La crisi di stati e mercati è anche la crisi di coloro che hanno creduto o credono ancora, nonostante tutto, nell’onnipotenza della mano invisibile del mercato sulle sorti economiche del mondo. Il mercato ha dunque fallito? Sembrerebbe di sì, osservando quel che sta accadendo, anche se in realtà il mercato invisibile, onnisciente ed efficiente dei testi di economia non troverà mai pace e realizzazione in questa terra, a causa degli attriti e delle imperfezioni che, per fortuna o sfortuna, caratterizzano le vicende economiche e sociali della nostra realtà globale. Da una parte, l’avvento della crisi ha soggiogato le leggi di mercato a quelle – meno semplici, efficienti ed efficaci – della politica e degli stati. Per altro verso, l’influenza di animal spirits ed asimmetrie/frammentazioni informative si fa sempre più invadente rispetto alle leggi che dovrebbero equilibrare in modo dinamico gli assetti di mercato – razionalità delle decisioni; informazioni veritiere, simmetriche, accessibili; fondamentali delle aziende e dell’economia; interazione fra domanda ed offerta; rapporto sviluppo/occupazione/inflazione – anche a causa delle nuove tecnologie che, annientando distanze ed inibizioni materiali, incrementano esponenzialmente, da una parte all’altra del globo, gli effetti turbolenti dell’impulsività di valutazioni e decisioni prese da singoli individui. Qualsiasi tipo di mercato moderno opera in effetti sulla base di sistemi di connessione ed operatività virtuali che, bypassando la mediazione del face to face nei rapporti fra operatori ed annullando la vischiosità del processo valutazione-decisione-azione dei singoli, possono indurre gli attori di mercato, a vario livello, ad errori di valutazione, incertezze nella decisione ed emotività nell’azione. Nei mercati finanziari, ad esempio, sempre più sono gli investitori, istituzionali e non, che si avvalgono di sistemi di trading e di algoritmi automatizzati che scatenano volatilità ed incertezza sui corsi di mercato degli strumenti finanziari, muovendo ingenti capitali a prescindere dalla reale valutazione delle vicende e delle informazioni esistenti in un dato momento, che si susseguono ed accavallano in modo caotico e frastagliato, a causa dei nuovi mezzi e modalità di divulgazione, non potendo essere perfettamente comprese e completamente governate da macchine sofisticatissime che prendono decisioni in luogo degli uomini, sulla base di input asettici stabiliti da umani schematismi. Stesso dicasi per il mercato del lavoro, ove sistemi di connessione ed informazione a distanza hanno preso il sopravvento sull’interazione diretta fra chi offre e chi cerca opportunità, in particolar modo nella fase di screening iniziale. Tale screening a distanza può indurre in errori di valutazione ed inficiare la correttezza e trasparenza di rapporti ed informazioni nelle successive fasi di interazione fra richiedente ed offerente, potendo condurre a scelte errate da ambo le parti. Che dire poi dei mercati dei beni alimentari e delle materie prime, le cui quotazioni sono crucialmente determinate non dalla domanda e dall’offerta reale di tali beni, bensì dalle speculazioni telematiche su strumenti finanziari derivati che tali beni hanno come sottostanti? Anche in questo caso, ne deriva che i mercati di riferimento sono caratterizzati da elevata volatilità ed instabilità, con la conseguenza che i prezzi non esprimono valori reali, ma emotivi od intenzionali, a tutto scapito dei consumatori di tali beni e materie. Può darsi quindi che il mercato abbia fallito per tutte le citate ragioni: gap fra teoria e realtà, interferenza della politica, assenza di razionalità degli individui, virtualità delle relazioni e degli scambi, utilizzo e governo delle nuove tecnologie, speculazioni finanziarie. Ma, più probabilmente, la prima causa del fallimento è stata quella di aver applicato logiche di mercato ad ambiti del quotidiano vivere che avrebbero dovuto essere invece gestiti in base a principi di equità, giustizia, solidarietà, benessere collettivo, con più umanità e meno tecnologia. Perché il mercato esiste per valori negoziabili e scambiabili in base a logiche mercatizie, non invece quando si tratta di trovare un compromesso, od un equilibrio dinamico – per dirla in termini economici – fra interessi e bisogni socialmente rilevanti. Innumerevoli sono gli esempi di fallimento sociale davanti ai nostri occhi, causati da questo errore concettuale: in Cina le leggi di mercato si applicano in materia di welfare e diritti umani; negli Stati Uniti si applicano in materia di sanità ed istruzione; in Italia si applicano in materia di giustizia e di politica; in Africa le leggi di mercato si applicano alla vita stessa degli uomini; in Europa si usano le regole di mercato per tenere insieme le nazioni. Si potrebbe ripartire da un principio laico-evangelico, per restituire dignità al mercato ed alla società, con buona pace di liberisti e socialisti: dare al mercato quel è che del mercato, restituire alla società quel che le appartiene. Il mercato potrebbe così liberarsi della politica, la società del mercato e della politica, e la politica fare solo quel che le spetta, in via residuale. Si riuscirebbero così a meglio governare le variabili che hanno causato il fallimento dei mercati, della società e della politica, in un colpo solo.