Lo scenario macroeconomico continua ad essere positivo, essendo caratterizzato da crescita relativamente elevata e superiore al potenziale, da elevato livello di sincronizzazione geografica e da pressioni inflazionistiche relativamente modeste. L’economia mondiale ha mantenuto un ritmo di espansione sostenuto anche nel terzo trimestre, intorno al 3,5% su base annua. La novità più rilevante è l’inattesa rotazione della forza relativa verso gli Stati Uniti, visibile sia sugli indicatori di fiducia delle imprese e dei consumatori che sui dati di economia reale come gli ordinativi, le vendite di auto o la creazione di nuovi posti di lavoro, contrariamente alle aspettative di rallentamento legato agli effetti delle catastrofi naturali. L’economia europea ha continuato a crescere ad un ritmo annuo del 2,5%, ben superiore al potenziale, mentre l’espansione è rimasta solida in Cina e nel resto dell’Asia.
La batteria di indici PMI di ottobre conferma che l’economia mondiale entra in buone condizioni nel quarto trimestre, nonostante un modesto ripiegamento generalizzato (soprattutto nei Paesi Emergenti). In Europa, peraltro, gli indici rimangono a livelli storicamente coerenti con una situazione di surriscaldamento (se non fosse che ora il livello di eccesso di capacità produttiva, per quanto in diminuzione, è ancora elevato). L’aspettativa per questo trimestre è di un moderato rallentamento della crescita mondiale verso il 3% annuo, che rimane comunque un livello relativamente alto rispetto ai tassi di crescita registrati negli ultimi 6 anni. Mentre sull’Asia potrebbe pesare la riduzione dello stimolo di policy in Cina e la fine della fase positiva del ciclo dei prodotti tecnologici, il piano di stimolo fiscale crea rischi al rialzo per l’economia USA, anche se più posticipati al
2018.
Le pressioni inflazionistiche rimangono molto modeste, anche nei Paesi Sviluppati, nonostante la crescita economia sia persistentemente sopra il potenziale. Il rapido smaltimento dell’eccesso di capacità produttiva (basti pensare al calo della disoccupazione nell’Eurozona), le condizioni di surriscaldamento del mercato del lavoro visibili negli USA, il buon andamento dell’economia mondiale e le ripercussioni sui prezzi al consumo del rialzo dei prezzi delle materie prime giustificano, a nostro avviso, la linea di normalizzazione della politica monetaria in USA ed Europa, anche se significative divergenze possono ancora aprirsi, come avvenuto nelle ultime due settimane.
La Federal Reserve, infatti, supportata dalla discesa del tasso di disoccupazione sempre più al di sotto del livello di equilibrio di lungo termine, continua a ritenere solo temporanea la debolezza dell’inflazione e procede a passo spedito nella normalizzazione della politica monetaria. Anche gli investitori sembrano sempre più confidenti che, dopo il rialzo dei tassi di dicembre, i tre rialzi previsti per il 2018 possano andare a buon fine. La nomina presidenziale di Jerome Powell al vertice della Fed nel 2018 è all’insegna della continuità di policy, ma ora che il triumvirato Yellen-Fischer- Dudley, che ha dettato la linea negli ultimi anni, è in uscita e con altri 3 posti vacanti del FOMC su 7, vi è il rischio che le nuove nomine di parte repubblicana orientino la politica monetaria in termini più restrittivi, almeno a medio termine.
Per contro, in Europa sia la BCE che la Bank of England hanno sorpreso i mercati con decisioni più accomodanti del previsto (il “dovish tapering” della BCE ed il rialzo “dovish” della BOE). Anche se le motivazioni sono molto diverse (la BCE non ha fretta di ridurre lo stimolo monetario considerando la posizione ciclica dell’economia europea, mentre il rialzo della BOE è dovuto ad una contrazione del potenziale di crescita dell’economia piuttosto che ad un eccesso di domanda), tutte confermano l’idea che le Banche Centrali preferiscono rischiare per eccesso di prudenza piuttosto che per eccesso di zelo nel normalizzare la politica monetaria che può avere conseguenze imprevedibili sui mercati. Anche se l’iniezione di liquidità sui mercati da parte delle Banche Centrali continuerà per quasi tutto il 2018 (grazie a BCE e Bank of Japan), la reazione dei mercati al inaridimento progressivo dello stimolo monetario eccezionale degli ultimi anni non ha precedenti storici e la fiducia delle Banche Centrali nel ritorno dell’inflazione ai target è andata delusa più volte, tutti elementi che consigliano prudenza.
Sullo sfondo dello scenario macroeconomico positivo (che supporta generalmente tutti i mercati degli asset rischiosi), la dinamica di mercato è stata dettata nell’ultimo mese principalmente dal ritorno della “Trumpflation” (con accelerazione inattesa della riforma fiscale USA), dall’accelerazione inaspettata della crescita economica USA rispetto al resto del mondo (dopo aver sottoperformato per gran parte dell’anno) e dalla rotazione del differenziale di politica monetaria, con la Fed relativamente più restrittiva rispetto alle Banche Centrali europee. Questo si sta traducendo in una sovraperformance dei mercati azionari dei Paesi Sviluppati e, nell’ambito di questi, dei settori più ciclici e finanziari, nella sottoperformance dei titoli di Stato USA rispetto a quelli europei (soprattutto le sorprese accomodanti di BCE e BOE), nel recupero del US$ e nel rally delle materie prime. Dei driver di mercato sopracitati, la “Trumpflation” sembra la più vulnerabile, ora che la riforma fiscale entra nel vivo del dibattiti politici in Parlamento, ma gli altri catalizzatori sembrano più persistenti e generalmente di sostegno ai mercati degli asset rischiosi ed alle nostre decisioni di asset allocation.
Sull’equity confermiamo la nostra preferenza per l’Europa: ora che la crisi catalana sembra sotto controllo e che la BCE pare essere più cauta del previsto nella normalizzazione della politica monetaria, sembrano esserci le condizioni per un’accelerazione dell’equity europeo. L’altra area geografica su cui siamo positivi è il Giappone, il cui mercato azionario ha avuto una forte accelerazione per la combinazione di ritorno della “Abenomics” dopo il recente risultato elettorale e Bank of Japan che si conferma la Banca Centrale più accomodante del mondo. Sugli asset Emergenti, l’equity sta sottoperformando, in linea con le attese, per la percezione di politica monetaria più restrittiva negli USA e per l’incertezza sul Congresso del Partito Comunista cinese. Per queste stesse ragioni riteniamo di prendere profitto sull’asset class del debito dei Paesi Emergenti, che ha registrato da inizio anno una delle performance migliori tra gli asset rischiosi, ma che ora sembra sempre più guidata da fattori di rischio idiosincratico, che rischiano di compensarsi a vicenda.
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