Il punto sui mercati

 La propensione al rischio continua a dominare i mercati finanziari, grazie alla combinazione di dazi americani inferiori alle attese sulle importazioni cinesi, riduzione dello stress finanziario sui Paesi Emergenti, indebolimento del US$ e segnali dalla Cina di ulteriore rilassamento del mix di politica economica a sostegno della crescita. Come conseguenza, mentre la performance dei mercati azionari e del credito corporate dei Paesi Sviluppati stata generalmente positiva (in particolare per l’equity giapponese, sia per la composizione settoriale più ciclica che per eventi positivi specifici), gli asset dei Paesi Emergenti hanno generalmente sovraperformato. L’S&P 500 ha testato nuovi massimi da inizio anno, guidato dalla sovraperformance dei settori ciclici, che ha più che compensato la persistente debolezza del settore tecnologico.

I mercati degli asset rischiosi sono stati sostanzialmente immuni all’escalation di tensioni commerciali tra USA e Cina. La reazione sorprendentemente positiva riflette probabilmente il fatto che la volontà della Casa Bianca di imporre dazi su altri 200 miliardi US$ di importazioni di beni cinesi era nota ormai da diverso tempo e la tariffa iniziale del 10% fino alla fine dell’anno è inferiore al 25% proposto inizialmente dal Presidente Trump (che entrerà in vigore solo nel 2019), lasciando pensare che gli USA vogliano comunque tenersi un certo margine di trattativa nei prossimi mesi, ora che i negoziati sono entrati in una fase di stallo. Inoltre la risposta cinese sembra più tenue del previsto, con le autorità di Pechino che implementeranno dazi su 60 miliardi US$ di importazioni USA (in linea con quanto precedentemente annunciato) ma disponibili a ridurre i dazi sulle importazioni dal resto del mondo (peraltro da livelli molto elevati). Considerando l’estrema aleatorietà della linea della Casa Bianca in materia, più che un cambio di rotta si tratta più probabilmente di una pausa nella guerra commerciale tra USA e Cina che può estendersi per qualche mese, ipotizzando che l’incentivo politico per gli USA a spingere sulla retorica protezionistica contro la Cina diminuisca dopo le elezioni di medio termine a novembre. Occorre anche notare che la pressione americana è chiaramente focalizzata sulla Cina, mentre la retorica sugli altri fronti (NAFTA e Unione Europea) è decisamente più morbida.

A supportare i mercati degli asset rischiosi contribuisce però soprattutto la persistenza di uno scenario macroeconomico complessivamente favorevole. Il flusso dei dati USA, anche se non uniformemente positivo, rimane comunque coerente con un ritmo di crescita nel terzo trimestre intorno al 3,5% annualizzato. Unito al buon andamento del mercato del lavoro e dell’inflazione, il rischio di sorprese di politica monetaria dalla Fed a medio termine è molto basso. Nel meeting del 26 settembre la Banca Centrale USA dovrebbe aumentare i tassi di altri 25 bp, come ampiamente prezzato dai mercati, e confermare il futuro percorso di rialzo dei tassi che prevede un intervento di 25 bp a dicembre (anch’esso scontato), 3 rialzi nel 2019 (scontati per oltre il 50%) e uno nel 2020. Con l’attività economica così forte e le pressioni inflazionistiche che arrivano dall’andamento del petrolio e dai dazi, non vi è molto margine per sorprese in senso accomodante ma la Fed difficilmente adotterà toni più aggressivi e verosimilmente caratterizzerà la politica monetaria come neutrale. Gli indici PMI preliminari di settembre non mostrano segnali di miglioramento nell’Eurozona, ma i dati

macroeconomici sono migliori in Giappone ed in Asia, lasciando pensare che la divergenza geografica di crescita fortemente sbilanciata a vantaggio degli USA sia nella fase finale, soprattutto qualora l’economia cinese dovesse accelerare nel quarto trimestre grazie agli effetti delle successive erogazioni di stimolo di politica economica. Nei Paesi Emergenti, infine, gli investitori sembrano reagire positivamente alle recenti iniziative di policy, in particolare all’imminenza della rinegoziazione del piano del Fondo Monetario Internazionale per l’Argentina ed all’inatteso rialzo dei tassi in Russia (la ricezione del piano di riequilibrio macroeconomico della Turchia è stata molto più sommessa).

Oltre alla Fed ed ai dati macroeconomici, la settimana corrente è considerata cruciale per l’Italia. La percezione che la linea più moderata e meno conflittuale del Ministro dell’Economia Tria stia prevalendo su quella dei Vice Presidenti del Consiglio Salvini e Di Maio sta supportando la sovraperformance degli asset italiani ma dovrà ora essere verificata dai fatti.

Giovedì rappresenta la scadenza per la presentazione del Documento Economico Finanziario, propedeutico alla proposta di budget fiscale per il 2019 (che deve arrivare alle commissioni parlamentari il 15 ottobre). Un target di deficit pubblico rispetto al PIL entro il 2%, senza un vasto utilizzo di misure una-tantum, sarebbe probabilmente accolto positivamente dai mercati finanziari, poiché non comprometterebbe il percorso di riduzione del debito pubblico e potrebbe essere considerato accettabile dalle autorità europee, soprattutto se accompagnato da impegni del Governo sulla sostenibilità dei conti a lungo termine.

 

 

 

 

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