Il punto sui mercati

 Il mese di luglio si avvia a conclusione con una delle più solide performance da gennaio per i mercati degli asset rischiosi, con l’andamento della scorsa settimana che ha dato un significativo contributo. Nonostante le prese di profitto delle ultime 3 sedute legate ad alcune sorprese negative sugli utili trimestrali nel settore tecnologico, l’S&P 500 è arrivato prossimo ai massimi dell’anno, lo Stoxx 600 in Europa ha accelerato al rialzo ed il credito corporate high yield USA ha segnato nuovi massimi per il 2018. Riflettendo il clima di maggior propensione al rischio, i rendimenti dei titoli di Stato hanno ripreso a salire, anche sull’aspettativa di un’imminente variazione della conduzione della politica monetaria in Giappone, e le curve dei rendimenti hanno continuato ad irripidirsi. Mentre i dati macroeconomici sono stati contrastati (positivi per gli USA, inferiori alle attese nel resto del mondo), il supporto è arrivato principalmente dal complessivo buon andamento della stagione delle trimestrali nei Paesi Sviluppati (negli USA il 90% delle società dell’S&P 500 sta battendo le stime sugli utili), dall’allentamento delle tensioni commerciali dopo l’inaspettato accordo tra Trump e Juncker e dall’annuncio di una politica fiscale più espansiva in Cina, che complessivamente hanno anche rafforzato la rotazione nelle performance relative emerse nelle ultime settimane.

In particolare, alcuni asset ciclici che erano stati particolarmente penalizzati nella fase di intensificazione delle tensioni commerciali hanno recuperato vigore, sia nei mercati azionari (sovraperformance dei settori industriale e bancario a fronte della sottoperformance di quello tecnologico) che delle materie prime (sovraperformance di metalli industriali e commodities agricole rispetto al petrolio). Inoltre dopo diverse settimane la sottoperformance degli asset dei Paesi Emergenti rispetto a quelli dei Paesi Sviluppati mostra segnali di esaurimento, comparsi prima sul debito in valuta forte, poi, da questa settimana anche sull’equity, mentre sul debito in valuta locale le vicende idiosincratiche e l’andamento del US$ e dei tassi USA rimangono i driver dominanti. La sovraperformance degli asset europei rispetto a quelli USA continua ad aumentare, in particolare sull’equity.

La settimana passata e quella corrente sono particolarmente intense dal punto di vista degli appuntamenti macroeconomici e politica monetaria, ma finora su questi fronti non sono emerse novità tali da alterare lo scenario macroeconomico di base. Sul fronte macro, la crescita del PIL negli USA del secondo trimestre ha confermato il messaggio del flusso di dati recente, registrando un solido +4,1% trimestrale annualizzato, il livello più elevato dalla metà del 2014. La solida performance dell’economia USA più che compensa la persistente debolezza di quella europea, con il PIL dell’Eurozona per il secondo trimestre risultato inferiore alle attese a +0,3% su base trimestrale, e supporta la tesi che l’economia globale sia passata nel corso del primo trimestre del 2018 da una lunga fase di crescita in accelerazione e sincronizzata ad una fase di crescita stabile ma elevata, intorno al 3,5% su base annua, e non sincronizzata, con gli USA chiaramente alla guida dell’espansione. Il flusso di dati macroeconomici di questa settimana include la batteria di indici PMI globali che sarà particolarmente importante per valutare il momentum dell’attività economica nel terzo trimestre, ma allo stato attuale il messaggio è sempre lo stesso: gli indicatori di fiducia negli USA e la composizione della crescita nel secondo trimestre sono coerenti con la prosecuzione della solida performance dell’economia americana, mentre sorprese negative hanno colpito Eurozona, Giappone e Cina. Sul fronte della politica monetaria, mentre il meeting della BCE, come previsto, non ha portato nessuna novità rispetto a quello di giugno, vi era molta attesa per quello della Bank of Japan, dopo le indiscrezioni di stampa secondo le quali la Banca Centrale sarebbe stata preoccupata delle conseguenze negative della sua politica monetaria per il sistema finanziario. Anche se alcune variazioni sono effettivamente state apportate, che giustificano parzialmente la recente tensione sui titoli di Stato giapponesi e che si è diffusa anche ai Bund tedeschi, l’orientamento di policy rimane comunque saldamente ultra-espansivo.

Le aspettative per l’incontro a Washington tra il Presidente USA Trump ed il Presidente della Commissione Europea Juncker erano molto basse, sia perché Juncker non ha l’autorità di negoziare la politica commerciale dell’Unione, sia perché l’atteggiamento di Trump nei confronti dell’Unione era diventato particolarmente aggressivo nelle ultime settimana. L’annuncio di un accordo di massima tra USA e UE sul commercio internazionale è stato così una genuina sorpresa, che ha favorito l’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari alimentate dalle recenti iniziative protezionistiche USA (insieme con gli sviluppi positivi sul NAFTA, che sono passati in secondo piano). L’accordo è soltanto di principio e ma di fatto potrebbe eliminare per alcuni mesi il rischio di dazi all’importazione negli USA di auto estere, fintanto che gli USA e l’Unione Europea saranno impegnati nei negoziati sulla ridefinizione dei loro rapporti commerciali. Mentre questo sviluppo è univocamente positivo per l’Europa, non è chiaro l’impatto sull’altro fronte commerciale ancora aperto, quello con la Cina, dove l’escalation protezionistica è stata di recente più forte, anche perché alcuni dei punti dell’accordo tra Trump e Juncker sembrano segnalare che l’Unione Europea sia disponibile ad affiancare gli USA nell’esercitare pressioni sulla Cina.

Proprio per l’intensificarsi dei rischi al ribasso per l’economia, il Governo cinese ha annunciato un significativo rilassamento della politica fiscale, che si affianca alle misure di politica monetaria espansiva già adottate. Storicamente, una politica economica più espansiva in Cina è un forte catalizzatore positivo per i mercati degli asset rischiosi almeno a breve termine, ma è probabile che l’impatto questa volta sia più modesto. In primo luogo lo stimolo fiscale appena annunciato corregge semplicemente la restrizione fiscale eccessiva del primo semestre, che ha portato ad una frenata indesiderata dell’erogazione del credito e della spesa in infrastrutture, e non rimuove le restrizioni al settore immobiliare e regolamentari. In secondo luogo il contesto esterno è poco favorevole, con la marcata divergenza di politica monetaria rispetto agli USA ed i rischi per il commercio internazionale. Il posizionamento degli investitori sugli asset cinesi o collegati all’economia cinese, tuttavia (come i metalli industriali o gli asset dei Paesi Emergenti) è tanto negativo quanto nei precedenti episodi di rilassamento della politica economica, e quindi crea le condizioni quantomeno per un rimbalzo tecnico di breve termine. Le variazioni a livello settoriale sono più importanti, dal momento che un chiaro focus sulla spesa per infrastrutture è storicamente positiva per i metalli industriali.

 

 

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