La vicenda Monte Paschi domina le cronache di questi giorni. E come potrebbe essere diversamente? In piena campagna elettorale, poi, uno scandalo che colpisce una banca chiaramente politicizzata è un boccone troppo ghiotto sia per la politca che per la cronaca.
Dopo aver fatto, spero, un minimo di chiarezza sull’assenza di relazione fra l’IMU e i “Monti bond” vediamo di cosa il Monte Paschi -ed i suoi vertici- può essere ragionevolmente accusato.
Iniziamo dalla commistione fra politica e industria finanziaria: come ho potuto dire stamattina a Radio24 nella mia consueta finestra del lunedì mattina, l’elezione di un consiglio per criteri politici anziché di merito (o comunque dove l’appartenenza politica è un requisito prioritario rispetto al merito) genera dei consigli di amministrazione con un tasso di competenza inferiore. Un humus nel quale chi intende tentare delle malversazioni viene facilitato.
La responsabilità diretta del partito può anche non esserci, ma la responsabilità indiretta di aver generato le condizioni per la proliferazione di certi comportamenti, per la loro mancata scoperta e/o denuncia (in un ambiente dove le relazioni contano più del merito succede…) non può essere negata.
Ma di che malversazioni si parla? Facciamoci aiutare dal Fatto Quotidiano, che riporta il testo della telefonata con cui si chiuse il contratto “Alexandria“: in pratica l’operazione prevedeva di mascherare delle perdite, usando come paravento titoli di Stato di lunghissima scadenza caricati a bilancio a valori diversi da quelli presenti sul mercato. Quello che finora è chiaro è che dopo aver commesso delle sciocchezze, il management di MPS ha cercato di nasconderle e coprirle con sciocchezze più grandi, come farebbe un adolescente. E sciocchezza per sciocchezza, parrebbe che alcune di queste siano state compiute con la consapevolezza che lo fossero, ma con ritorni economici -non esattamente leciti né trasparenti- per i firmatari. La magistratura ci dirà, dopo le doverose indagini, quante di queste accuse siano rispondenti a verità.
Quello che è certo è che gli azionisti del Monte Paschi hanno assistito alla distruzione del capitale di quella che è la più antica banca del mondo (anche se il primato spetta in realtà alla Banca di San Giorgio, a Genova) con operazioni che -nella migliore delle ipotesi- si sono rivelate scellerate.
Non è un caso se il vertice della banca più fragile tra le grandi poi si ritrova a capo dell’associazione di categoria, nominato prima e confermato poi, con voto unanime (ragion percui oggi ha poco senso sentir fare i distinguo politici: tutti sapevano e hanno lasciato correre – dando spazio a nomignoli come Monte Pacchi, Monte dei Fiaschi, Monte dei Pazzi di Siena – sperando che le cose si diluissero nel tempo e che l’assetto di potere non ne restasse contagiato. Oggi scoppia il bubbone ed alcuni strumentalmente si indignano).
Se serviva, è l’ennesima dimostrazione di quanto poco sostenibile sia l’idea di mettere la finanza e/o la politica monetaria sotto il controllo della politica, per quanto gli stessi che mettono alla berlina MPS magari ne sostengano la necessità facendo giravolte dialettiche mirabolanti.
Se osserviamo anche il linguaggio, con l’ex direttore generale Vigni che afferma candidamente che le perdite maturate sui contratti derivati erano preesistenti e che quando lui si insediò, con Mussari alla presidenza, ereditò le situazioni dalla gestione precedente: “I titoli tossici li abbiamo ereditati da chi c’era prima” un altro caso di proprietà ricevuta “a sua insaputa”: schema dialettico tipico del linguaggio politico.
A chi ha dovuto fronteggiare con i buchi che via via si sono rivelati è toccato decidere come tentare di salvare l’istituto senese. Nazionalizzarlo? Lasciarlo fallire? Per ora è stata presa sia dal governo Berlusconi (con i Tremonti bond) sia dal governo tecnico uscente (con i Monti bond) la decisione di aiutare la banca con un prestito, sperando che questo aiutasse a tamponare la situazione nell’immediato nella speranza che un ritorno della banca sul sentiero virtuoso avrebbe permesso il ripianamento dei debiti e la copertura dei “buchi”.
Nell’ottica di una osservazione razionale e non coinvolta, possiamo leziosamente dedicarci al confronto fra i cosiddetti Tremonti Bond ed i Monti Bond, per vedere le diverse modalità di aiuto concesse dai cittadini -attraverso il denaro pubblico- alle banche, tra cui MPS.
Tremonti bond
- Si tratta di titoli ibridi subordinati: in caso di insolvenza della banca sono rimborsati solo dopo che sono stati rimborsati altri debiti non subordinati dell’emittente.
- Convertibili in azioni ordinarie dell’emittente solo su richiesta della stessa banca (cioé se è interesse del debitore, non a tutela del creditore) dal terzo anno dall’emissione.
- Perpetui: nominalmente non hanno alcuna scadenza anche se possono essere rimborsati dalla banca in qualsiasi momento.
- Piano cedole/rimborsi: dal 2009 al 2012 cedola del 8.5% e prezzo di rimborso 100. Dal 2013 al 2016 cedola del 9% e prezzo di rimborso da 110 fino ad un massimo di 140. Anni 2017-2018 cedola al 9.5% e rimborso a 140. Anni 2019-2020 cedola al 10% e prezzo di rimborso 150. 2023: cedola a 11% e rimborso a 160.
