Il punto sui mercati

 Dopo la chiusura positiva del 2018, il rally degli asset rischiosi è continuato senza sosta nel nuovo anno, con l’S&P in rialzo nelle prime 5 sedute consecutive del 2018 (dal 1928 è successo solo 7 volte, di cui l’ultima nel 2010), aggiornando i nuovi massimi storici. Nonostante l’approvazione della riforma fiscale del presidente Trump prima di Natale, la dinamica di mercato è più simile ad una fase di “reflazione” legata all’accelerazione della crescita economica mondiale piuttosto che di “Trumpflation”, dal momento che non vi è una evidente sovraperformance degli asset USA. I principali mercati azionari registrano generalmente performance positive da inizio anno tra il 2% ed il 4%, ma a sovraperformare sono i mercati più ciclici come Giappone

ed Paesi Emergenti, in particolare asiatici. Negli USA le società a grande capitalizzazione sovraperformano le small cap (che dovrebbero essere le principali beneficiarie della riforma fiscale), mentre a livello settoriale si sono distinti industriali, materiali di base, energetici e tecnologici, ma non i bancari (che saranno probabilmente colpiti da svalutazioni una tantum legate alla riforma nei bilanci relativi al quarto trimestre 2017). Gli spread corporate si sono ulteriormente contratti a fronte di una relativa stabilità dei rendimenti dei governativi, mentre le commodities sono balzate ai livelli del 2014/2015. La debolezza del US$ è la principale novità di questo inizio anno, che ha inizialmente determinato la sottoperformance dell’equity europeo, anche se una pausa nel rialzo di EUR/US$ è stata sufficiente a richiudere questa divergenza.

La settimana più intensa del mese per il flusso di dati macroeconomici è complessivamente coerente con tale dinamica di mercato. Negli USA gli indicatori di attività economica non sono stati uniformemente positivi (con l’ISM Manifatturiero ampiamente superiore alle attese ma sorprese negative sull’ISM Non Manifatturiero e sulle nuove buste paga non agricole), ma continuano a puntare ad un ritmo di crescita del PIL nel quarto trimestre tra il 2,5% ed il 3%. A giudicare dalle revisioni al rialzo degli indici PMI di dicembre e dal rimbalzo delle vendite al dettaglio di novembre dopo la debolezza di ottobre, il ritmo di crescita è anche più elevato in Europa, con la crescita dell’Eurozona avviata a superare quella USA alla fine del 2017 ed all’inizio del 0.18. In generale la batteria di indici PMI indica che l’economia mondiale è cresciuta ad un ritmo annuo intorno al 3,5% nell’ultimo trimestre dello scorso anno, in calo dai livelli intorno al 4% del secondo e terzo trimestre ma nella parte alta dell’intervallo prevalente negli ultimi 6 anni.

Le pressioni inflazionistiche rimangono invece sommesse, come indicato dal dato sulla crescita dei salari negli USA e dalla prima stima dell’inflazione nell’Eurozona per il mese di dicembre. Come conseguenza, gli investitori non hanno troppi incentivi nel riprezzare in termini più aggressivi la normalizzazione della politica monetaria negli USA (dove il rialzo dei tassi di marzo è già prezzato all’80% ed il tasso terminale dell’attuale fase restrittiva è inchiodato poco sopra il 2%) o nell’Eurozona (dove il primo rialzo dei tassi è atteso da qualche parte nel primo semestre del 2019). Per contro la fase disinflazionistica nei Paesi Emergenti sembra essere terminata, guidata da Asia ed Europa Orientale, spingendo alcune Banche Centrali (Corea del Sud a dicembre, Romania questa settimana) ad alzare i tassi.

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