Il 2016 secondo Columbia Threadneedle

2016-new-yearIl 2016 sarà caratterizzato da uno scenario di crescita modesta e rendimenti contenuti, con margini societari penalizzati dalla debolezza della domanda finale e dall’eccesso di capacità in diversi settori. Saranno vincenti gli investitori che riusciranno a individuare società dotate di una crescita organica, i cui titoli dovrebbero quotare a premio rispetto ai concorrenti. Lo scenario relativo ai mercati emergenti resta difficile, soprattutto per quei paesi che hanno costruito le loro economie per soddisfare la domanda di commodity cinese.

1) Le conseguenze ignote dell’innalzamento dei tassi in un contesto globale di crescita debole. La peggior minaccia per il 2016 è forse il fatto che gli attuali indicatori macro e societari – crescita e inflazione modeste, domanda finale sottotono e prospettive sugli utili societari in deterioramento – non sono certo quelli che ci si attenderebbe in un momento in cui la principale banca centrale del mondo, ossia la Federal Reserve, è in procinto di avviare un ciclo di inasprimento dei tassi d’interesse. Ovviamente la Fed non vede l’ora di dare il via alla normalizzazione dei tassi, ma se si osservano i dati singolarmente è difficile giungere alla conclusione che la Fed abbia la necessità d’innalzare i tassi in modo rapido o aggressivo. I recenti dati sull’occupazione negli USA sono solidi, ma occorre contestualizzarli: i tassi di partecipazione negli Stati Uniti restano i più bassi degli ultimi 40 anni.

2) Il rallentamento economico della Cina è una sfida costante per alcuni mercati emergenti. L’altra grande incognita, dal nostro punto di vista, è la Cina. È in corso un rallentamento economico ma nessuno è in grado di prevederne con certezza la durata e la gravità. La nostra valutazione è che la crescita economica sarà inferiore al 7,5% registrato negli ultimi anni, ma rimarrà in territorio positivo, sostenuta dai consumi interni. Sarebbero necessari un crollo dei consumi e la scelta del governo di non intervenire e di non fare nulla a sostegno dell’economia perché la crescita scenda al di sotto dello 0%. Una prospettiva improbabile, a nostro avviso. Ciononostante, il rallentamento della Cina si rivelerà insidioso, soprattutto per alcuni dei suoi omologhi emergenti, e non vi sono esempi storici di espansione del credito di portata analoga a quella osservata in Cina che abbiano avuto un lieto fine.

3) Siamo più vicini alla prossima crisi che all’ultima? Il problema principale che gli investitori dovrebbero prendere in considerazione è quello della crescita economica e dei motivi per cui è ancora così modesta. La crisi Lehman risale ormai a più di sette anni fa, ma al di fuori degli Stati Uniti l’espansione è ancora sfuggente. Nel 2016 gli investitori cominceranno secondo noi a dubitare della validità di alcune delle politiche adottate dalle banche centrali e a chiedersi se tali politiche abbiano aiutato oppure ostacolato la crescita. Sono sempre di più coloro che ritengono che il QE abbia creato i presupposti affinché le società potessero assumere prestiti e investire nelle proprie attività ma abbia al contempo permesso la sopravvivenza di “società zombie” che avrebbero dovuto fallire molto tempo fa. In altre parole, dopo lo scoppio della grande crisi finanziaria il processo di “distruzione creativa” non ha potuto fare il suo corso, con il risultato che il mondo ora si trova sommerso da un eccesso di capacità. Gli effetti negativi di tale situazione sono amplificati dal rallentamento macroeconomico in atto in Cina. Le società con un’offerta differenziata di prodotti ed elevate barriere all’ingresso possono ancora prosperare, ma tutte le altre sono alle prese con gravi insidie. Il fatto che la crisi Lehman risalga a oltre sette anni fa significa inoltre che, con ogni probabilità, ci troviamo più vicini alla prossima crisi che all’ultima. Gli investitori farebbero bene a ricordarsene nella costruzione dei loro portafogli per il 2016.

4) Il costante calo dei prezzi petroliferi può significare che alcuni produttori cominceranno a fallire. Ciò che possiamo affermare con certezza, ipotizzando che tutto resti invariato, è che la pressione al ribasso sull’inflazione complessiva esercitata dai bassi prezzi del petrolio dovrebbe scomparire dal panorama dei dati nel 2016. La questione dell’inflazione e del suo avvicinarsi o meno al target stabilito dalle banche centrali sarà in effetti d’importanza cruciale, poiché da ciò dipenderanno le eventuali ulteriori misure di sostegno della Banca del Giappone e della BCE.

5) L’incertezza legata alla Brexit potrebbe determinare un aumento della volatilità. Un argomento che catturerà l’attenzione dei media nel 2016 è quello della Brexit, ossia la potenziale uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Attualmente i mercati non sembrano preoccuparsene. Come è avvenuto nel caso del referendum sull’appartenenza della Scozia al Regno Unito, i mercati possono divenire compiacenti all’avvicinarsi del referendum, il che può provocare una volatilità di breve periodo nel momento in cui gli investitori cominciano a rendersi conto che l’esito “positivo” non è più così scontato come sembrava. Al momento, i sondaggi indicano che la maggior parte dei cittadini britannici voterebbe a favore della permanenza nell’UE, un esito che però non può darsi per scontato.

 

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