Il punto sui mercati

 Dopo essersi accumulate nelle ultime settimane, le tensioni finanziarie sono sfociate in una settimana molto negativa per i mercati degli asset rischiosi, subendo pesanti ribassi dopo la capitolazione degli asset USA, che erano rimasti relativamente resilienti alla recente avversione al rischio. L’S&P 500 ha terminato la scorsa settimana in ribasso del 4,1%, in ripiegamento del 5,9% dai massimi di settembre. Le perdite di mercoledì e giovedì, in particolare, sono state anche matematicamente anomale, collocandosi nelle “code” delle distribuzioni statistiche dei rendimenti più utilizzate, essendo pari a svariate deviazioni standard dalla media. Se le performance dell’equity USA sono state generalmente in linea con quelle del resto del mondo, una certa diversificazione è emersa, poiché l’improvviso ribasso dell’S&P 500 ha determinato prese di profitto sugli altri asset USA che avevano registrato alcune delle migliori performance da inizio anno, come il US$ ed il credito corporate high yield USA, mentre il credito corporate Euro, il debito dei Paesi Emergenti (ma non l’equity) e l’oro hanno sovraperformato. La settimana corrente sembra essere iniziata all’insegna di una certa stabilizzazione, con l’indice S&P 500 che sta fluttuando intorno al livello tecnicamente importante della media mobile a 200 sedute, collocata a 2766.

La dinamica di mercato sembra molto simile a quella della correzione di febbraio. La correzione sembra essere scattata con una o due settimane di ritardo rispetto ad un mix di dati macroeconomici deboli fuori dagli USA, rialzo dei prezzi del petrolio e retorica più “hawkish” della Fed, che aveva spinto i mercati obbligazionari a riprezzare al rialzo la stretta monetaria ed il rendimento del Treasury decennale a testare nuovi massimi pluriennali. Come all’inizio dell’anno, le volatilità dell’equity e dei Treasuries hanno registrato incrementi significativi dall’inizio del mese e la correlazione tra le due asset class è passata per breve tempo da negativa a positiva, mettendo sotto pressione alcune strategie di investimento quantitative, come quelle bilanciate e quelle equity long/short, che erano entrate nel mese di ottobre sovrappesate di azionario USA.

Il movimento della settimana scorsa ha pertanto un forte connotato tecnico, guidato dalla liquidazione delle strategie sistematiche, che peraltro partivano da masse gestite più basse, dopo essere state falcidiate dall’esplosione della volatilità di febbraio. All’inizio della settimana corrente, il riposizionamento di tali strategie sembra essere avvenuto e le misure principali di momentum (come la performance a 12 mesi o da inizio anno) rimangono positive, implicando che le pressioni di vendita dovrebbero iniziare a moderarsi.

Considerando le caratteristiche tecniche del ribasso, come in febbraio la tenuta di livelli tecnici importanti sugli indici dovrà essere monitorata strettamente per individuare la direzione futura dei mercati: dopo la correzione di febbraio, l’S&P 500 oscillò per circa 4 mesi intorno alla media mobile a 100 sedute e testò più volte la media mobile a 200 sedute, senza violarla in modo duraturo al ribasso. E’ poi fondamentale la tenuta dello scenario macroeconomico: nel primo trimestre le aspettative sull’andamento dell’economia mondiale rimasero relativamente stabili ad elevati livelli, anche se si rafforzò una chiara leadership dell’economia USA. I dati americani dei prossimi mesi saranno probabilmente distorti dall’impatto

dei recenti uragani, ma sembrano puntare ad una crescita per l’intero anno prossima al 3%, il livello più elevato dal 2015. Inoltre verso la fine dell’anno dovrebbero comparire i primi segnali di miglioramento dell’economia cinese, come effetto delle politiche economiche espansive recentemente adottate.

Al contrario della correzione di gennaio/febbraio, la stagione degli utili trimestrali non dovrebbe essere di grande supporto. L’attività economica globale è stata in rallentamento nel terzo trimestre rispetto al secondo, anche negli USA, seppur da livelli molto elevati. Inoltre il consenso sull’andamento degli utili aziendali è relativamente elevato, con una crescita dell’utile per azione in Europa del 13% su base annua per il terzo trimestre e del 19% negli USA, attesi diminuire nel 2019, rispettivamente a +9,5% e +10,5% per l’intero anno. Le valutazioni, invece, sono significativamente più attraenti, con il rapporto Prezzo/Utili per azione per i prossimi 12 mesi per USA, Europa e Paesi Emergenti rispettivamente a 15,9 volte, 12,2 volte e 10,1 volte, sufficientemente bassi da attirare gli investitori più focalizzati sui fondamentali una volta che la volatilità tornerà a diminuire. Inoltre gli asset fuori dagli Stati Uniti scontano verosimilmente uno scenario macroeconomico e geopolitico molto peggiore rispetto a quello USA, creando un certo margine per una rotazione geografica delle performance relative dai livelli estremi raggiunti all’inizio del mese. Apparentemente questa rotazione sembra già iniziata, dal credito corporate high yield USA a quello Euro e con la sovraperformance del debito dei Paesi Emergenti in valuta locale.

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