“Habemus QE” ma la BCE non è disposta a condividere le perdite

liga27115aL’ANALISI: Moody’s avverte sul limitato effetto della manovra mentre i mercati festeggiano l’annuncio.

Da Draghi il “bazooka” da 1.100 miliardi ma ai singoli paesi rimane l’80% del rischio

Dopo la costante fuga di notizie delle ultime settimane ed a distanza di quasi due anni e mezzo da quell’ormai famoso discorso di Mario Draghi tenutosi a Londra con la celebre frase “whatever it takes” è giunto giovedì scorso il Quantitative Easing in salsa europea, ovvero la prima e storica decisione di stampa monetaria da parte della BCE. Un annuncio che è riuscito a superare le alte aspettative di molti operatori di mercato in termini di dimensioni, ritmo e durata ma dall’altro ed a meno di ventiquattrore, ha fatto esprimere un pubblico dissenso al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann.
LE MISURE ANNUNCIATE
Prima della conferenza stampa, la BCE ha mantenuto i tassi d’interesse inalterati ed al minimo storico dello 0,05%, nonché riconfermato quello negativo sui depositi bancari al -0,20% e tagliato il tasso applicato alle aste TLTRO per la liquidità offerta alle banche e finalizzate al credito di imprese e famiglie. Poi come una profezia che si autoavvera ed attesa praticamente da tutti, ha presentato il piano di QE basato sui seguenti punti:
1) acquisti mensili di 60 miliardi di titoli, a partire da marzo 2015 ed almeno fino a settembre 2016 o comunque fino a quando l’inflazione non raggiungerà gli obiettivi della BCE, ovvero “vicino, al di sotto del 2%”.
2) verranno comprati i titoli governativi, le obbligazioni sovranazionali ed agency nonché i crediti cartolarizzati (ABS) e garantiti (Covered Bond) già previsti dai piani in essere e si potranno comprare con scadenza tra i 2 ed i 30 anni.
3) l’operazione sarà rivolta verso tutti i paesi membri che adottano l’euro come valuta principale e che hanno un rating “investment grade” ma non saranno automaticamente esclusi Grecia e Cipro, se soddisfaranno i requisiti richiesti dalla Troika.
4) la manovra sarà pro rata in base alle quote di partecipazione di ogni singolo Stato membro nel capitale della Banca Centrale ma il rischio non sarà totalmente a carico dell’Eurotower bensì e solo per il 20% mentre il restante 80% rimarrà in capo alle banche nazionali e dunque ai singoli paesi.
5) è previsto un “doppio limite” per gli acquisti di titoli in quanto la BCE non potrà superare una quota pari al 33% del debito di ciascun Paese emittente ed il 25% del debito circolante per ogni emissione.
La dimensione dell’intervento dovrebbe quindi essere di circa 1.140 miliardi di euro, una potenza di fuoco rilevante e che allargherà in 19 mesi il bilancio della BCE ad oltre 3 trilioni di euro, aumentando così la liquidità a disposizione dell’intero sistema. Gli effetti di una tale operazione sono diversi ma sostanzialmente vi è come sempre l’intento dichiarato di combattere la prospettiva della deflazione nella zona euro nonché fornire sostegno alla domanda di beni e servizi al fine di rilanciare la crescita economica. La reazione dei mercati non si è perciò fatta attendere, spedendo in primis il cambio euro/dollaro in area 1,12 nonché l’indice azionario tedesco DAX al nuovo massimo storico ed i rendimenti dei titoli di stato dei paesi core e dei periferici ai minimi storici, con il Bund decennale allo 0,36% e l’omologo BTP italiano al nuovo record del 1,59%.

