Il flusso recente di indicatori sembra confermare che lo scenario macroeconomico globale rimane positivo per il resto del 2018, ma negli ultimi mesi sono emerse alcune importanti variazioni rispetto a quello prevalente nel 2017. Sul fronte della crescita, mentre la fine della fase di accelerazione era diventata chiara già nel corso del 1Q, più di recente è venuta meno anche la sincronizzazione (tra Paesi Sviluppati e Paesi Emergenti e all’interno delle due aree). Con gli shock locali che tendono a compensarsi tra loro e gli indicatori anticipatori come gli indici PMI o la produzione industriale che non segnalano un rallentamento imminente, la crescita globale dovrebbe stabilizzarsi intorno al 3,5% per il resto dell’anno dal 3% del 1Q, con il buon andamento di USA e Cina che più che compensa la debolezza in Europa ed in una buona fetta dei Paesi Emergenti.
Anche il fronte dell’inflazione appare in movimento. In particolare la fase disinflazionistica dei Paesi Emergenti è molto probabilmente terminata e l’inflazione è attesa accelerare sulla scia delle svalutazioni dei cambi nell’ultima fase di stress sui mercati finanziari. Come conseguenza, un numero crescente di Banche Centrali ha abbandonato la linea monetaria espansiva (Russia, Brasile) o ha adottato una linea restrittiva (India, Indonesia, Turchia, Argentina). Nei Paesi Sviluppati il quadro sembra più stabile, con il processo di convergenza dell’inflazione verso i target delle Banche Centrali ben avanzato in Nord America; in Europa le sorprese macroeconomiche negative degli ultimi mesi supporterebbero un rallentamento del processo di normalizzazione della politica monetaria, ma le principali Banche Centrali, a partire dalla BCE, pur rimanendo relativamente più caute delle controparti nordamericane, non sembrano propense a rallentarlo troppo oltre il 2018.
I rischi per lo scenario sono complessivamente bilanciati. In particolare rimangono al rialzo per gli USA, dove la crescita è attesa accelerare significativamente dal 2Q, e per la Cina, dove il Governo mantiene espansivo il mix di politica economica più espansivo del previsto per proteggere l’economia dagli shock esterni. In Europa, invece, il rallentamento del 1Q sembra essere più persistente del previsto, con ulteriori rischi al ribasso dalla recente tensione politica nei Paesi periferici. Il principale rischio al ribasso è tuttavia la crescente restrizione delle condizioni finanziarie a livello globale, come conseguenza del repricing della politica monetaria della Fed (ora allineata alle previsioni della Banca Centrale) e del venir meno della compiacenza degli investitori per le fonti di rischio geopolitico. Questa dinamica ha esposto la vulnerabilità in alcune aree dei Paesi Emergenti, dove il mix di politica economica sta in conseguenza diventando fortemente restrittivo con effetti negativi sulla crescita, o laddove il premio per il rischio politico era troppo basso (Italia).
L’orientamento di politica estera e commerciale degli USA è probabilmente il principale fattore di rischio geopolitico. La risposta modesta dei mercati ai continui cambi di retorica riflette l’idea che la strategia generale USA sia di introdurre cambiamenti dirompenti per rinegoziare i rapporti con gli altri Paesi in una posizione di forza, ma sembra chiaro ora che gli Stati Uniti sono disposti a spingersi molto più avanti di quanto ci si potesse aspettare, creando una notevole incertezza sulla risposta delle loro controparti. Mentre questo elemento è destinato a persistere ancora a lungo, a breve termine l’epicentro dello stress finanziario ruota rapidamente sulla base delle situazioni idiosincratiche locali, in rapida successione Argentina, Turchia, Italia e da ultimo Brasile.
Lo scenario macroeconomico positivo e la prudenza delle Banche Centrali, soprattutto della Fed, nel gestire le aspettative degli investitori stanno proteggendo i mercati degli asset rischiosi dalle turbolenze geopolitiche, con gran parte della debolezza concentrata sugli asset dei Paesi all’epicentro dello stress finanziario. Per questo il nostro scenario di mercato continua a rimanere quello di una dinamica di fine ciclo, soprattutto con riferimento agli USA. Con gli indicatori più affidabili (come l’inclinazione della curva dei rendimenti dei Treasuries) che non segnalano un significativo rischio di recessione imminente e diversi asset rischiosi già colpiti da correzioni e sfoltimento delle posizioni, una riduzione generalizzata delle esposizioni rischiose continua a non sembrare appropriata.
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