- Peculiarità delle cedole: gli interessi sono corrisposti dalla banca allo Stato solo in presenza di utili distribuibili (e le cedole non sono cumulabili in caso di mancato pagamento nell’anno in cui la banca ha chiuso in rosso).
In pratica la banca che emetteva i Tremonti bond poteva optare, a seconda di ciò che le offriva miglior gestione della situazione, per la conversione oppure per il rimborso (con i criteri di cui sopra) oppure tenerle in vita per quanto voleva (con i tassi sopra esposti).
I Tremonti Bond erano titoli ibridi, cioé venivano computati come Core Tier1 capital: Questo significa che in caso di abbattimento del capitale il valore del bond ne risentiva in eguale misura. Oltre al Monte dei Paschi (che ne ha emessi 1.900 mln€), le altre banche che hanno emesso i Tremonti bond sono: Banco Popolare (1.450 mln€, già rimborsati), Banca Popolare di Milano (500 mln €, non ancora rimborsati), Credito Valtellinese (200 mln €, non ancora rimborsati).
Se guardiamo nello specifico all’uso che il Monte Paschi ha fatto dei Tremonti Bond, vediamo che ha pagato la cedola relativa a quei titoli per il 2009 e 2010 (avendo chiuso in utile) mentre non ha pagato cedola per il 2011 e per il 2012 (generando un mancato incasso allo Stato di 160 mln € all’anno).
Monti Bond
Quando, ad inizio 2012, sono emersi i risultati degli stress test dell’EBA è apparso evidente che al Monte Paschi servivano -ancora- 1,7 mld € di capitale per raggiungere i requisiti fissati dall’ente di vigilanza europeo. La via più classica, in questi casi, è quella di lanciare una operazione di aumento di capitale. Ma l’azionista di riferimento, la Fondazione Montepaschi, non sarebbe stata in grado di sostenerne il costo, né intendeva diluire eccessivamente la propria partecipazione perdendo potere all’interno dell’Istituto, inoltre mancava in ogni caso un potenziale nuovo socio disposto a sostituirsi alla Fondazione nella sottoscrizione dell’aumento, se non a condizioni da “regalo”. E’ giunta quindi la richiesta di un nuovo aiuto allo Stato. Il Governo ha pensato ad uno strumento di aiuto che servisse alla banca nella sua lotta per la sopravivenza, ma ponendo due condizioni molte chiare: la prima era che la banca non poteva contare di ricevere aiuti pubblici prima di ridurre il più possibile le proprie esigenze dismettendo partecipazioni e vendendo il superfluo. La seconda era che questa nuova tranche sarebbe stata a condizioni più severe e che queste condizioni sarebbero state estese anche ai vecchi aiuti (ovvero l’emissione dei Monti bond fosse anche finalizzata ad estinguere i vecchi Tremonti bond). Vediamo le condizioni dei Monti Bond (per chi desidera il dettaglio allego il decreto): le caratteristiche nella sostanza poco diverse da quelle dei Tremonti Bond, si tratta di titoli ugualmente perpetui e subordinati etc, l’opzione di rimborso da parte dell’emittente alla pari (100) vale solo fino al 30 giugno 2015. Successivamente il capitale da rimborsare cresce di un 5% ogni due anni fino a rimborso massimo al 160% del valore nominale emesso, mentre la cedola parte da 9% per il 2013 e poi viene aumentata dello 0,5% ogni due esercizi fino al 15%.
La cedola viene sempre pagata in primis in cash fino alla concorrenza dell’utile dell’anno. A differenza dei Tremonti Bond, tuttavia, gli interessi sono sempre pagati e se l’utile non è capiente (o se si registra un bilancio in perdita) la banca può decidere che il Ministero dell’Economia converta in azioni la quota interessi non pagata oppure può chiedere l’emissione di nuovi Monti Bond a copertura degli interessi. La conversione in azioni è un’opzione che rimane in capo a MPS.
Questo per dipanare bene le nebbie su chi e come abbia aiutato chi e a che condizioni.
Rimane, scottante, la questione della vigilanza: scoprire simili nefandezze fa mettere seriamente in dubbio, nell’opinione pubblica, la capacità degli organi di sorveglianza di vedere (o di voler vedere). “Bankitalia fa attività di vigilanza prudenziale, non lotta al crimine” ha tuonato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Non un gran che come difesa, sinceramente.
Le ispezioni della Banca d’Italia negli istituti sono incentrate sul principio di “evidenziare potenziali rischi” cioé trovare situazioni che, benché non abbiano generato ancora alcuna criticità, potrebbero diventare detonatori di rischi per l’Istituto e/o il sistema; arrivano a valutare l’impatto del costo delle imprese di pulizia per le filiali (!!!). Come può un’analisi tanto stretta lasciarsi scappare operazioni con nove zeri? L’ente di sorveglianza è stato miope o si è girato dall’altra parte?
Banca d’Italia sulle operazioni OTC (over the counter) dove non sussiste un asset swap, ma solo contratti fuori mercato tra due controparti, ha serie ed oggettive difficoltà a rilevare la situazione. Mettere in discussione la serietà di Banca d’Italia sarebbe di cattivo gusto, un’operazione a ritorno negativo, vista la fondamentale importanza che l’istituto di via nazionale ancora ricopre. Ma le regole che permettono di sottrarsi con più facilità alle maglie del controllo di Bankitalia vanno riviste, perché al caso Montepaschi, presto (al di là delle rassicurazioni che ci vengono propinate) potrebbero presto seguire altri casi.
E la rassicurante definizione di “caso isolato” non potrebbe essere usata di nuovo.
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