La geo-finanza detonatore della prossima crisi ?

L’ANALISI: Putin si dichiara pronto ad ogni possibile scenario, incluso un crollo catastrofico del petrolio

La caduta del greggio e l’impennata del dollar index ricordano il dramma del 2008

Putin e Obama

Putin e Obama

Con l’inizio di novembre il petrolio ha sfondato la soglia psicologica degli 80$ al barile e nell’arco di due settimane è crollato fino ad minimo di quasi 73$ per poi reagire alla chiusura di venerdì con un ultimo prezzo fissato in prossimità dei 76$. Un calo indubbiamente forte che si somma ad un trend ribassista ormai avviato da fine giugno, quando il prezzo veleggiava ben sopra i 105$. Nell’arco quindi di qualche mese il prezzo dell’oro nero è tracollato di quasi un -30%, una discesa impetuosa che oltre a deprime l’intero indice delle commodity e conseguentemente una classica asset class di diversificazione nei portafogli degli investitori, ha indubbiamente acceso non pochi riflettori e commenti su quanto stia realmente accadendo su tale materia prima e su quali potrebbero essere le implicazioni di un prezzo così in caduta.

CAUSE REALI

In questi pochi mesi non sono certamente cambiate in modo catastrofico le già anemiche previsioni di crescita dell’economia globale, motivo per cui i media generici o gli specialisti nell’analisi di tale settore hanno nelle ultime settimane offerto differenti spiegazioni e cause per motivare un tale rintracciamento. In primis i fattori economici reali, quali l’equilibrio tra domanda ed offerta ed il recente trend in surplus che si sta manifestando a seguito della diminuita domanda in Asia ed Europa e poi a seguire, sono spesso citati i fattori produttivi legati alla crescente estrazione di petrolio da parte degli Stati Uniti, attraverso l’ormai noto shale oil e che, per la prima volta da oltre trent’anni, ha consentito agli USA di superare la soglia dei 9 milioni di barili al giorno, portandosi così a ridosso dei grandi produttori quali Russia ed Arabia Saudita.

Questi due fenomeni sono di fatto stati anche sottolineati dall’agenzia internazionale per l’energia (AIE) come il possibile inizio di un nuovo capitolo nella storia dei mercati petroliferi e dunque come le reali motivazioni del futuro trend dell’oro nero.

CAUSE ALTERNATIVE

A tali ed oggettive spiegazioni si sono però spesso aggiunte altre considerazioni che, almeno nel breve, potrebbero aver avuto ed avere ancora un significativo impatto sulle oscillazioni dei prezzi dell’oro nero. Il fatto che le quotazioni del petrolio siano espresse in dollari è indubbiamente un legame conosciuto dagli operatori finanziari e ciò avrebbe fortemente condizionato le quotazioni di tale commodity, essendosi negli ultimi mesi fortemente rafforzato il dollaro a livello globale. Il dollar index, indicatore della forza del dollaro rispetto ad un paniere di valute, si è infatti rivalutato di quasi il 10% da fine giugno ad oggi e questo spiegherebbe in parte il contestuale ribasso del prezzo del petrolio. La storica correlazione tra la moneta statunitense ed il petrolio è come noto riconducibile agli accordi intervenuti ad inizio anni ’70 tra gli Stati Uniti ed il governo saudita (scelto per le enormi quantità di petrolio a riserva e la sua rilevanza all’interno dell’OPEC), ovvero alla creazione del sistema dei petrodollari. Un legame che ha visto questi due paesi fortemente coinvolti in tante ed ormai storiche vicende geo-politiche e che, anche in queste settimane, appare da molti osservatori essere la vera causa del crollo del greggio. L’Arabia Saudita è dunque salita sul banco degli imputati dell’attuale instabilità dei prezzi, a seguito di una presunta guerra commerciale i cui fini, in base alle analisi ed ai commentatori di turno, sarebbe tutto ed il contrario di tutto. Infatti tra le motivazioni più ricorrenti vi sarebbero: a) una semplice difesa della propria quota di mercato attraverso un’offerta abbondante con maggiori sconti ai propri partner a seguito della calante domanda b) una mossa studiata per ripristinare la disciplina fra i membri del cartello OPEC in modo che rispettino le quote di produzione future c) una lotta contro l’ISIS al fine di abbattere gli introiti petroliferi del califfato e del vicino Iran d) una strategia geo-politica di sostegno ed aiuto agli USA nei loro obbiettivi diplomatici di pressione sulla Russia e) un’azione di pressione contro l’America a seguito del boom derivante dal petrolio di scisto statunitense.

