Focus Mercati Valutari

 Presentiamo di seguito ‘Focus mercati valutari’ di Banca Intermobiliare, costituita da una scelta di valute selezionate all’interno del mondo Forex. Si tratta di quelle valute che, sulla base di analisi qualitative, emergono per le loro caratteristiche di performance e rischio. Il documento, elaborato su base settimanale, mira a dare un supporto operativo sul mercato dei cambi.

Stati Uniti

L’economia USA è cresciuta ad un ritmo annuo del 4,2% nel 2Q ed il flusso di dati macroeconomici è coerente con un’espansione annualizzata superiore al 3% anche nel 3Q. Protetta dall’espansione fiscale, la crescita USA dovrebbe raggiungere per il 2018 i livelli più elevati post-crisi finanziaria, intorno al 3%, ma dovrebbe ripiegare nel 2019, con il venir meno degli effetti positivi della politica fiscale e l’aumento di quelli negativi della restrizione della politica monetaria e del protezionismo commerciale. Con la crescita circa doppia rispetto al potenziale ed il tasso di disoccupazione ben inferiore al livello di equilibrio di lungo termine, l’inflazione è finalmente tornata al target del 2%, permettendo alla Fed di procedere con il graduale rialzo dei tassi al ritmo di 25 bp a trimestre (2 nel resto del 2018, 3 nel 2019). Il US$ è stato finora il principale beneficiario dell’ascesa del protezionismo USA, agendo come bene rifugio all’intensificarsi delle tensioni commerciali, supportato anche dai differenziali di crescita e politica monetaria, che sono univocamente a favore della divisa americana, e dal fatto che il carry è il più elevato tra le valute dei Paesi Sviluppati. Con gran parte del repricing della politica della Fed già avvenuto, l’aumento del premio per il rischio politico americano all’avvicinarsi delle elezioni di novembre ed il rischio di interferenze della Presidenza Trump nella politica valutaria limitano tuttavia il potenziale di apprezzamento e pertanto manteniamo una view neutrale sul US$.

Giappone

L’economia del Giappone dovrebbe crescere nel 2018 di circa l’1%, a dispetto di un’elevata volatilità del flusso dei dati macroeconomici legata alle condizioni climatiche molto sfavorevoli ed all’andamento del settore industriale. I rischi inoltre sono al ribasso, principalmente per l’esposizione alle economie dei Paesi Emergenti ed al commercio internazionale. Nonostante la crescita sia stabilmente superiore al potenziale, l’inflazione stenta ad accelerare, costringendo la Bank of Japan a posticipare continuamente il raggiungimento del suo target. La linea di politica monetaria è pertanto destinata a rimanere ultra-espansiva ancora per lungo tempo, anche se le variazioni introdotte nell’ultimo meeting (come la maggiore volatilità del rendimento del JGB decennale intorno allo 0%) lasciano pensare che l’intensità dello stimolo monetario si stia riducendo. Alle elezioni di settembre per la leadership del Partito di Governo (LDP), il Primo Ministro Abe è favorito per ottenere un terzo mandato, garantendo la continuità di politica economica. Manteniamo la view neutrale sullo yen per le sue caratteristiche di bene rifugio, alla luce dei rischi al ribasso per l’economia mondiale legati ai Paesi Emergenti ed alle tensioni commerciali tra USA e resto del mondo e del rischio che il previsto aumento dell’IVA nell’ottobre 2019 possa essere posticipato. Per queste considerazioni, lo JPY è relativamente stabile contro US$ nonostante i differenziali di crescita e policy sfavorevoli, mentre il trend è positivo contro Euro, dove i differenziali sono meno pronunciati.

