Il punto sui mercati

bolla di sapone La reazione delle Borse alla crisi ucraina sottolinea ancora una volta la forza del trend: lo S&P500 ha corretto per mezza seduta, salvo poi far segnare nuovi massimi il giorno successivo senza che lo scenario

evidenziasse alcuna concreta novità in positivo. Al tempo stesso questo comportamento degli operatori,

sostanzialmente incuranti anche delle improvvise novità negative, alimenta i timori sulla formazione

in atto di una “bolla” speculativa, con i conseguenti rischi sulla tenuta dei mercati su un arco temporale di medio termine. A questo proposito, in una recente intervista Alan Greenspan ha dichiarato che le “bolle” sono inevitabili e che la condizione necessaria, e probabilmente sufficiente, per la creazione di una “bolla” è un lungo periodo di stabilità economica, con bassa inflazione. Per quanto già agli attuali livelli le Borse non possano essere considerate a buon mercato (qualsiasi sia la metrica di valutazione adottata, che sia il P/E di Shiller piuttosto che la Q di Tobin, la conclusione non cambia), permane un ulteriore spazio di rialzo prima che si possa configurare la creazione di una “bolla”, anche perché:

– gli utili sono destinati ancora a crescere ad un buon tasso;

– la politica monetaria continuerà ad essere di supporto.

Al contempo non deve essere trascurato il fatto che, dopo il prolungato periodo di rialzo, aumenta il livello di vulnerabilità delle Borse. Di conseguenza, occorre monitorare con attenzione le variabili che potrebbero potenzialmente fare deragliare il  trend:

– l’escalation delle tensioni geopolitiche;

– la mancata accelerazione dell’economia americana;

– l’hard landing dell’economia cinese.

La situazione in Ucraina resta delicata, anche se in questa fase non è interesse di nessuno (in primis la Russia che ha una situazione economica tutt’altro che brillante) arrivare ad una escalation della crisi internazionale, per quanto la storia insegni che sulle questioni geopolitiche non sempre prevalga la soluzione più logica e l’interesse comune. Con riferimento all’economia americana stiamo attraversando una fase di vuoto di giudizio, che potrebbe ancora durare alcuni mesi. E’ quindi possibile che il giudizio finale sullo stato dell’economia americana non possa essere fornito prima di giugno, nel frattempo comunque il mercato sta chiaramente sposando lo scenario dell’accelerazione. Se le prime due variabili al momento non sembrano destare particolare

preoccupazione la questione cinese rappresenta probabilmente l’incognita maggiore:

– vi sono i dubbi sulla tenuta delle crescita economica e non sono stati di aiuto gli ultimi dati sulla bilancia commerciale di febbraio, con la forte flessione delle esportazioni (per quanto i dati in prossimità del capodanno lunare rischiano di essere poco significativi);

– permane l’incertezza sulla tenuta del sistema finanziario: il primo default di un bond onshore non ha generato reazioni disordinate, ma la situazione sul segmento della “shadow banking” resta delicata; tra

l’altro, la debolezza del Renminbi potrebbe generare ulteriori squilibri considerando che il mondo corporate cinese si è finanziato molto in dollari USA.

Resta il fatto che i vertici politici del paese, riuniti nel Congresso del Partito Comunista, hanno ribadito un obiettivo di crescita del PIL del 7.5% e va detto che sinora i policy makers si sono dimostrati decisamente affidabili nel centrare i target.

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