
Non siamo di fronte a una novità. È dal 2015 che sono noti i problemi sul piatto. Primo problema: in un anno i tassi dei titoli di Stato americani su scadenze a 1-3 anni sono passati dallo 0,5% di fine 2014 all’1,1%, di fatto raddoppiati; il rialzo è stato più contenuto su scadenze lunghe (da 2,1% a 2,2% i titoli di Stato a 7-10 anni), ma il sentiero di un rialzo dei tassi americani pare tracciato, anche per via di scelte precise della Banca centrale Usa; questa crescita dei rendimenti ha drenato denaro dai Paesi emergenti verso gli Usa e ha messo a mal partito le loro valute.
Secondo problema: il noto rallentamento della crescita cinese ha depresso i prezzi delle materie prime. E non di poco: il calo medio in dollari nel 2015 è stato del 15,2% con scivoloni record del 36,3% per il petrolio e del 26,1% per il rame. Solo cacao, cotone, succo d’arancia e zucchero sono andati benino. Le grandi nazioni emergenti (India a parte, ma Brasile incluso) sono per lo più esportatrici di materie prime e, ovviamente, il grosso dei soldi lo fanno dai minerali e dall’energia, non certo dal cacao e dal succo d’arancia. Quindi oltre a fronteggiare un’emorragia di soldi che fuggivano verso gli Usa si sono trovati anche a dover fare i conti con un forte calo delle entrate fiscali che contavano sui dividendi dell’oro nero e dei suoi cugini.
PERCHÉ IL BRASILE NON È DA MENO
Il Brasile non è stato da meno. Secondo i dati preliminari del 2015 le esportazioni di materie prime sono calate del 20,4% (in dollari) rispetto a un anno prima. Visto che pesavano per quasi la metà delle esportazioni e che pure il settore manifatturiero ha subito cali pesanti siamo a un calo complessivo delle esportazioni del 15,1%. L’effetto sulla ricchezza prodotta è stato pesante: non è ancora uscito il dato dell’ultimo trimestre, ma al 30 settembre l’economia aveva perso il 3,16%. Il tasso di disoccupazione è salito dal 4,3% di dicembre 2014 al 7,5% di novembre 2015. Nel frattempo l’inflazione non si è fatta attendere e l’anno è finito con prezzi del 10,7% più alti rispetto a un anno prima, il dato dell’inflazione è il doppio del 5,2% con cui si era chiuso il 2014. Infine un ultimo dato: il real ha perso nel corso del 2015 ben il 25,2% sull’euro. Unico dato che resiste bene: le riserve di valuta estera sono 369 miliardi di dollari, non lontane dai livelli di fine 2014 (374 miliardi) che sono comunque prossimi ai massimi portati a casa in anni di vacche grasse.
I PROBLEMI SUL PIATTO DI BRASILIA
Ma come è possibile che la posizione del Paese si sia deteriorata tanto? Nel corso dell’ultimo quindicennio il governo brasiliano ha fatto sforzi enormi e meritevoli per sottrarre ampie fette della popolazione dalla povertà. Il programma di aiuto ai disagiati Bolsa Familia ad esempio continua tuttora a sostenere 13,9 milioni di persone. Questo programma è stato sostenuto dall’economia che cresceva. Ma i soldi spesi da una parte ovviamente non sono andati da altre parti e sono stati sottratti a politiche di investimento, ad esempio infrastrutturale. Ora che la situazione delle materie prime impone una contrazione dei soldi a disposizione i nodi vengono al pettine. Il Paese avrebbe bisogno di investire, ma allo stesso tempo è impegnato in progetti sociali costosi che, oltretutto, a detta di alcuni osservatori, sono espressione di diritti costituzionalmente tutelati, e su cui quindi è difficile fare tagli senza addirittura metter e in cantiere più importanti riforme costituzionali, il che induce rigidità al sistema. Ma non è finita qui. In momenti di crisi ci vuole unità d’intenti. Invece il Brasile sta affrontando una crisi politica enorme che ricorda quella italiana del 1992: c’è una tangentopoli che coinvolge il colosso petrolifero nazionale e che arriva a lambire gli ambienti del governo, e c’è una presidente la cui popolarità è ai minimi storici, che alcuni accusano di aver falsificato i bilanci dello Stato e che ha rischiato una procedura di impeachment (destituzione). Insomma: il Brasile è politicamente fragile e rischia ora di pagare salato il conto di aver fatto la cicala in tempi di vacche grasse. Le previsioni economiche per il 2016 sono, pertanto, molto pesanti. C’è chi parla di una contrazione economica del 3%, anche se ovviamente, visto il caos, siamo abbastanza nell’ambito cabalistico. L’ultima nota negativa è che le previsioni stanno peggiorando nelle ultime settimane.
DI SOLITO I MERCATI ANTICIPANO LE CRISI
Abbiamo detto che nel 2015 il real ha perso il 25,2% del suo valore rispetto all’euro. C’è di più: rispetto a 5 anni fa il suo valore risulta addirittura dimezzato. La Borsa (in valuta locale) risulta su livelli di meno del 10% inferiori rispetto a 5 anni fa (in euro siamo in calo di oltre il 50%) e questo mentre le Borse mondiali (in euro) han messo su il 60% circa. Sempre a fine 2015 dopo i cali il rapporto prezzo/utili (il valore al metro quadro delle azioni) della Borsa di San Paolo era a quota 11,4, per un confronto l’Europa nel suo complesso stava a quota 18,5. In termini di utili un’azione Brasiliana costa quasi il 40% in meno di una europea! E i tassi d’interesse? Non occorre andare a pescare i titoli di Stato brasiliani che sono in odore di taglio al rating e, quindi, sono un po’ più rischiosi. Basta che posizionarsi su emittenti europei ultrasicuri che, però, hanno emesso bond in real brasiliani e si può portare a casa anche il 10% netto!
In questo contesto è evidente che i mercati hanno già preso atto di una situazione molto difficile. Il problema è capire se hanno già preso atto di tutto e sono pronti al peggio o se possono ancora essere sorpresi da nuove cattive notizie. Non abbiamo la sfera di cristallo. Tuttavia possiamo dire che il Brasile, una nazione di 200 milioni di abitanti (e di consumatori), che è lì da quasi 200 anni. Non è destinata a liquefarsi come un qualunque staterello africano uscito dalla decolonizzazione più recente dopo decenni di rapina. Prima o poi (al limite alla prossima rimonta delle materie prime) dovrebbe rimettersi in sesto.
CHE FARE?
Prima situazione. Se sei uno che teme un calo dei prezzi dei suoi investimenti del 10% da un giorno con l’altro vuol dire che il tuo orizzonte temporale è molto breve: pertanto non devi farti trovare investito in Brasile.
Seconda situazione. Se sei uno che è cosciente che il Paese non è una meta adatta per investire a breve, ma se puoi pazientare almeno 5 anni prima di avere indietro i tuoi soldi, sappi che secondo i nostri modelli i tassi brasiliani sono così alti e il real è sceso così tanto che puoi acquistare i bond in questa valuta (ma di emittenti europei da tripla A). Se poi sei un investitore audace, uno di quelli che non teme perdite pur di cercare di portare a casa rendimenti extra, puoi anche acquistare le azioni. Idem se investi da qui a 10 anni. Se il tuo orizzonte temporale è molto lungo (20 anni, da qui al 2036!) non consigliamo i bond, ma, qualunque sia il tuo profilo di rischio, solo le azioni.
Da: Altroconsumo finanza
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