Regno Unito

IIn Gran Bretagna la crescita economica rimane stabile, seppur a livelli nettamente inferiori a quelli prevalenti in passato e la BoE continua, seppur lentamente, ad aumentare i tassi. Il flusso di notizie sul fronte politico è invece peggiorato negli ultimi mesi in cui il Governo May ha cercato di definire il futuro percorso della Brexit. La proposta di May ha trovato l’opposizione di parte del Partito Conservatore, che la considera troppo “”soft”” e probabilmente sarà considerata inaccettabile dall’Ue per il trattamento commerciale privilegiato che la Gran Bretagna vorrebbe ottenere. La probabilità di scenari estremi sta salendo rapidamente, in particolare che l’accordo entro marzo 2019 per attivare il periodo di transizione fino alla fine del 2020 non sia raggiunto, con conseguente “hard Brexit”. Come conseguenza il rischio politico domestico sta prevalendo sui fondamentali macroeconomici e l’EURGBP si è riportato in area 0,90, dopo essere rimasto tra 0,87 e 0,89 per gran parte del primo semestre, mentre contro US$ (dove i differenziali di crescita e rendimento sono a sfavore della Gran Bretagna) è ai minimi da settembre 2017. Con l’avvicinarsi del Consiglio Europeo di ottobre, il flusso di notizie è destinato a peggiorare, poiché il Governo May dovrà confrontarsi con un’Ue poco accondiscendente, in un clima di elevata turbolenza politica interna, che potrebbe sfociare anche in elezioni anticipate, mentre il differenziale di crescita può ruotare nuovamente a favore dell’Eurozona. Portiamo quindi la view sulla GBP da positiva a neutrale.

Canada

L’economia del Canada rimane solida ma è attesa rallentare a +2% nel 2018 rispetto a +3,1% del 2017. Anche se dopo il ritmo annuo del 2,9% del 2Q la crescita è attesa rallentare nel secondo semestre, il mercato del lavoro è in buona salute mentre gli indici di fiducia mostrano non mostrano ripercussioni negative significative dall’incertezza sui rapporti commerciali con gli USA. La Bank of Canada è attesa aumentare i tassi in ottobre, ma di recente la sua retorica è sembrata più accomodante riflettendo i rischi al ribasso per l’economia, legati ai dazi USA sulle esportazioni di acciaio e alluminio ed alle prospettive meno favorevoli per il mercato immobiliare, conseguenza delle politiche più restrittive di erogazione del credito. Il flusso positivo di dati macroeconomici ed il repricing al rialzo del percorso futuro dei tassi della BOC hanno sostenuto il CAD negli ultimi mesi, a dispetto della generale forza del US$ e delle tensioni commerciali con gli USA. L’accordo di massima di revisione del NAFTA tra USA e Messico non copre il Canada ma è altamente probabile che venga esteso su base trilaterale, sia perché il Canada ha un forte incentivo ad aderire, sia perché il Congresso USA propende per la sua inclusione prima di approvare il nuovo trattato. Anche se il CAD rimane vulnerabile all’andamento dei negoziati commerciali con gli USA, manteniamo la view positiva sulla valuta canadese, soprattutto rispetto all’Euro, poiché la situazione macroeconomica è analoga a quella degli USA, con i differenziali di crescita e politica monetaria chiaramente favorevoli, cui si aggiunge l’esposizione al prezzo del petrolio, atteso relativamente stabile ma a livelli elevati.

Australia

La crescita dell’economia dell’Australia è in miglioramento e si avvia a chiudere il 2018 a +3% rispetto a +2,3% del 2017, grazie principalmente alla bilancia commerciale, che continua a registrare surplus per la combinazione di aumento dell’export e diminuzione dell’import. Nonostante nel primo semestre la crescita del PIL abbia superato il potenziale, l’Australia è in ritardo rispetto al ciclo economico nella maggior parte degli altri Paesi Sviluppati, con la disoccupazione ancora elevata e l’inflazione appena al target. Per questo La Banca Centrale mantiene i tassi invariati all’1,5%, anche se il suo outlook macroeconomico è in miglioramento, ed i mercati non scontano un rialzo dei tassi prima del 3Q 2019. Dopo diversi giorni di crisi politica, il Governo ha eletto Scott Morrison come nuovo Primo Ministro, che affronterà le elezioni generali entro maggio 2019 (se non prima) in una fase in cui il partito di Governo non gode di ampio supporto dagli elettori. Ora che il suo carry non ha appeal, l’AUD sta venendo fortemente penalizzato nell’attuale contesto di generale forza del US$, e per l’esposizione all’economia cinese. Nonostante lo scenario macroeconomico sia più favorevole, vi sia il rischio di sorprese hawkish di politica monetaria ed il posizionamento degli investitori sia già pesantemente ribassista, non ci sono catalizzatori di recupero per l’AUD fino a quando il US$ non inizierà a perdere vigore, o la tensione commerciale USA-Cina non si ridurrà, o i dati macro cinesi non miglioreranno. Pur preferendolo all’NZD, manteniamo la view negativa sull’AUD.

