Eurobond, personaggi in cerca d’autore

Tremonti è il fuoriclasse dei conti, ma sugli Eurobond hanno ragione gli esperti dell’inesperto Merkozy, anche se si fa fatica ad ammetterlo: possono e devono essere la conseguenza e non la premessa del risanamento dei buchi di bilancio degli stati PIIGS. Belli e impossibili, per il momento, perché mancano le condizioni per il loro utilizzo a fini di gestione del debito pubblico europeo. Per cominciare, manca il soggetto politico unitario cui spetterebbe emettere e garantire i titoli di debito “comunitari”. In altri termini, in assenza dei famigerati Stati Uniti d’Europa, gli Eurobond sarebbero dei personaggi in cerca di autore, recitando senza soggetto. Il che potrebbe avere impatti assai indesiderati in termini di costo del debito ed appeal degli strumenti presso investitori e mercati, sia al momento del loro collocamento che in fase di negoziazione. Mancano, per proseguire, condizioni e politiche di bilancio uniformi a livello europeo: come finanziarie con bond comunitari il debito di singoli stati aventi situazioni e gestioni di bilancio così difformi? Prima di raggiungere il comune nirvana di bilancio, occorrerà superare tre stadi assai complessi: 1. risanamento dei conti degli stati PIIGS; 2. convergenza delle politiche di bilancio dei singoli stati; 3. uniformità di tali politiche, attraverso l’istituzione di una sorta di ministero del tesoro e delle finanze comune a livello europeo. Dovrà quindi accadere alle politiche di bilancio quel che è accaduto alle politiche monetarie dei singoli stati europei con l’avvento della moneta unica. Così, se nel 1998 fu istituito il Sistema Europeo di Banche Centrali con a capo la Banca Centrale Europea, oggi si rende necessaria la devoluzione di poteri e competenze nazionali ad una entità sovranazionale che guidi e coordini le politiche di bilancio comunitarie. E siccome non c’è politica di bilancio senza governo, ne deriva che l’emissione di eurobond non può prescindere dalla presenza di un governo comune europeo, nell’ambito di una confederazione di governi nazionali, alla stregua di quel che accade oggi per la politica monetaria, ove la BCE è la testa delle banche centrali nazionali, che fungono da braccia operative a livello nazionale per l’attuazione della politica monetaria comune ispirata da Francoforte. In assenza delle condizioni citate, è vero che a pagare le conseguenze sarebbero gli stati più virtuosi, in quanto la media della qualità/affidabilità del debito degli Stati UE sarebbe certamente inferiore allo standing creditizio dei singoli stati della white list. Ne deriverebbe ad esempio che, per piazzare bond comunitari sul mercato, la virtuosa Germania si troverebbe a pagare per la sua quota-parte interessi più elevati rispetto a quelli che pagherebbe con l’emissione di titoli di debito nazionali. In attesa che si creino le condizioni per l’emissione di Eurobond a fini di gestione del debito europeo, gli stati PIIGS dovrebbero invece meditare seriamente sull’emissione di titoli di debito garantiti da asset pubblici di qualità, quali beni immobili, partecipazioni finanziarie, crediti diversi. Tali asset dovrebbero essere preliminarmente ceduti dallo stato, che ne è titolare, ad una società “veicolo” appositamente costituita e controllata dal medesimo stato cedente. Gli asset ceduti dovrebbero essere segregati in un patrimonio autonomo facente capo alla società veicolo cessionaria. Ai fini della certezza e della tenuta della garanzia, gli asset ceduti dovrebbero essere indisponibili per la società veicolo, la quale ben potrebbe però valorizzarne gestione ed impiego, incrementandone prezzo e redditività. Con l’emissione di tali bond nazionali “coperti” da good asset statali si centrerebbero tre preziosi obiettivi al contempo: 1. abbattere sensibilmente il costo del debito pubblico, in funzione dell’esistenza di una solida ed autonoma garanzia sull’adempimento delle obbligazioni di stato; 2. valorizzare gli asset pubblici attraverso la gestione caratteristica affidata alla società veicolo, sanando in tal modo l’atroce piaga dei beni di stato oggi trascurati, in disfacimento o mal gestiti; 3. evitare la dismissione di beni pubblici a terzi privati, come molti vorrebbero, spinti più dal populismo o da interessi soggettivi che dalla ragione e dal bene comune, ignorando una evidenza tanto banale quanto cruciale per le politiche di bilancio di uno stato: gli attivi patrimoniali sono assolutamente indispensabili per garantire la copertura dei debiti che una nazione contrae per reperire risorse finanziarie da impiegare, inter alia, in welfare e servizi per i propri cittadini. Cedere asset significherebbe quindi privarsi di tali risorse, necessarie a garantire politiche sociali adeguate tanto all’attuale contingenza quanto nel medio e lungo termine. Non si chieda quindi agli Eurobond, in questa fase storica, di svolgere un compito diverso da quello che già stanno svolgendo dignitosamente, ovvero finanziare sviluppo ed infrastrutture degli stati UE. In attesa del ministero del tesoro e delle finanze europeo (ci vorranno anni), i bond nazionali garantiti da asset di stato potrebbero rappresentare invece uno strumento utile per affrontare il girone infernale del risanamento dei conti nazionali, tappa obbligata per raggiungere il paradiso degli Eurobond, augurandoci che questo paradiso in terra non rappresenti la solita, astuta bugia per il popolo bue.

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