LEAP/E2020, conferma la crisi sistemica globale e segnala nel G20 di settembre il cambio epocale
IL CROLLO DEL $ USA OBBLIGHERA’ IL MONDO AD UNA RIORGANIZZAZIONE
L’ultimo GEAB (Global Europe Anticipation Bulletin) pubblicato periodicamente dal gruppo Leap/E2020 (www.leap202.eu), ripreso più volte in quanto esprime previsioni decisamente ponderate, seppur fuori dal coro ma nel complesso corrette fin dal lontano ottobre 2006, torna a battere nel suo report n. 72 sul tema del “crollo del dollaro” e sull’inevitabile “Crisi Sistemica Globale” necessaria allo scenario di passaggio tra un prima ed il dopo.
Nel riportare un parziale estratto della parte pubblica del report, il cui titolo è “la realtà o l’anticipazione del crollo del dollaro obbligherà il mondo ad organizzarsi su nuove basi”, è necessario sottolineare che tale organizzazione è profondamente europeista e dunque offre un punto di vista ben definito.
LA CRISI DEL $ USA
Così come la crisi dell’Euro avrebbe spinto l’Europa a modernizzare la sua politica di gestione economica e finanziaria per potersi adattare alle sfide del XXI secolo, la terribile crisi del dollaro obbligherà il pianeta a trasformare l’intera struttura amministrativa mondiale, a cominciare dal sistema monetario internazionale e questo se si vorrà riuscire a calmare la tempesta che si appresta a scoppiare fra le valute.
La riorganizzazione comincerà a concretizzarsi solo a partire dal G20 di settembre e rischia purtroppo di dover invece avvenire in modo molto rapido in quanto come anticipato nel GEAB n. 71 si prevedono i primi grandi sconvolgimenti della moneta statunitense già a partire dal marzo-giugno 2013.
PETRODOLLARI IN DECLINO
Secondo Leap/E2020, non è una sorpresa affermare che uno dei principali fattori che accelereranno il declino dell’influenza statunitense sul resto del mondo, è legato al petrolio e perciò assisteremo agli ultimi giorni dei petrodollari, ovvero all’elemento chiave della dominazione USA in quanto ormai da tempo il consumo di petrolio dei paesi emergenti ha superato quello dei paesi occidentali. Le motivazioni dettagliate sono però riportate nella area riservata con l’emblematico titolo “2013-2015: La fine del regno dei petrodollari sul resto del mondo” ma in ogni modo i problemi legati al petrolio svolgeranno secondo loro un ruolo significativo nel ridisegnare il mondo del dopo-la-crisi.
I PREPARATIVI AMERICANI
Secondo il team, l’annuncio per la fine di aprile di una nuova caduta degli Stati Uniti nella recessione (due trimestri consecutivi di calo del PIL) farà sicuramente la sua brava impressione sull’economia mondiale, seppur vi saranno delle scuse proposte per giustificare una diminuzione del PIL in una economia che, ufficialmente, dovrebbe essere in ripresa.
Ciò nondimeno, nel report viene dichiarato che sarebbe stata approntata una “diga” per evitare queste onde: per esempio, ad Egan Jones, un’agenzia di rating del credito meno nota delle sue tre sorelle maggiori (quella, per intenderci, che ha già declassato gli Stati Uniti ad AA- per tre volte), è stato proibito di valutare il rating del paese per 18 mesi nonché è in corso un’azione legale nei confronti di una fra le tre principali agenzie di rating del credito, S&P, l’unica delle tre che abbia avuto il coraggio di effettuare il downgrade degli Stati Uniti.
Per Leap2020, sarebbe perciò un monito su come devono muoversi le agenzie di rating ma questa “diga”, sebbene inutile, rivelerebbe peraltro che il livello di paura è ai suoi massimi per quanto riguarda il 2013 e questo sarebbe solo un ulteriore segno dell’imminenza di un grosso scossone.
GESTIONE DEI FALLIMENTI
Di fronte a questo possibile shock, il gruppo di ricerca ritiene che la maggior parte dei paesi, compresi gli Stati Uniti, potrebbero prendere in considerazione di applicare alla gestione della crisi uno “stile islandese”, ovvero: rinunciare al salvataggio delle banche per farle collassare.
Questa possibilità appare sempre più essere “la” soluzione in caso di una ricaduta delle banche, e questo per i seguenti motivi:
• in primo luogo, a giudicare dalla ripresa islandese, sembra molto più efficace dei piani di salvataggio posti in essere nel 2008-2009;
• in secondo luogo, in tutta verità, i paesi non hanno abbastanza risorse per finanziare nuovi salvataggi;
• infine, non si può negare che potrebbe essere davvero una grande tentazioni per i leader politici: liberarsi in un modo popolare di una parte dei debiti e dei “titoli tossici” che ingombrano la loro economia.