Nuova Zelanda

La crescita dell’economia della Nuova Zelanda sta scivolando sotto il 3% annuo, seguendo la frenata dell’immigrazione netta, la discesa degli indicatori di fiducia delle imprese dopo il cambio di Governo ed il probabile picco del settore delle costruzioni, a causa dei limiti di capacità e delle condizioni di credito più restrittive. Il deficit delle partite correnti è in peggioramento dalla metà del 2017 e, con i prezzi dei prodotti lattiero-caseari deboli a livello globale, sia le esportazioni che la ragione di scambio sono meno favorevoli per la Nuova Zelanda. In assenza di un nuovo piano di stimolo fiscale, i rischi per la crescita economica sono al ribasso. L’inflazione persistentemente inferiore al target del 2% e il rallentamento della crescita hanno spinto la RBNZ a ridurre le sue stime di crescita ed a posticipare l’avvio del ciclo dei tassi al terzo trimestre del 2020, con rischi di nuovi tagli dei tassi d’interesse nel caso in cui l’attività economica risultasse più debole del previsto. Con il repricing della politica monetaria in senso estremamente dovish, la divergenza di politica monetaria a sfavore della Nuova Zelanda sta aumentando, non solo rispetto agli altri Paesi Sviluppati ma anche rispetto all’Australia, che si trova in una posizione ciclica più simile. Come AUD, inoltre, NZD è vulnerabile ai rischi per la crescita dell’economia cinese ed alle tensioni commerciali. Manteniamo la view negativa.

Svizzera

L’economia della Svizzera sta resistendo meglio del previsto al generale rallentamento europeo e negli ultimi mesi la sua crescita ha iniziato a sovraperformare quella dell’Eurozona. Anche se la deflazione è terminata nel 2017, le pressioni inflazionistiche rimangono molto modeste e l’inflazione ha superato l’1% soltanto in maggio, per la prima volta dal 2010. Con l’inflazione molto lontana dal target del 2%, la SNB difficilmente cambierà la linea di politica monetaria, certamente non prima della BCE, anche se la propensione ad intervenire sul mercato valutario per frenare l’apprezzamento del CHF (che è diventato il principale strumento di politica monetaria) è nettamente diminuita, essendo il bilancio della Banca Centrale cresciuto a livelli potenzialmente destabilizzanti per l’economia. A partire da maggio, l’appeal del CHF come bene rifugio è tornato evidente, riflettendo il crescente premio per il rischio politico italiano, portando EURCHF ai livelli più bassi dal luglio 2017. Manteniamo neutrale la view sul CHF: il rendimento negativo è un notevole deterrente all’investimento nella divisa svizzera, ma la riluttanza della Banca Centrale ad intervenire sul mercato per frenarne l’apprezzamento la rende più attraente come bene rifugio all’intensificarsi dell’avversione al rischio.

Norvegia

La crescita dell’economia della Norvegia è in miglioramento e si avvia a superare il 2% per il 2018. Nel frattempo l’inflazione ha raggiunto il 3% e soprattutto, a
livello “core” ha superato il target dell’1,2% della Banca Centrale nel mese di luglio. Con lo scenario macroeconomico in linea con le sue previsioni, la Norges
Bank si appresta ad avviare il ciclo di rialzo dei tassi, con il primo intervento previsto nel meeting di settembre, precedendo non soltanto la BCE ma anche la
Riksbank svedese. La corona norvegese si è di recente indebolita, a dispetto dell’andamento favorevole del prezzo del petrolio, riflettendo principalmente lo
stress finanziario e l’aumento del rischio politico nell’Eurozona ed in Svezia. Manteniamo la view positiva sulla NOK, dal momento che il differenziale di politica
monetaria è di supporto e che i mercati prezzano un percorso di rialzi futuri dei tassi molto lento nel 2019 e possono pertanto essere facilmente sorpresi in
senso “hawkish” dalla Banca Centrale

