Il rally di sollievo dei mercati degli asset rischiosi dopo le elezioni di medio termine americane e la riunione della Fed si è bruscamente interrotto nell’ultima settimana, quando l’avversione al rischio è tornata dominante e persiste ancora nella prima parte di questa settimana. Come conseguenza, l’S&P 500 ha azzerato la performance positiva da inizio anno e sta puntando a testare i minimi della correzione di ottobre. Una combinazione di timori sulla tenuta della crescita economica, incertezza sulla linea di politica monetaria ed intensificazione dei rischi geopolitici (soprattutto in Europa) sembrano aver innescato il movimento, anche se per gli standard delle correzioni di quest’anno, la dinamica di mercato rimane relativamente sotto controllo, con il VIX è tornato sopra quota 20 solo all’inizio di questa settimana, rispetto ai massimi verso 30 toccati in ottobre.
Mentre nella correzione di ottobre il movimento era stato guidato dal mercato azionario USA, nella fase attuale la guida sembra essere passata al credito corporate, che sta registrando allargamenti degli spread sia investment grade che high yield a livelli che non si raggiungevano dal 2016. In parte si tratta di una risposta ritardata al ribasso dell’equity di ottobre e del più recente sell-off del petrolio, ma, analogamente a quanto si è visto sulle azioni nell’ultima stagione delle trimestrali, gli investitori puniscono anche sul credito con una durezza che non si vedeva da molto tempo ogni notizia negativa, come General Electric o il settore del tabacco. Mentre le valutazioni sono tornate attraenti (recentemente il credito corporate USA era diventato meno attraente di quello europeo, che soffre da diversi mesi per l’allargamento degli spread), è anche vero che una certa cautela è appropriata, dal momento che in passato la continua e frequente apertura di “crepe” non correlate tra loro è stata spesso un segnale di fine della fase di performance positive per l’asset class.
La correzione di ottobre era stata innescata in parte dalla preoccupazione che la Fed stesse rischiando di commettere un errore di politica monetaria prevedendo di continuare ad alzare i tassi nel 2019 a dispetto delle aspettative di rallentamento dell’economia USA. Ora sembra che gli investitori siano spaventati dal timore opposto, cioè che un deterioramento eccessivo dell’economia possa indurre la Fed a rallentare o fermare la rimozione dello stimolo monetario. Le dichiarazioni del Vice Presidente Clarida, per quando complessivamente neutrali, sono state interpretate in questo senso, in particolare il riferimento a segnali di rallentamento dell’economia globale, ed hanno determinato un deciso rally dei Treasuries, con il rendimento sulla scadenza decennale sceso nuovamente sotto quota 3,10%, e prese di profitto sul US$. Il flusso dei dati macroeconomici USA è in linea con le aspettative di rallentamento della crescita dal ritmo insostenibilmente elevato del 3,5/4% annualizzato del secondo e terzo trimestre verso il 2,5% nel quarto trimestre, che rimane comunque quasi un punto percentuale superiore al potenziale. Nel resto del mondo, tuttavia, non ci sono segnali di rapida accelerazione e, in particolare, qualora il recupero dell’attività economica in Cina tardasse ad arrivare, l’economia mondiale rischierebbe di tornare sincronizzata ma al ribasso, al contrario del 2017. Il recente stress sui mercati finanziari riflette in parte questa possibilità.
L’aspetto più positivo dell’attuale dinamica dei mercati è la continua sovraperformance degli asset dei Paesi Emergenti, non solo obbligazionari ma anche azionari, una tendenza emersa alla fine dell’estate quando l’epicentro dello stress finanziario cominciò a passare verso i Paesi Sviluppati. La batteria di dati macroeconomici in Cina per il mese di ottobre è stata contrastata, con sorprese positive sulla produzione industriale e negative per le vendite al dettaglio e l’erogazione del credito, ma il miglioramento della spesa per investimenti in infrastrutture sembra indicare i successivi round di politica economica espansiva inizino a riflettersi positivamente sull’attività economica. In quest’ottica, la sovraperformance degli asset Emergenti e di altri asset strettamente legati alla Cina ed altamente ciclici come il rame o il dollaro australiano in un contesto di avversione al rischio, che generalmente li penalizzerebbe, è molto probabilmente un preposizionamento in attesa di una chiara rotazione della crescita economica dagli USA alla Cina ed alle economie Emergenti. Considerando il livello particolarmente depresso di questi asset, che scontano un deterioramento notevole dello scenario macroeconomico, questa dinamica sembra ragionevole ma richiede probabilmente un catalizzatore più solido per rafforzarsi ed iniziare a produrre performance positive. Il vertice del G20 in Argentina del 30 novembre/1 dicembre potrebbe fornirlo, sotto forma di una tregua nella guerra commerciale tra USA e Cina che rappresenterebbe una significativa sorpresa positiva per lo scenario macro, che è ormai posizionato sull’estensione dei dazi USA alla totalità dei beni importati dalla Cina nel 2019.
Contrariamente alle altre fasi recenti di sovraperformance degli asset Emergenti, gli asset Europei hanno sottoperformato quelli USA, con l’aumento del rischio geopolitico nuovamente al centro dell’attenzione. Gli sviluppi più rilevanti si sono avuti sul fronte della Brexit. La bozza di accordo con l’Unione Europea approvata dal Governo britannico apre la strada al periodo di transizione fino a dicembre 2020, ma deve prima ottenere l’approvazione della Camera dei Comuni, che non è scontata alla luce dell’opposizione di parte della maggioranza parlamentare a quella che viene considerata una Brexit troppo “soft”. Il processo di Brexit rimane fonte di volatilità per gli asset britannici ed alimenta un enorme premio per il rischio politico, evidente dal divario rispetto al differenziale di rendimento tra sterlina ed EUR; inoltre rallenta la normalizzazione della politica monetaria della Bank of England. La bocciatura della Camera dei Comuni sarebbe probabilmente accolta negativamente dai mercati, aprendo un ventaglio di possibili scenari (incluse le elezioni), ma la probabilità dello scenario più negativo (uscita dall’Unione Europea senza accordo di transizione in marzo 2019) non è verosimilmente salita, mentre al contrario è tornata sulla scena la possibilità di un secondo referendum. Nel frattempo i mercati finanziari attendono la nuova bocciatura della Commissione Europea alla proposta di budget 2019 dell’Italia, che sembra inevitabile dopo la decisione del nostro Governo di andare allo scontro frontale con le autorità europee. Poiché le procedure di infrazione europee richiedono tempo, a medio termine le schermaglie tra Italia e Commissione Europea implicano probabilmente uno stallo nelle relazioni politiche espongono gli asset italiani alle turbolenze del mercato e fanno dello spread BTP-Bund il principale strumento di pressione sul nostro Governo.