Un mese di dicembre sempre più all’insegna della volatilità in scia al crollo che ha interessato il petrolio, che in questa fase rappresenta probabilmente la variabile più delicata: se è vero che il calo del greggio ha un significativo effetto espansivo sui paesi utilizzatori (con i prezzi dimezzatisi negli ultimi sei mesi i soli consumatori americani potrebbero arrivare a risparmiare 200 mld di $ su base annua), il ribasso disordinato di queste ultime settimane rischia di essere destabilizzante. Un esempio in questo senso arriva dalla Russia che, fortemente sotto pressione per l’impatto sulla sua economia (la Banca Centrale ha comunicato che nel caso di prezzo del petrolio intorno a 60 $ il PIL del 2015 registrerebbe una contrazione del 4.5%-4.7%. La crescente pressione a cui si trova sottoposta la Russia, già in rotta di collisione con il mondo occidentale per la vicenda ucraina, ci ricorda anche come il ribasso del petrolio aumenti in modo significativo i rischi sul fronte geopolitico, agli attuali livelli nessun paese produttore raggiunge il breakeven a livello di bilancio pubblico. Senza dimenticare i timori legati ad una crisi del comparto obbligazionario high-yield alimentati dalle difficoltà che il basso prezzo del petrolio potrebbe generare alle società attive nel settore dello shale oil.
Al di là del petrolio, la volatilità che ha interessato il mese di dicembre è anche conseguenza di alcuni importanti fattori, il meeting della FED. Considerato che sinora l’andamento di Wall Street è stato fortemente condizionato dalla presenza di una Banca Centrale accomodante. Sul fronte Grecia l’attenzione è tutta rivolta alla tornata del 29 dicembre, ma anche se l’anticipo delle elezioni di pochi mesi non cambia la prospettiva della vittoria di Tsipras, quindi la Grecia è e resterà fonte di volatilità dei mercati. Non è poi scontato che in caso di salita alla guida del paese, Tsipras mantenga l’atteggiamento intransigente evidenziato in passato, anzi è probabile che assuma una posizione più dialogante, soprattutto se non dovesse raggiungere, come probabile, la maggioranza assoluta. Resta il fatto che nel breve termine gli elementi di incertezza (dalla Grecia al petrolio/Russia) sono numerosi e, pertanto, non è possibile fare ipotesi sul rientro da questa fase di volatilità. In questo contesto di crescente nervosismo, in un’ottica di medio termine non va comunque dimenticato che:
– l’economia americana continua a fornire segnali di miglioramento;
– in Giappone dopo le elezioni dovrebbe essere impressa un’accelerazione sul fronte dell’Abenomics;
– il rallentamento dell’economia cinese dovrebbe andare di pari passo con l’aumento degli interventi di policy;
– l’Europa si sta avviando verso il QE.
Su quest’ultimo fronte la sostanziale stagnazione dell’economia, i modesti risultati della seconda asta del LITRO ed i rischi di deflazione accentuati dal crollo del petrolio, hanno ulteriormente alzato le aspettative sull’annuncio di un QE su larga scala nei primi mesi del prossimo anno. Restiamo dell’idea che Draghi, forte della maggioranza che può contare in Consiglio (le ultime indicazioni parlano di 19 membri su 24), andrà dritto per la sua strada, nonostante l’opposizione tedesca, ribadita più volte negli ultimi giorni da Weidmann.
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