Svezia

La crescita dell’economia della Svezia nel primo semestre è stata elevata, oltre il 3% su base annua e superiore alle stime della Banca centrale (Riksbank), con l’inflazione che ha finalmente raggiunto il target del 2%. Come conseguenza, i mercati finanziari sono posizionati per un rialzo dei tassi di 25 bp in dicembre, in linea con la recente comunicazione della Riksbank. Il differenziale dei tassi d’interesse svedesi rispetto a quelli dell’area euro e della Norvegia continua a pesare sulla SEK ma la recente sensibile svalutazione riflette probabilmente l’elevata esposizione della Svezia all’economia ed al commercio internazionali ed il rischio che la serie recente sorprese negative sui dati macroeconomici induca la Riksbank ad adottare una retorica più accomodante (segnali di maggiore cautela sono già emersi nel meeting di settembre) . Il flusso di notizie sulla politica interna è inoltre intenso in vista delle elezioni generali del 9 settembre: l’appuntamento elettorale non dovrebbe determinare un drastico cambio di politica economica, poiché il partito di estrema destra Democratici Svedesi, per quanto in vantaggio, non dovrebbe essere in grado di formare un Governo. Manteniamo la view neutrale sulla SEK, dal momento che la recente svalutazione sembra eccessiva alla luce dei fondamentali macroeconomici e dei differenziali favorevoli di crescita e di politica monetaria.

India

Anche se il ritmo annuo dell’8,2% del 2Q sarà difficilmente sostenibile, la crescita dell’economia indiana dovrebbe chiudere il 2018 ben oltre il 7%, in miglioramento rispetto al 2017. Il deficit delle partite correnti è aumentato a causa della crescita dell’import e degli elevati prezzi delle materie prime, ma è ancora meno della metà dei livelli di metà 2013 ed la bilancia dei pagamenti è ampiamente finanziata dai flussi di capitali dall’estero. L’inflazione si è spostata nella parte alta del range target della Banca Centrale (RBI), alimentata dai prezzi più alti delle materie prime d’importazione e dalla svalutazione della rupia, spingendo la RBI ad aumentare i tassi di 50 punti base da inizio anno (6.5%); le crescenti pressioni inflazionistiche e la persistente debolezza della divisa potrebbero facilmente indurla ad aumentare ancora i tassi prima della fine dell’anno. La INR è sotto intensa pressione dalla metà di aprile, sulla scia di una combinazione di fattori esterni (forza del US$, aumento del prezzo del petrolio, peggioramento del sentiment degli investitori nei confronti degli asset dei Paesi Emergenti) ed interni (gestione del deficit di conto corrente e fiscale in un anno pre-elettorale caratterizzato dal minore rigore sui conti pubblici). Manteniamo quindi la view neutrale sulla rupia indiana: nonostante i solidi fondamentali macroeconomici ed il potenziale di rialzo dei tassi, la Banca Centrale (che pure ha un notevole potenziale di fuoco per intervenire sul mercato) non sembra preoccupata dell’attuale ritmo di svalutazione del cambio e saranno probabilmente necessari un aumento del carry reale (dal 2% attuale ad almeno il 3%) o il venir meno dei fattori esterni negativi per un’inversione di trend.

Indonesia

La crescita dell’economia dell’Indonesia è rimasta relativamente stabile negli ultimi anni, oscillando intorno al 5% annuo. La crescita economica rimane forte trainata dalla spesa pubblica e dalla maggiore spesa per consumi e sebbene le condizioni finanziarie interne più restrittive creino rischi al ribasso per l’attività economica nei prossimi trimestri, la solida posizione fiscale dell’Indonesia dovrebbe continuare è una significativa rete di salvataggio. Il disavanzo delle partite correnti è in aumento, a causa della maggiore domanda domestica e dei bassi prezzi delle commodities di esportazione. Il drastico aumento dei tassi di interesse (la BI ha aumentato i tassi di 125 punti base da maggio) è la conseguenza della forte debolezza dell’IDR, esasperata più di recente dagli sviluppi in Turchia. Nonostante la Banca Centrale dell’Indonesia sia stata una delle poche nei Paesi Emergenti ad aumentare i tassi d’interesse preventivamente ed in modo aggressivo per preservare la stabilità finanziaria, la storica vulnerabilità della rupia indonesiana alle condizioni finanziarie internazionali ha preso il sopravvento rispetto ai solidi fondamentali macroeconomici ed una view neutrale sulla IDR è ora più appropriata. Anche se a livello di carry la IDR è estremamente attraente (i tassi swap a 1 sono all’11%), una pausa nelle tensioni internazionali è necessaria per innescare il recupero.

