dell’economia globale è rimasta relativamente elevata, oscillando intorno al ritmo annuo del 3%. Questa stabilità, tuttavia, nasconde una significativa divergenza tra le aree geografiche, con la forza dell’economia USA che ha più che compensato la debolezza in Europa, Giappone e Paesi Emergenti. Lo squilibrio del differenziale di crescita dovrebbe aver raggiunto l’apice nel terzo trimestre: il flusso di dati macroeconomici segnala un raffreddamento della crescita USA dei ritmi insostenibili del 3,5/4% annuo del secondo e terzo trimestre verso il 2,5% del quarto trimestre, proprio mentre i dati cinesi indicano che i successivi round di misure macroeconomiche espansive iniziano a riflettersi positivamente sull’attività economica, con potenziali ripercussioni positive anche su Europa e altri Paesi Emergenti. Questa rotazione dovrebbe mantenere stabile la crescita mondiale anche nel 2019.
Mentre la divergenza di crescita è attesa attenuarsi nei prossimi mesi, la divergenza dipolitica monetaria dovrebbe persistere più a lungo, dal momento che non vi sono grandi novità sul fronte dell’inflazione. Nei Paesi Sviluppati,riflettendo la posizione relativa nel ciclo economico, la restrizione monetaria sta proseguendo (se non intensificando) in Nord America ed in alcune economie europee più piccole e aperte internazionalmente (Gran Bretagna, Norvegia e Svezia), mentre la linea di politica monetaria rimane più cauta ed accomodante in Euro zona, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Nei Paesi Emergenti, solo la Cina ha una linea di politica monetaria chiaramente espansiva, mentre la maggior parte delle altre Banche Centrali mantiene un orientamento restrittivo sia per considerazioni distabilità finanziaria che per fronteggiare le pressioni inflazionistiche importate dalle recenti svalutazioni delle divise.
Il rapporto tra i fattori di rischio per lo scenario rimane tuttavia chiaramente al ribasso. Anche se nei Paesi Emergenti le vicende idiosincratiche hanno determinato una maggiore differenziazione ed una generale riduzione dello stress finanziario su queste aree, la restrizione delle condizioni finanziarie legata prima alle Banche Centrali, poi al ribasso degli asset rischiosi sui mercati, pesa sull’outlook sia dei Paesi Sviluppati che Emergenti. L’impatto del recente ribasso del prezzo del petrolio per il momento è incerto, soprattutto con l’imminenza del vertice OPEC del 6 dicembre. Infine, l’incertezza politica su Italia e Brexit si sta già ripercuotendo negativamente sull’attività economica in Europa.
Sul fronte del commercio internazionale, lo scenario di base già incorpora l’estensione dei dazi USA alla totalità dei beni importati dalla Cina. Con le conseguenze macroeconomiche negative che iniziano a manifestarsi anche nell’economia USA e pochi incentivi politici per la Casa Bianca ad accentuare lo scontro dopo le elezioni, una tregua nella guerra commerciale può essere proposta al G20 del 30 novembre/1 dicembre. In questo caso, la risposta dei mercati finanziari può essere estremamente positiva, dal momento che le tensioni commerciali sono state uno dei principali fattori di stress per i mercati nel 2018.
Il rischio principale, tuttavia, è che qualora la ripresa dell’economia cinese tardasse troppo ad arrivare, la crescita mondiale diventerebbe sincronizzata al ribasso. Tale situazione sarebbe opposta a quella prevalente nel secondo semestre 2016 e nell’intero 2017, che fu particolarmente favorevole per l’economia mondiale e per i mercati degli asset rischiosi.
Anche se la correzione sugli asset rischiosi iniziata ad ottobre rientra in una dinamica d imercato di fine ciclo, caratterizzata da maggiore volatilità e maggiore frequenza delle correzioni, i movimenti sono stati spesso disordinati e diversi mercati hanno perso l’impostazione tecnica positiva di lungo periodo. Rispetto a febbraio, questa volta gli investitori sembrano più preoccupati per la tenuta dello scenario macroeconomico, essendo i fattori di rischio al ribasso divenuti prevalenti. Tra gli indicatori di recessione più affidabili, lo spread del credito corporate USA è l’unico a segnalare un accresciuto rischio di recessione imminente.
Il rischio di sincronizzazione al ribasso della crescita globale può colpire più duramente gli asset che hanno beneficiato maggiormente nella fase di leadership USA, anche perché gli asset del resto del mondo già riflettono uno scenario macroeconomico molto più negativo. Nonostante l’evidente stress sulle asset class del credito, in via precauzionale riduciamo l’esposizione sul credito corporate USA investment grade ed high yield: il segnale fornito dagli spread sarà persistente e da qui in poi l’atteggiamento degli investitori sarà probabilmente di alleggerire le posizioni sui rimbalzi.
Al contrario, la prospettiva di tregua commerciale USA-Cina e/o di miglioramento dell’economia cinese può accelerare la rotazione delle performance non solo relative ma anche assolute a favore degli asset Emergenti, tanto più qualora la comunicazione della Fed diventasse meno aggressiva. In questa prospettiva, una view estremamente negativa sull’Equity Emergente non è più appropriata; inoltre riportiamo a neutrale anche la posizione sul debito Emergente in valuta locale.