Il mese di settembre è cominciato con generalizzate prese di profitto per i mercati degli asset rischiosi, che questa volta hanno colpito anche gli Stati Uniti. L’S&P 500 ha registrato la prima perdita settimanale dalla seconda settimana di agosto, con l’indice NASDAQ che ha sottoperformato ampiamente nell’ambito dell’equity USA seguendo il flusso di notizie negativo sul settore tecnologico (in particolare le audizioni al Congresso del top management di alcuni colossi di internet). Ciononostante, i trend in azione da diversi mesi rimangono intatti, in particolare la generale sovraperformance degli asset rischiosi dei Paesi Sviluppati rispetto a quelli dei Paesi Emergenti e la sovraperformance degli asset USA (equity e credito) rispetto a quelli dei Paesi Sviluppati.
La persistenza di questi trend dipende verosimilmente dallo scenario macroeconomico: la batteria di indici PMI e ISM per il mese di agosto ed altri dati come l’indice IFO tedesco e la creazione di nuove buste paga non agricole negli USA confermano che la crescita economica globale rimane stabile e relativamente elevata, sopra il 3% su base annua, in linea con i trimestri precedenti. Inoltre continua ad essere fortemente incentrata sugli Stati Uniti. Nonostante l’outlook economico positivo per gli USA sia ormai di consenso, i dati continuano a sorprendere al rialzo (come l’ISM Manifatturiero e quello non Manifatturiero) e sono coerenti con un ritmo annuo di crescita dell’economia intorno al 3,5% per il terzo trimestre, che segue il +4,2% del secondo trimestre. Nel frattempo, in Europa il flusso di dati macroeconomici sembra stabilizzarsi ma non vi sono segnali di accelerazione rispetto al +2/2,5% del primo semestre; infine sulla crescita dei Paesi Emergenti si affollano rischi al ribasso.
In questo scenario, la debolezza degli asset rischiosi della scorsa settimana è riconducibile principalmente a due fattori. In primo luogo, le tensioni commerciali tra USA e Cina si sono riaccese. Terminate le consultazioni, nuovi dazi sulle importazioni di beni cinesi verso gli USA per 200 miliardi US$ potrebbero essere annunciati in qualunque momento, mentre il Presidente Trump ha minacciato di imporre dazi su altri 267 miliardi US$ aggiuntivi di importazioni dalla Cina, assoggettando di fatto a dazi tutte le importazioni di beni cinesi. Questa nuova escalation è molto probabilmente collegata alla campagna elettorale delle elezioni di medio termine ed è destinata a persistere e potenzialmente intensificarsi fino al voto. Con i sondaggi che assegnano la maggioranza della Camera dei Rappresentanti al Partito Democratico, la prospettiva di una maggiore ostilità del Congresso sta già spingendo la Casa Bianca ad un maggiore attivismo politico, concentrato sugli ambiti che sono più strettamente di competenza della Presidenza come politica estera e commerciale. Inoltre, mentre i dazi sulle importazioni finora hanno avuto un impatto trascurabile sull’economia USA, la recente escalation intensifica i rischi al ribasso per la crescita per il 2019, avendo i nuovi dazi una maggiore focalizzazione sui beni di consumo, aumentando le pressioni inflazionistiche (che possono indurre un’accelerazione della stretta monetaria della Fed) e spingendo la Cina a misure di ritorsione “non convenzionale” (come i boicottaggi di prodotti USA).
L’altro fattore che ha pesato maggiormente sui mercati è il persistente stress finanziario dei Paesi Emergenti. Mentre in Turchia c’è attesa per la riunione della Banca Centrale di giovedì ed in Argentina per la revisione del piano di salvataggio del Fondo Monetario Internazionale, questa settimana l’attenzione è stata concentrata sulla discesa in recessione del Sudafrica nel primo semestre e sulla prospettiva di nuove sanzioni dai Paesi Sviluppati contro la Russia. Con crescenti segnali di contagio dai Paesi più vulnerabili a quelli meno vulnerabili (ad esempio la recente debolezza della rupia indonesiana) e con le stime di crescita economica che vengono riviste al ribasso e quelle di inflazione al rialzo, non è chiaro se gli imminenti catalizzatori a livello locale (riunioni delle Banche Centrali turca e russa, Fondo Monetario per l’Argentina, elezioni in Brasile) siano sufficienti a stabilizzare la situazione. Più probabilmente è ora necessario un catalizzatore più sistemico, come una riduzione della tensione commerciale USA-Cina (improbabile prima di novembre), un’accelerazione dei dati macroeconomici cinesi (improbabile prima del quarto trimestre), una Federal Reserve più accomodante (non improbabile ma sarebbe sorprendente dopo le recenti dichiarazioni dei componenti del Board) o una risincronizzazione della crescita dell’economia globale (anche in questo caso, improbabile prima del quarto trimestre).
L’Italia rappresenta invece uno sviluppo positivo dell’ultima settimana. Dopo che lo spread decennale BTP-Bund è arrivato a ridosso dei 300 bp, sembra che la linea accomodante del Ministro del Tesoro Tria stia prendendo il sopravvento rispetto a quella aggressiva dei due Vice Presidenti del Consiglio e la retorica governativa sulla stesura del budget 2019 è diventata di conseguenza più costruttiva. Una proposta di bilancio con sforamento dei target europei del rapporto deficit/PIL entro la soglia del 2% (invece che del 3% ventilata solo fino alla settimana prima), se ben comunicata ed accompagnata da garanzie di stabilità a lungo termine, ha buone probabilità di essere accolta dall’Unione Europea e dalle agenzie di rating. Il cambio di tono della retorica governativa è stato accompagnato da un forte rally degli asset italiani, principalmente in conseguenza delle ricoperture delle posizioni ribassiste, ed ha probabilmente aperto una finestra di sovraperformance, ma gli investitori rimarranno probabilmente cauti sull’Italia fino a quando l’affidabilità del Governo non sarà accertata.
Infine, il dato superiore alle attese sulla crescita del salario medio orario nel report sul mercato del lavoro USA di agosto sembra aver fatto scattare al rialzo i rendimenti dei Treasuries, a dispetto della generale avversione al rischio, con il rendimento sulla scadenza decennale che si sta avvicinando alla soglia del 3% per la prima volta da inizio agosto. Anche se tale movimento è certamente compatibile con il flusso dei dati macroeconomici, l’inversione della correlazione tra rendimenti (al rialzo) e Borsa (al ribasso) è uno sviluppo da monitorare con attenzione, dal momento che un simile evento è stato tra le cause della correzione dei mercati di gennaio (colpendo duramente certe strategie quantitative e bilanciate che sono molto sensibili a shock sulle correlazioni).