Cina

I recenti dati macroeconomici indicano un indebolimento dell’attività economica in Cina nel secondo semestre, con la crescita attesa convergere verso il target governativo del 6,5%. Per proteggere l’economia dall’impatto negativo delle tensioni commerciali con gli USA, il Governo ha deciso una significativa espansione della politica economica, sia sul fronte monetario (determinando una significativa riduzione dei tassi di interesse di mercato) che sul fronte fiscale (aumento della spesa pubblica, soprattutto in infrastrutture, e taglio delle imporste), i cui effetti positivi non si manifesteranno prima della fine dell’anno. A breve termine, lo scenario macroeconomico della Cina è dominato dalle tensioni commerciali con gli Stati Uniti e la relazioni tra i due Paesi rimarranno turbolente durante la compagna elettorale per le elezioni di medio termine di novembre negli Stati Uniti, in linea con una maggiore attività politica della Presidenza Trump. Il CNY è stata una delle valute più penalizzate dalle tensioni commerciali scatenate dalla Casa Bianca, sia perché la Cina è il target preferito delle iniziative americane, sia per l’ampia divergenza di politica monetaria che si è aperta rispetto agli USA, sia probabilmente come forma di ritorsione per l’imposizione dei dazi americani, anche se recentemente le autorità cinesi hanno segnalato di non gradire ulteriori brusche svalutazioni del cambio. Con le tensioni con gli Usa difficilmente destinati ad esaurirsi a breve, i rischi per il CNY rimangono al ribasso e manteniamo quindi la nostra view negativa.

Brasile

In Brasile le attese sono per una economia in crescita anche per il 2018 (poco sotto il 2%) guidata dalla spesa per consumi, dal commercio estero e dall’agricoltura mentre l’incertezza politica domestica pesa sugli investimenti e la recessione in Argentina avrà un impatto negativo sull’export. Con la bilancia delle partite correnti quasi in pareggio, la principale vulnerabilità dell’economia brasiliana è la posizione fiscale (sia deficit che debito), per cui il nuovo Governo dovrà predisporre politiche di risanamento potenzialmente impopolari e per questo bisognose del elevato supporto elettorale. La Banca centrale brasiliana (BCB) sta mantenendo i tassi invariati, fintanto che le aspettative di inflazione rimangono contenute (anche se i rischi derivanti dalla svalutazione del BRL e dai prezzi più cari dell’elettricità sono in aumento) e di recente non ha segnalato esplicitamente un orientamento di policy, riservandosi maggiore flessibilità dato l’alto livello di incertezza interna. Il Real brasiliano è stato tra le valuta più debole dei mercati emergenti, riflettendo fattori esterni (lo stress finanziario generale sui Paesi Emergenti, la crisi in Argentina) sia domestici, come la progressiva riduzione del carry e soprattutto un enorme premio per il rischio politico in vista delle elezioni di ottobre, con gli investitori incerti non soltanto sul candidato vincente ma anche su quale candidato possa essere considerato marketfriendly. Anche se un intervento al rialzo dei tassi da parte della BCB sarebbe sicuramente positivo per la valuta, il recupero del BRL è strettamente legato all’andamento delle elezioni, a partire dalla possibilità per l’ex Presidente Lula di ricandidarsi. In attesa di maggiore chiarezza di politica interna e di politica monetaria, manteniamo la view neutrale sul BRL.

