I cinque grandi rischi dei mercati

rischio-trading Se si guarda alla finanza globale, secondo Anthony Doyle, responsabile investimenti del team Retail Fixed Interest di M&G Investments, c’è da aver paura. Nell’ultimo anno, debito, disinflazione e crescita in rallentamento sono stati una piaga per gli investitori. In molti Paesi inoltre i rendimenti obbligazionari sono sprofondati in territorio negativo. A distanza di otto anni dall’inizio della crisi finanziaria, le banche centrali dei Paesi sviluppati continuano ad adottare una politica monetaria ultra espansiva. Con i mercati dei titoli di Stato che assomigliano oggi a un freak show, si potrebbe pensare che la prossima recessione globale sia dietro l’angolo.

1) I titoli di Stato. I titoli di Stato dei Paesi occidentali sono stati una delle asset class che hanno realizzato le migliori performance nel 2016, mettendo scompiglio nelle previsioni dell’inizio anno. In generale la giocata giusta è stata avere asset a lunga duration: in pratica più era lunga la duration, meglio è stato. Di anno in anno gli investitori prevedono che i rendimenti obbligazionari saliranno, e anno dopo anno i rendimenti obbligazionari raggiungono nuovi minimi. Ci sono certo molte buone ragioni per aspettarsi che questo trend continui, ma i mercati obbligazionari oggi si aspettano che la normalizzazione della politica monetaria avvenga solo in un dato momento nel lontano futuro. La bassa inflazione significa che le banche centrali continuano a supportare le loro economie malandate e pesantemente indebitate, per un totale di 10 mila miliardi di dollari di titoli di stato occidentali a rendimento negativo. Di conseguenza, molte società, fra cui le banche, stanno soffrendo in questo ambiente di tassi bassi e negativi. Le pressioni nel sistema finanziario stanno aumentando e non è chiaro come tali problemi saranno risolti.

2) Le banche centrali. Gli ingenti acquisti di titoli di Stato da parte delle banche centrali attraverso il quantitative easing indica che i premi al termine, ovvero l’importo extra che gli investitori richiedono per finanziare a scadenze più lunghe, sono stati spinti ancora di più in territorio negativo. Una volta era inconcepibile che gli investitori pagassero per il privilegio di prestare a un governo. Ora questo fenomeno è cosa comune non solo sui mercati dei titoli di stato, ma anche per alcune recenti emissioni societarie. Le banche centrali non sono le uniche a comprare bond. La domanda da parte di altre grandi istituzioni come i fondi pensione e le compagnie assicuratrici di asset con duration lunga continua ad aumentare. La combinazione di banche centrali, fondi pensione e compagnie assicuratrici ha ridotto qualsiasi sell off dei mercati obbligazionari, abbassando i rendimenti lungo la curva obbligazionaria. I trend demografici di invecchiamento indicano che gli asset considerati porti sicuri potrebbero continuare a essere richiesti, forzando gli investitori verso investimenti più rischiosi se vogliono generare un rendimento reale positivo.

3) L’inflazione. Nonostante il contesto di rendimenti negativi in cui ci troviamo oggi, il mondo in cui reagiranno le banche centrali al prossimo shock inflattivo avrà importanti effetti per gli investitori obbligazionari. Con la duration dei portafogli obbligazionari globali vicina ai sette anni, gli investitori potrebbero dover affrontare grandi perdite di capitali se i tassi dovessero aumentare abbastanza. Questo solleva una serie di domande. Le banche centrali aumenteranno i tassi in un ambiente di stagflazione? E come reagiranno i politici quando le perdite sui portafogli acquistati con il Qe tenuti dalle banche centrali saranno riportati sui media? Oggi il mercato si concentra più sulla stagnazione secolare che sul timore di un ritorno dell’inflazione, ma con un prezzo del petrolio che è salito dai minimi di febbraio e un protezionismo commerciale che sta cominciando a prendere piede in tutto il mondo, uno shock dell’inflazione globale potrebbe essere più vicino di quanto non ci si aspetti.

4) I mercati emergenti. Molti titoli di Stato dei mercati emergenti sono stati declassati nel corso dell’ultimo anno, con le agenzie di rating che evidenziano l’incertezza politica come un fattore cruciale nelle loro decisioni. L’impatto dei declassamenti si è sentito immediatamente, con un aumento della volatilità nei mercati obbligazionari. I grandi flussi verso i mercati obbligazionari emergenti hanno lasciato alcuni mercati vulnerabili agli aumentati rischi politici dall’estero. Il Messico è un buon esempio data l’attuale incertezza che circonda le elezioni Usa. Molti mercati emergenti sono inoltre vulnerabili anche se il dollaro dovesse rafforzarsi, una possibilità, visto che il FOMC è di gran lunga la più vicina al rialzo delle banche centrali principali. Un rischio aggiuntivo è la possibilità che le nazioni più grandi dei mercati emergenti siano declassate dal rating investment grade, innescando vendite forzare di debito in valuta forte da parte degli investitori stranieri.

5) La Cina. Numerosi segnali di allarme stano lampeggiando, passando da arancione a rosso nel sistema finanziario cinese, dato che grandi quantità di renminbi sono andati a finanziare progetti immobiliari di grande scala e nuova capacità produttiva per i settori industriali dell’economia. Questa combinazione di debito alto e in crescita in un’economia in rallentamento è pericolosa. Dal momento che le autorità continuano a perseguire la crescita economica, il capitale è incanalato in progetti poco profittevoli. Alla fine i prezzi cominciano a scendere e i soggetti che prestano iniziano ad affrontare grandi perdite di capitale.

 

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