Nonostante la turbolenza dei mercati e l’intenso flusso di eventi dell’estate, lo scenario macroeconomico globale non ha subito particolari variazioni entrando nell’ultima parte dell’anno. Mentre la crescita è relativamente stabile ed elevata, intorno al ritmo annuo del 3%, la divergenza geografica si sta intensificando, con una chiara leadership degli Stati Uniti, mentre sui Paesi Emergenti si affollano revisioni al ribasso e rischi negativi per la crescita. In Europa non ci sono chiari segnali di accelerazione dal ritmo del 2/2,5% del primo semestre, che è di un punto percentuale inferiore a quello del 2017 ed a quello USA previsto per il 2018. La divergenza di crescita dovrebbe persistere per il resto del secondo semestre, fino a quando gli effetti positivi dello stimolo di politica economica non inizieranno a manifestarsi in Cina verso la fine dell’anno.
Le pressioni inflazionistiche sono diffuse sia nei Paesi Sviluppati che Emergenti, ma, al netto del rialzo del prezzo del petrolio, le cause sono molto diverse nelle due aree geografiche: crescita economica persistentemente sopra il potenziale nei Paesi Sviluppati, inflazione importata dalla recente svalutazione dei cambi nei Paesi Emergenti. Questa dinamica, combinata con la divergenza di crescita economica, determina un’evidente divergenza di politica monetaria. L’orientamento è chiaramente restrittivo in Nord America, che è in una fase più avanzata del ciclo economico, ed in alcune economie europee più piccole e aperte internazionalmente (Gran Bretagna, Norvegia, Svezia). Eurozona, Giappone e Australia sono invece in una fase più arretrata del ciclo e qui le Banche Centrali seguono una linea più cauta ed espansiva. Mentre in Cina la politica monetaria è diventata espansiva per supportare la crescita, negli altri Paesi Emergenti è invece restrittiva per frenare l’effetto inflazionistico delle svalutazioni.
Il rapporto tra i fattori di rischio per lo scenario è ora chiaramente al ribasso. Le condizioni macroeconomiche nella maggior parte dei Paesi Emergenti sono in rapido deterioramento; il persistente stress finanziario e la politica economica restrittiva che sta venendo implementata per contenerlo sta alimentando drastiche revisioni al ribasso delle prospettive di crescita. In Europa i rischi al ribasso si sono intensificati, sia per l’esposizione alle economie Emergenti, sia per l’incertezza politica domestica (Italia, Brexit). L’economia USA rimane relativamente protetta per il resto dell’anno dalla massiccia espansione fiscale, ma l’attesa intensificazione degli effetti negativi della restrizione monetaria e delle iniziative protezionistiche implica che il tasso di crescita del PIL del 3% del 2018 difficilmente risulterà sostenibile. Inoltre, con l’avvicinarsi delle elezioni di medio termine di novembre, l’attivismo politico della Casa Bianca sta già aumentando, con effetti potenzialmente destabilizzanti in politica estera e commerciale.
Lo scenario macro ed i suoi fattori di rischio sta producendo una decisa sovraperformance degli asset rischiosi dei Paesi Sviluppati rispetto a quelli dei Paesi Emergenti e degli asset USA (equity e credito corporate) rispetto a quelli dei Paesi Sviluppati. Questi trend sembrano destinati a continuare a breve termine e supportano la nostra view ancora negativa sull’equity Emergente. Manteniamo la view neutrale sull’equity dei Paesi Sviluppati, in linea con una dinamica di mercato di fine ciclo in cui la maggiore probabilità di correzioni non pregiudica il test di nuovi massimi fino all’imminenza della
prossima recessione (probabilmente nel 2019/20).
Riduciamo ancora l’esposizione sugli asset Emergenti, portando a negativa la view sul debito in valuta locale e sulle valute Emergenti e concentrando le posizioni sul debito in valuta forte e, tra le divise, sul peso messicano. Non è chiaro se i catalizzatori a livello locale (Banche Centrali turca e russa, Fondo Monetario per l’Argentina, elezioni in Brasile) siano sufficienti a stabilizzare i mercati Emergenti o se siano necessari catalizzatori più sistemici, come la riduzione delle tensioni commerciali USA-Cina, l’accelerazione dell’economia cinese o la risincronizzazione della crescita globale, tutti eventi improbabili prima del quarto trimestre. Una Fed più accomodante sarebbe un catalizzatore potente ma sarebbe sorprendente alla luce delle comunicazioni recenti.
Portiamo la view sui titoli di Stato italiani da negativa a neutrale, dal momento che gli ultimi sviluppi, uniti ad un consistente premio per il rischio politico, hanno reso il profilo rischio/rendimento più equilibrato. La linea più accomodante del Ministro del Tesoro Tria sta prendendo il sopravvento rispetto a quella aggressiva dei Vice Presidenti del Consiglio e la retorica governativa sulla preparazione del budget 2019 è diventata di conseguenza più costruttiva, anche se gli investitori rimarranno probabilmente cauti sull’Italia fino a quando l’affidabilità del Governo non sarà accertata.
Portiamo la view sul credito corporate high yield da neutrale a positiva, dopo aver migliorato la view sulla componente Euro a positiva, in linea con la componente US$. La posizione ciclica dell’economia dell’Eurozona e la linea di politica monetaria della BCE sono di supporto all’asset class e dopo la significativa sottoperformance da fine 2017 rispetto al corporate high yield US$, le valutazioni sono relativamente più attraenti. La compressione del premio per il rischio politico italiano, che ha più recentemente pesato sull’asset class, può essere il catalizzatore per il recupero.