Messico

Nonostante la volatilità del flusso di dati macroeconomici, anche nel 2018 l’economia messicana è attesa crescere intorno al 2%, in linea con il trend degli ultimi 4 anni, sostenuta dalla domanda estera e dai consumi interni, che beneficiano delle buone condizioni del mercato del lavoro. Mentre la produzione petrolifera continua a diminuire, le prospettive sono più favorevoli per il settore delle costruzioni ora che l’incertezza legata al nuovo Governo sta venendo meno. In questo contesto di ritrovata calma, Banxico sta mantenendo i tassi fermi al 7,75%, il livello ma le pressioni inflazionistiche, rinforzate dalla proposta del Governo di aumentare i salari minimi l’anno prossimo, potrebbero spingere la Banca Centrale a rivedere ancora al rialzo i tassi. Dopo la vittoria elettorale, la retorica del Presidente Lopez Obrador è diventata più conciliante, contribuendo a diminuire drasticamente il premio per il rischio politico sugli asset messicani, nonostante l’indirizzo futuro di politica economica rimanga incerto, in particolare per quanto riguarda il settore energetico. L’incertezza politica interna tornerà probabilmente a salire intorno all’insediamento del nuovo Presidente in dicembre. La Banca Centrale proattiva e prudente ha ancorato i tassi reali al 3% da aprile ed ha reso il carry tra i più elevati tra le valute Emergenti. Inoltre la retorica del nuovo Presidente e l’accordo di massima di revisione del NAFTA con gli USA hanno ridotto significativamente il rischio politico, almeno a breve termine. Per queste ragioni, portiamo la view su MXN da neutrale a positiva.

Polonia

Molti dei driver della recente solida crescita dell’economia della Polonia dovrebbero persistere ancora nel 2018, come le condizioni finanziarie espansive, il maggior utilizzo dei fondi europei per gli investimenti e le buone condizioni del mercato del lavoro (che supportano i consumi); la crescita è tuttavia attesa in moderazione nel secondo semestre dal ritmo superiore al 5% degli ultimi 9 mesi per il venir meno di alcune misure di stimolo fiscale e per l’impatto del rallentamento dell’economia dell’Eurozona. Con l’inflazione (a livello “core”) lontana dal target del 2,5%, la Banca Centrale polacca (NBP) rimane ultraespansiva e continua a segnalare che il primo rialzo dei tassi non giungerà prima del 2020. Le condizioni macroeconomiche sono favorevoli ad iniziare a rimuovere lo stimolo monetario, esponendo lo zloty a sorprese positive di politica monetaria e vi sono crescenti segnali che la NBP non è contraria al suo apprezzamento come alternativa al rialzo dei tassi; inoltre ora che altri Paesi dell’Europa dell’Est hanno iniziato ad alzare i tassi, la pressione sulla NBP è destinata a salire. Manteniamo tuttavia la view neutrale, per l’ostilità della NBP ad anticipare la BCE nell’aumentare i tassi e per la crescente pressione sui Paesi Emergenti che mantengono una linea di politica monetaria troppo espansiva, anche nell’Europa Orientale (come di recente l’Ungheria).

Russia

La crescita dell’economia della Russia è stata modesta nel primo semestre ed è destinata a rimanere inferiore al 2% per l’intero 2018, per effetto delle politiche monetarie e fiscali restrittive e dell’incertezza di politica estera, ma i fondamentali macroeconomici rimangono solidi, sia a livello fiscale che di bilancia delle partite correnti. Da un anno l’inflazione è ben inferiore al target del 4% ma le attese di un aumento delle pressioni inflazionistiche oltre il 4% nel 2019 per l’aumento dell’IVA e la passava svalutazione del rublo mantengono cauta la Banca centrale russa (CBR), che persegue una politica di tassi reali intorno al 3%. Inoltre con la politica fiscale destinata a diventare più espansiva e lo stress internazionale sui Paesi Emergenti, nuovi tagli dei tassi sembrano ora molto meno probabili. I rischi derivanti dalle questioni geopolitiche (in particolare i rapporti diplomatici tesi con i Paesi Occidentali) hanno eliminato probabilmente gran parte delle possibilità di sovraperformance della valuta. La sensibilità al prezzo del petrolio è inferiore rispetto al passato grazie alla regola di riciclaggio dei surplus fiscali petroliferi in riserve valutarie, ma il rublo sta comunque ampiamente sottoperformando l’andamento delle quotazioni del greggio. I solidi fondamentali macroeconomici, il carry reale elevato e la credibilità della politica fiscale e monetaria sono fattori di sostegno del rublo, ma i rischi al ribasso dalla politica estera (con possibilità di nuove sanzioni USA ed europee) e le condizioni finanziarie internazionali restrittive stanno ora prevalento. Manteniamo quindi la view neutrale sul RUB.