TENDENZE IN CORSO
Seguendo questo concetto è possibile individuare secondo Leap/E2020, alcune delle tendenze attualmente in corso: gli sforzi che alcuni Stati stanno compiendo per spingere le banche a separare i fondi per gli investimenti dai depositi bancari sarebbero infatti il tentativo di garantire che eventuali difficoltà nei primi non abbiamo troppo impatto sui secondi.
Lungo la stessa linea di ragionamento, tutte le cause in cui sono (peraltro giustamente) attualmente coinvolte alcune grandi banche, possono anche essere viste come un mezzo per recuperare da loro il denaro per poi ri-iniettarlo nelle casse degli stati o nell’economia reale.
Probabilmente i leader dei principali paesi non se la sentiranno di prendere la decisione di far “saltare in aria” una banca, ma una cosa secondo Leap/E2020 è certa: la motivazione ed i mezzi che d’ora in poi verranno messi in atto per salvare le banche in difficoltà non avranno più nulla a che fare con le misure che erano state attuate nel corso del 2009.
IN OGNI MODO
Se una certa indulgenza potrebbe essere mostrata nei riguardi di coloro che sono “troppo grandi per fallire”, come ad esempio la Bank of America che attualmente pare essere in difficoltà, certo è che le responsabilità per gli errori compiuti verranno in un prossimo futuro fatte scontare senza riserve.
Ma qualunque sia la politica di gestione che verrà intrapresa in questo periodo, questo nuovo scossone accelererà il declino dell’influenza degli Stati Uniti e, in particolare, minerà alla base la loro ultima arma: il dollaro.
Una frase di Antonio Gramsci, riportata nel report descrive magnificamente il lungo e pericoloso periodo di transizione che secondo loro ci attenderebbe: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”. Questo periodo, alla fine, sta terminando, ma i mostri si agitano ancora.
MERCATI AMERICANI AL TEST DEI MASSIMI STORICI
Jim Cramer, noto commentatore economico-finanziario della Cnbc, ha recentemente sentenziato sull’attuale rally dei mercati azionari, dicendo: «Sappiamo tutti che le cose andranno a finire male, ma nel frattempo possiamo fare un pò di soldi», una frase che ricorda le tristemente note parole espresse dall’ex n.1 di Citibank, Charlese Princers, all’epoca del collasso di Lehman Brothers: “finché c’è musica, bisogna continuare a ballare”.
Tali commenti, sembrano ancor più supportati dall’evidente scollamento tra i dati economici reali e l’andamento dei mercati. Mauro Bottarelli, giornalista per IlSussidiario.net, ha recentemente ribadito il concetto con l’articolo “I numeri che ci avvicinano ad una nuova Lehman”. Nel suo editoriale evidenzia come nel 2007 la crescita del Pil era al +2,5%, mentre ora è al +1,6%; i disoccupati erano 6,7 milioni, oggi sono 13,2 milioni; gli americani che ricevono un sussidio statale mensile per comprare cibo era di 26,9 milioni, oggi è di 47,69 milioni; lo stato patrimoniale della Fed era di 0,89 triliardi di dollari, oggi è di 3,01 triliardi; il debito/Pil era del 38%, oggi è del 74,2%; il deficit Usa era di 97 miliardi di dollari, oggi è di 975,6 miliardi; il debito totale era di 13,5 triliardi di dollari, oggi è 16,43 triliardi; il rating di S&P’s era AAA, oggi è AA+; il volume di scambi giornalieri a Wall Street era di 1,3 miliardi di azioni, oggi meno di 550 milioni ecc.
Di fronte a ciò, è logico pensare che qualcosa non torni e questo a causa dell’effetto ricchezza generato dalle politiche monetarie non convenzionali adottate dalla FED, mirate alla rivalutazione degli asset finanziari e reali, necessari a sostenere i collaterali ed i relativi debiti. Un’azione la cui conclusione sembra convincere sempre più commentatori a ridimensionare i benefici futuri generabili dalla banca centrale, per non dire a presagire tragedie a conclusione del rally, come quella espressa da noto investitore svizzero Marc Faber, anche detto Mr. Doom. In un tale contesto, l’unica certezza è che prima o poi le politiche della FED avranno fine e quando cesserà l’acquisto di 85 miliardi di dollari di titoli ogni mese, probabilmente la musica smetterà di suonare e cosa succederà non è dato sapere, perciò è consigliabile fin da ora adottare sani ed ancor più rigidi criteri di controllo del rischio nella gestione del proprio portafoglio.
L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari.
Per domande e chiarimenti potete scrivere a: rubens.ligabue@gmail.com
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