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TUTTO BENE QUINDI ?
In realtà Draghi ha da subito fatto notare come una mossa senza precedenti e potenzialmente illimitata come quella presentata, perda di efficacia se non è sostenuta dall’azione dei governi. Come dire, non facciamoci troppe illusioni che ciò consenta agli Stati di destinare ad altri scopi le risorse risparmiate grazie al minor pagamento di interessi, in quanto permane l’esigenza di contenere le spese e tenere basso il livello del debito pubblico nonché e come ha prontamente sentenziato l’agenzia Moody’s, il QE della BCE avrà “solo un effetto limitato sulla crescita, il credito e l’inflazione nell’area euro”. Se però il target di inflazione al 2% è il mantra da perseguire appare quantomeno contradditorio o forse rilevatore della reale possibilità di inflazionare tramite il QE, proprio la risposta fornita dallo stesso Draghi a chi gli chiedeva se vi fossero potenziali rischi di iperinflazione ed a cui ha candidamente risposto “penso che il modo migliore di rispondere sia chiedersi, abbiamo visto molta inflazione da quando il programma di QE è iniziato? L’abbiamo vista? E ora sono già cinque anni da quando abbiamo iniziato. Per quanto ci riguarda, negli ultimi tre anni abbiamo abbassato i tassi di interesse, non so quante volte, quattro o cinque, forse sei. E tutte le volte qualcuno diceva, questo sarà terribilmente espansionistico, ci sarà inflazione”. Una conferma indiretta che tale manovra non garantisce affatto di centrare l’obiettivo, come già dimostrato dall’irrisoria inflazione raggiunta nei paesi più attivi nella monetizzazione del debito quali USA, Giappone o Inghilterra. E per quanto riguarda la riattivazione del credito all’economia reale, ci si dovrebbe chiedere se davvero le banche gireranno la liquidità aggiuntiva derivante dalla vendita alla BCE dei titoli di Stato che hanno in pancia, visto e considerato il semi-flop dei prestiti TLTRO fatti a fine 2014 e che hanno sonoramente snobbato. Oppure se tale extra liquidità finirà per alimentare investimenti solo verso la “sicura” Germania o peggio ancora verso titoli più redditizi ma però fuori dalla UE, visto e considerato che il deposito della liquidità eventualmente ottenuta presenterà un costo dello 0,2% se lasciata a Francoforte o troverà tassi negativi nei titoli a breve e medio termine di molti paesi europei.

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NULLA E’ SCONTATO
In un tale contesto bisognerà quindi vedere come e quando l’euforia dei mercati finanziari si tradurrà realmente in una festa anche per l’economia reale ma nell’ottica del risparmiatore può essere utile guardare tra le pieghe del programma presentato dalla BCE per individuarne le potenziali criticità. I rischi permangono elevati in quanto e come ben evidente dal grafico allegato ed inerente l’andamento dei mercati azionari dell’eurozona, nonché dell’euro e dei rischi sui bond italiani, vi è già stata una grande galoppata ed un deciso miglioramento da quel “whatever it takes” e dalla promessa di QE dell’estate 2012 e 2014. I mercati hanno quindi già scontato da tempo il fatto che dalle parole seguissero le recenti decisioni ed a ben osservare nelle ultime settimane c’è stata una fortissima pressione all’acquisto, proprio per rendere forse ineluttabile e non più prorogabile una tale scelta. Draghi ha infatti portato la BCE in un vicolo cieco e con se l’intero suo board, nonostante il giudizio contrario di alcuni suoi membri. Ha reso così la banca centrale “schiava” delle aspettative degli operatori finanziari e delle loro enormi scommesse.

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PORSI DELLE DOMANDE
Un noto aforisma del leggendario John Templeton recita “un investitore che ha tutte le risposte, non ha capito la domanda” e visto che l’unica risposta degli operatori è un’univoca e corale positività verso quanto annunciato dalla BCE, è forse il caso di porsi diversi quesiti. Un primo esempio potrebbe essere la criticità legata al fatto che la BCE è già piena di bond ellenici comprati quando si doveva sostenere il Paese attraverso il programma SMP e visto che esiste un limite legale di detenzione per ogni singolo Stato, non potrà comunque comprare fino al rimborso previsto per luglio e agosto. Oppure ed a seguito della modesta condivisione del rischio, sarebbe il caso di meglio analizzare il fatto che le perdite potenzialmente derivanti da un default sovrano saranno sostanzialmente in capo alle singole banche centrali degli Stati, essendo un bel 12% di quel 20% di rischio condiviso su emissioni sovranazionali e considerabili dagli operatori delle quasi certezze quali le BEI o i titoli dell’EFSF. In un tale scenario sarebbe perciò obbligatorio per i governi la ricapitalizzazione delle banche nazionali ma questo significherebbe un evidente status di “creditore privilegiato” rispetto al debito pubblico in mano ai privati. E poi il doppio limite imposto agli acquisti BCE su singolo emittente ed emissione non solo evita che la banca centrale possa bloccare, semmai per “benevolenza” le famigerate clausole CACs, ora inserite nei titoli di Stato ma se raggiunte sarà la stessa banca a rappresentare da sola la metà del peso necessario per un accordo di ristrutturazione sul debito di un eventuale paese in crisi. E poi essendo l’Italia lo Stato più bisognoso del QE, non vi potrebbe essere una qualche sinistra relazione tra i rischi connessi al debito potenzialmente monetizzabile dal piano e le riserve auree del paese, visto che Draghi, parlando del basso grado di condivisione del rischio, ha dovuto sottolineare come questo sia stato deciso “poiché molte banche centrali europee hanno buffers di capitali adeguati per assorbire un evento negativo”. Ed infine e per concludere, se dei paesi periferici non si fida la stessa BCE, perché dovrebbero fidarsi i mercati ed i risparmiatori ?

L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari. Per domande e chiarimenti potete scrivere a: info@rubensligabue.com

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