Turchia

La situazione in Turchia è diventata delicata e se la causa immediata è stata l’intensificazione delle tensioni diplomatiche con gli Stati Uniti, il crollo della lira è la conseguenza di un deterioramento economico a lungo accumulato che rischa di sfociare in una crisi della bilancia dei pagamenti. Il Governo non ha ancora annunciato misure credibili per arginare il rapido deterioramento delle condizioni economiche e finanziarie, in particolare, politiche fiscali e monetarie restrittive e sostegni per il settore bancario. L’allentamento delle tensioni diplomatiche con gli Usa è forse una condizione necessaria ma non sufficiente per il rinnovo della fiducia dei mercati, poichè la preoccupazione dei mercati è ora concentrata sulla sostenibilità della bilancia dei pagamenti e sulla capacità di rifinanziare il consistente indebitamento estero. Un ulteriore deterioramento della situazione potrebbe richiedere anche restrizioni ai movimenti di capitale e richiesta di sostegno al FMI, che rappresentano probabilmente l’ultima linea di difesa per la stabilità finanziaria, a causa delle loro conseguenze economiche e di mercato estremamente negative che li rendono politicamente poco attraenti. I recenti provvedimenti di natura tecnica per stabilizzare la lira sono riuscite a frenare il crollo della valuta ma è probabile che abbiano solo un impatto a breve termine; il vertice della Banca Centrale del 16 settembre rappresenta probabilmente l’occasione migliore per provare a riconquistare la fiducia degli investitori, con un aumento dei tassi di almeno 5 punti percentuali (il tasso ufficiale del 17,75% è inferiore al 17,9% di inflazione). Manteniamo la view negativa sullaTRY poiché il rischio che l’attuale crisi valutaria evolva in una crisi della bilancia dei pagamenti è estremamente elevato.

Sud Africa

L’economia del Sudafrica è scivolata in recessione nel primo semestre del 2018. Anche se la performance negativa è in gran parte dovuta al collasso della produzione agricola per la siccità, le condizioni degli altri segmenti dell’economia e la fiducia degli operatori economici non segnalano un rapido recupero. Le strozzature alla produzione in diversi comparti produttivi ed il calo dei prezzi delle materie prime di esportazione stanno inoltre pesando sulla bilancia delle partite correnti, il cui deficit è nuovamente tornato sopra il 3% del PIL. L’’inflazione è stata da inizio anno nella parte bassa del range target del 3-6% ma passerà molto probabilmente nella parte alta nei prossimi mesi per effetto della recente svalutazione del rand. Come conseguenza, la Banca centrale sudafricana (SARB) è recentemente diventata più cauta e sembra aver abbandonato l’orientamento di tagliare i tassi d’interesse per sostenere l’economia. L’euforia legata alla nomina di Cyril Ramaphosa a leader del partito di Governo (African National Congress) sembra terminata, in particolare ora che la proposta di riforma terriera considerata non market-friendly ha iniziato il percorso per essere inserita nella Costituzione. Senza un solido catalizzatore idiosincratico di tipo politico, la storica elevata vulnerabilità del ZAR alle condizioni finanziarie internazionali è esplosa, complice anche il contagio dalla svalutazione della lira turca ed il rischio che le politiche del Governo tendano a diventare più populista con l’avvicinarsi delle elezioni del 2019. Mentre una view positiva sul ZAR non è più appropriata nelle attuali condizioni, portiamo la view a neutrale, sia perché la svalutazione sembra eccessiva, sia per l’elevato rischio di intervento della SARB tramite aggressivi rialzi dei tassi d’interesse.

 

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