Dopo un solido esordio del nuovo anno, il rally degli asset rischiosi sta continuando, guidato dal mercato azionario USA, dove l’S&P 500 non solo aggiorna continuamente nuovi massimi, superando anche quota 2800, ma sembra addirittura accelerare al rialzo: non solo la chiusura è stata positiva in 8 delle 9 sedute da inizio anno (9 su 10 considerando anche la seduta odierna), ma la variazione positiva media giornaliera sembra essere nettamente più alta in gennaio rispetto ai mesi precedenti. Il movimento è alimentato da un’intensa rotazione settoriale, con una forte sovraperformance dei comparti ciclici (industriali, consumi discrezionali, materie prime) e modesta per quello bancario, a fronte di una marcata sottoperformance dei comparti più difensivi e sensibili all’andamento dei tassi d’interesse come consumi non discrezionali, utilities ed immobiliare.
Nonostante l’andamento del mercato azionario, ad aver attirato maggiormente l’attenzione degli investitori nell’ultima settimana sono stati i movimenti di altri asset, dai rendimenti obbligazionari alle valute alle materie prime, che hanno testato livelli che non vedevano da diversi anni e che sono stati in gran parte alla base dei movimenti relativi nell’equity. Così, ad esempio, il rendimento del Treasury USA a2 anni ha raggiunto il 2% (prima volta dal 2008), EUR/US$ ha rotto al rialzo quota 1,20 (livelli di fine 2014) ed il petrolio Brent ha testato area 70 US$/barile (prima volta da fine 2014). Nonostante questi movimenti abbiano un buon supporto nei recenti sviluppi dello scenario macroeconomico, il posizionamento record sul mercato dei futures (per esempio rialzista di Euro e di petrolio) lascia pensare che la dinamica sia legata in gran parte alla ricostituzione indiscriminata delle posizioni degli investitori per il nuovo anno.
Probabilmente il movimento al rialzo sui tassi è quello più in linea con l’outlook macroeconomico. I tassi di interesse a lungo termine sono stati bloccati in un range per gran parte del 2017 dalla cautela delle principali Banche Centrali, facilmente giustificabile con il mancato risveglio dell’inflazione, ma che sembrava sempre più scorrelato dal buon andamento del flusso dei dati macroeconomici. Una rapida successione di eventi nell’ultima settimana ha finalmente ridestato gli investitori, partendo dall’Asia all’Europa fino agli USA:
- Prima la riduzione degli acquisti della Bank of Japan sulla parte lunga della curva dei JGB, che ha risvegliato la speculazione su una variazione della linea di “controllo della curva dei rendimenti” della conduzione della politica monetaria;
- Poi le notizie che la Cina stessa valutando una riduzione degli acquisti di Treasuries USA per le riserve in valuta estera, in parte smentite successivamente;
- A seguire le minute del meeting della BCE di dicembre, che sono
state interpretate come più “hawkish” del previsto;
- Sullo sfondo il rialzo continuo del prezzo del petrolio, che sta favorendo l‘aumento delle aspettative di inflazione: l’inflazione implicita nei titoli di Stato decennali indicizzati USA è tornata sopra il
2% per la prima volta dall’inizio del 2017.
Anche se il flusso di dati macroeconomici dell’ultima settimana è stato relativamente contenuto, l’impeto dell’economia dell’Eurozona sembra forte almeno quanto quello americano, coerentemente con un ritmo di crescita annua del PIL intorno al 3% tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018. In particolare la discesa del tasso di disoccupazione dell’Eurozona ha attirato l’attenzione, essendo molto più rapida delle previsioni della BCE, una dinamica analoga a quella registrata a suo tempo negli USA.
Le minute della BCE hanno chiaramente indicato la possibilità che, a causa dell’andamento dell’economia migliore delle attese, le guidance di politica monetaria possano essere modificate già all’inizio del 2018, una possibilità che ha colto gli investitori di sorpresa. Se prima delle minute le aspettative dei mercati erano per una prosecuzione del quantitative easing della BCE anche per tutto il 2018 al ritmo di 30 miliardi di euro di acquisti mensili per i primi 9 mesi più altri 3 mesi di acquisti a ritmo più ridotto, seguiti dal primo rialzo dei tassi intorno a giugno 2019, ora la tempistica del primo rialzo sembra spostarsi verso marzo 2019 dopo la fine brusca del quantitative easing a settembre 2018. Dall’altro lato dell’Atlantico, invece, la retorica della Fed è complessivamente neutrale e gli investitori continuano a prezzare un percorso di rialzo futuro dei tassi meno ripido di quello della Banca Centrale. Il risultato è stato un irripidimento della curva dei rendimenti del Bund a fronte dell’appiattimento di quella USA ed una generale debolezza del US$, specialmente contro Euro, complici anche le notizie politiche (possibilità di grande coalizione di Governo in Germania a fronte della turbolenza della Presidenza Trump).