Il punto sui mercati

 L’ultima settimana di agosto è stata nuovamente caratterizzata dall’elevata turbolenza che ha contraddistinto i mercati finanziari per gran parte del mese. Mentre la prima parte della settimana è stata dominata dall’inaspettato accordo tra USA e Messico per la revisione del trattato commerciale NAFTA e dalla decisa rottura al rialzo dei massimi di gennaio e di quota 2900 da parte dell’indice S&P 500, l’avversione al rischio si è nuovamente intensificata verso la fine della settimana per lo stress finanziario incentrato su Argentina, Turchia e Italia e per la rinnovata aggressività della Presidenza Trump sul fronte della politica commerciale nei confronti di Cina ed Unione Europea.

Come accennato, la tensione sugli asset italiani si è intensificata, spingendo lo spread decennale BTP-Bund ai massimi dalla crisi politica di maggio, arrivando a toccare quota 290 bp. Con l’avvicinarsi delle scadenze del 27 settembre per l’aggiornamento del Piano di Stabilità e del 15 ottobre per il budget 2019, gli investitori rimangono cauti, sia perché la retorica di parte del Governo italiano continua ad essere molto aggressiva nei confronti dell’Unione Europea, sia per i timori che le proposte di espansione fiscale, portando il deficit a ridosso del 3% del PIL, possano compromettere il percorso di riduzione del debito pubblico rispetto al PIL, che è già in difficoltà per il peggioramento delle prospettive di crescita economica emerso dagli ultimi dati. La retorica aggressiva del Governo riduce la disponibilità delle autorità europee a concedere “sforamenti” dei target, che sono sempre stati concessi in cambio di garanzie di lungo termine, e, a causa dell’elevato indebitamento, l’Italia non è nelle condizioni di registrare deficit prossimi alla soglia del 3% del PIL, come alcuni Paesi dell’Europa Orientale, che hanno però una politica monetaria indipendente ed debito pubblico pari ad una frazione di quello italiano. In ultima analisi un accordo per un deficit tra l’1,5% ed il 2% è lo scenario più probabile, ma il percorso per raggiungerlo nel mese di settembre si conferma essere particolarmente accidentato. Gli ultimi eventi stanno mettendo in discussione lo scenario “Portogallo 2015” per lo spread BTP-Bund (dopo un picco iniziale, lo spread sarebbe rimasto elevato e crescente fino a quando il nuovo Governo non si fosse conquistato la fiducia degli investitori), mentre aumenta la probabilità dello scenario estremo “Tsipras prima versione”, in cui l’approccio estremamente aggressivo del Presidente Tsipras dopo la vittoria elettorale spinse lo spread della Grecia ad un rialzo incontrollato, costringendolo alla fine a capitolare su tutti i fronti e ad accettare ogni richiesta dell’Unione Europea, dopo aver inflitto notevoli danni all’economia greca.

I Paesi Emergenti rimangono tuttavia l’epicentro della nuova ondata di stress. In particolare un grossolano errore di comunicazione del Presidente dell’Argentina Macri circa la necessità di accelerare gli esborsi della linea di credito con il Fondo Monetario Internazionale, senza definire i dettagli e senza apparente coordinamento con lo stesso FMI, è stato accolto con una svalutazione brutale del peso argentino (-20% in due sedute, -50% da inizio dell’anno) e vendite massicce sugli asset argentini. Nonostante la risposta rapida e decisa della Banca Centrale, che ha aumentato i tassi d’interesse dal 45% al 60%, le dichiarazioni del FMI di supporto al Governo e l’annuncio di un’ulteriore massiccia stretta fiscale per azzerare il deficit pubblico a livello primario già nel 2019 (rispetto al precedente target di deficit primario dell’1,3% per il 2019 e pareggio nel 2020), i mercati sembrano rimanere in attesa della ridefinizione delle condizioni del piano di salvataggio, che dovrebbe arrivare entro settembre. La revisione del piano, la maggiore austerità fiscale e l’elevato livello di supporto internazionale dovrebbero essere sufficienti ad isolare l’Argentina dalle turbolenze finanziarie ed a preservarne la solvibilità, eliminando la necessità di ricorrere ai mercati esteri per finanziarsi per tutto il 2019. Il peso argentino rimarrà probabilmente sotto pressione in qualità di principale valvola di riaggiustamento macroeconomico, che passerà attraverso una profonda recessione, fino a quando il deficit della bilancia delle partite correnti non sarà azzerato. Il rischio principale è che il riaggiustamento macroeconomico non sia abbastanza rapido e si sovrapponga alle elezioni presidenziali di ottobre 2019, aggiungendo un significativo rischio politico al processo di risanamento.

Il ritorno della Turchia dalle festività è stato parimenti accolto da una rapida svalutazione della lira turca, che punta nuovamente verso i minimi di inizio agosto contro US$ ed Euro. Con l’economia che si appresta ad entrare in recessione e l’inflazione che punta al 20% (17,9% su base annua in agosto dal 15,85% di luglio), la risposta di politica economica rimane inefficace, con il Governo che si affida principalmente a misure tecniche che portano sollievo a breve termine ma che sono ininfluenti per il riequilibrio macroeconomico di lungo termine. Il meeting del 16 settembre sarà guardato con particolare attenzione per valutare la capacità della Banca Centrale di aumentare drasticamente i tassi d’interesse a fronte dell’ostilità del Governo di intervenire su questo fronte.

Il risultato dell’intreccio di queste fonti di rischio idiosincratico con la persistente divergenza di crescita economica e di politica monetaria a favore degli USA è stato l’intensificazione della sovraperformance degli asset rischiosi americani (sia equity che credito) non soltanto rispetto a quelli dei Paesi Emergenti, che sono l’epicentro della nuova ondata di stress, ma anche rispetto a quelli europei, sui quali pesa sia la maggiore esposizione ai crescenti rischi al ribasso per la crescita nei Paesi Emergenti, sia il crescente premio per il rischio politico italiano. Mentre il US$ rimane la valuta rifugio per eccellenza, soprattutto quando la retorica commerciale USA si inasprisce, i maggiori beneficiari dello stress legato alle questioni fiscali italiane sembrano essere il Bund, che continua a sovraperformare il Treasury USA, ed il franco svizzero, che ha raggiunto i massimi da luglio 2017 contro Euro. Il ruolo di bene rifugio dell’oro, invece, rimane compromesso dalla generale forza del US$ e dai timori che il deterioramento dell’outlook dei Paesi Emergenti pesi sulla domanda di metallo.

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