GEO-FINANZA

Ovviamente tutte le ipotesi precedentemente riportate, possono sussistere nonché convivere tra loro e far trarre differenti vantaggi a diversi attori ma come spesso accade, per capirne le reali motivazioni, bisogna forse individuare chi non trae alcun reale beneficio, ovvero la Russia. Di fatto le quotazioni del petrolio potrebbero costituire, insieme all’embargo, le due estremità di una manovra a tenaglia che vorrebbe soffocare la federazione in quanto gas e petrolio contribuiscono per oltre la metà delle entrate governative del paese.liga201114b

La geo-finanza avrebbe dunque lavorato alacremente ed a partire probabilmente dal meeting di Davos, come rivelava a fine gennaio Mauro Bottarelli con l’articolo “Spy Finanza: un attacco a Putin con il prezzo del petrolio”. L’opzione di un forte calo del petrolio fin anche sotto i 60$ sarebbe stata la soluzione pensata dall’Occidente per ridimensionare politicamente Putin e la Russia, in quanto il prezzo per il break-even fiscale necessario a Mosca per bilanciare il budget statale sarebbe ben superiore a 100 dollari al barile e quindi un protratto calo avrebbe costretto il governo a mettere sempre più mano alle proprie riserve, nonché avrebbe innescato fughe di capitali ed affossato nel contempo la valuta, rendendo così la Russia più addomesticabile nel grande scacchiere globale. Fatti che emergono inequivocabilmente osservando la relazione grafica tra l’andamento del petrolio ed il cambio rublo/$, con lo svolgersi degli eventi post invasione della Crimea.

COSA ASPETTARSI

In un mondo globalizzato, ogni azione comporta inevitabilmente delle conseguenze anche collaterali. In primis sta già portando molti paesi produttori di petrolio sotto pressione in quanto intacca pesantemente anche il loro budget e non solo i bilanci della Russia, come evidente dal grafico pubblicato qualche tempo fa sul Wall Street Journal e come manifestato dal tracollo dei bond venezuelani che sembrano anticipare un prossimo fallimento del paese o come per il Messico che vede introiti minori per 300 milioni di dollari ad ogni dollaro di calo. Tutti aspetti che non favoriscono gli investimenti nei paesi emergenti. Ma se questo potrebbe interessare poco agli USA è però forse per loro più importante osservarne i potenziali effetti negativi sulle aziende statunitensi specializzate nello shale oil, avendo tali produttori costi compresi tra i 40 e i 70 dollari al barile, nonché essendosi negli ultimi anni fortemente indebitati per ampliare il business come riporta il grafico di Bloomberg, con potenziali ripercussioni ad esempio sui mercati dei bond high yield societari. Infine e da non sottovalutare anche gli effetti collaterali sui mercati dei cambi anche verso paesi considerati più stabili come la Norvegia. liga201114cUn tale ed ardito piano, sulla falsa riga di quelli che in molti vedono assimilabile al periodo antecedente il collasso dell’URSS, potrebbe avere esiti non così scontati, in quanto seppur vero che la Russia sia in oggettiva difficoltà, si sta però sempre più sganciando da tali dinamiche, con un rafforzamento commerciale verso la Cina e gli altri paesi dei BRIC. Fatti che probabilmente hanno consentito a Putin, al suo arrivo a Brisbane per il G20, di dichiarare di essere pronto ad ogni possibile scenario circa l’andamento del mercato del petrolio, incluso quello che potrebbe vedere un crollo “catastrofico” dei prezzi del greggio. liga201114dEcco dunque che dal braccio di ferro tra Occidente e Russia, potrebbero scaturire degli esiti non auspicati, con deleteri risvolti globali e non solo regionali o collegabili ai produttori del petrolio. liga201114eE se osserviamo il comportamento attuale del citato dollar index rispetto ad un’altra delicata fase, quale fu quella del 2008, verrebbe da porsi la domanda se non stiamo già correndo eccessivi rischi e se non siamo già arrivati a dei prezzi petroliferi in grado di creare più scompensi che benefici economici. Certamente il prossimo vertice OPEC, in programma per fine novembre, potrà essere un’importante occasione di verifica ma la sensazione è che i prezzi del petrolio potrebbero ancora essere volatili nelle prossime settimane ma se non si vuole oltrepassare la soglia di non ritorno deve presto modificarsi qualcosa, semmai con un recupero del petrolio ed un indebolimento del dollaro, al fine di ridare fiato ai contendenti e semmai riportarli a nuovi tavoli di trattativa, pena una potenziale discesa agli inferi, come anticipò la forza del dollaro nel 2008.

L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari. Per domande e chiarimenti potete scrivere a: info@rubensligabue.com

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