Dopo settimane in cui le vicende geopolitiche hanno catalizzato l’attenzione, i buoni dati sul mercato del lavoro americano hanno riportato un po’ di interesse sugli aspetti di carattere macroeconomico.
Dopo il brutto dato del mese scorso, i nuovi occupati di giugno sono risultati nettamente superiori alle aspettative (287 mila contro attese di 180 mila). Il dato ha allontanato i timori sullo stato di salute dell’economia americana, anche se entrando nel dettaglio alcune indicazioni sono state meno positive (l’incremento dei salari orari si è fermato ad un +0.1%, inferiore alle stime) e la media trimestrale dei nuovi occupati resta piuttosto bassa, 147 mila, nettamente al di sotto dei livelli degli anni passati.
Ovviamente i buoni dati americani hanno avuto una certa influenza sulle aspettative di politica monetaria della FED, che, come avevamo già accennato la settimana scorsa, erano decisamente accomodanti: la probabilità di rialzo dei tassi implicita nei futures sui FED Funds è aumentata (quella di un rialzo entro la fine dell’anno è passata dal 12% al 30%), ma nell’insieme le aspettative restano piuttosto accomodanti (sino all’autunno del 2017 la probabilità di un rialzo è inferiore al 50%).
Al momento gli operatori sposano la tesi secondo cui sulla politica monetaria della FED hanno un peso rilevante questioni esterne all’economia americana, come d’altronde è stato confermato dalle minute dell’ultimo FOMC e dalle stesse parole della Yellen. Sul breve termine si è quindi creato un quadro piuttosto favorevole per Wall Street, con una FED molto cauta nel processo di rialzo dei tassi nonostante le buone indicazioni provenienti dall’economia americana. Questa situazione trova conferma nella buona impostazione tecnica dell’S&P500, che ha fatto segnare i nuovi massimi assoluti.
Il limite di Wall Street in questo momento risiede nei fondamentali, che rischiano di limitarne lo spazio di rialzo:
- con un P/E forward di 17.1x l’S&P500 non può essere considerato a buon mercato;
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è vero che negli ultimi mesi il momentum sugli utili è migliorato, ma il tasso di crescita resta abbastanza contenuto;
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in un contesto in cui i margini reddituali si collocano da mesi su livelli record, la crescita degli utili deve fare affidamento soprattutto sull’espansione dei ricavi, che devono però fare i conti con la bassa crescita dell’economia a livello globale.
Su questo fronte potremo avere un aggiornamento nelle prossime settimane, con la reporting season relativa al 2Q che ha preso il via ieri con i risultati di Alcoa, anche se, al di là dei movimenti di brevissimo termine, difficilmente i dati aziendali saranno in grado di influire sul trend di medio termine del mercato.
Sull’S&P500 il consensus stima per il 2Q un calo degli utili del 5% su base annua, una flessione per una buona parte ancora attribuibile al comparto energy. Anche questo trimestre si è caratterizzato per l’ormai usuale revisione al ribasso delle stime da parte degli analisti, per quanto in quest’occasione l’entità del taglio sembrerebbe inferiore rispetto a quanto si è sperimentato sul 1Q, considerato che dall’inizio di aprile la variazione negativa nella stima di EPS si è limitata al 2.7%.
Al di là delle questioni valutative, non va dimenticato che, a distanza di sette anni dall’avvio del ciclo, un rialzo azionario che continua ad essere prevalentemente alimentato dalle aspettative accomodanti di politica monetaria fa sorgere qualche dubbio sulla sua solidità di fondo.
Dove non vi sono problematiche di carattere valutativo è sulle Borse europee, che si trovano però a fronteggiare una situazione complessa, caratterizzata da bassa visibilità e conseguente elevata volatilità. Uno degli elementi di incertezza è la Brexit, che si è andata ad inserire su uno scenario di bassa crescita e, al di là degli sviluppi di lungo termine (tutti da valutare), avrà impatti negativi diretti sull’economia nel breve-medio termine. A questo riguardo è positivo che sia stata accelerata la successione a Cameron, evitando inutile ritardi nell’avviare i negoziati con l’Unione Europea e soprattutto nell’impostare adeguati interventi di policy a sostegno dell’economia.
L’altro aspetto che è destinato a giocare un ruolo importante per le prospettive di breve-medio termine dei mercati finanziari europei è la gestione della crisi del sistema bancario italiano. Purtroppo quelle di cui si sta ancora discutendo in merito all’intervento su MPS sono più che altro questioni di principio e non di sostanza, ma possono fare una differenza fondamentale, oltre che per gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati di MPS, per l’effetto contagio (positivo o negativo) che possono avere sul resto del sistema bancario italiano ed anche europeo. La scelta sul livello di diluizione da applicare al patrimonio nell’ambito della ricapitalizzazione, piuttosto che la scelta sul riconoscimento o meno del diritto di opzione, non modifica in modo sostanziale il costo dell’intervento per il soggetto che deve apportare le nuove risorse ma, arrivati a questi livelli di valutazione della banche, diventa determinante per la reazione del mercato.
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