Dietro al salvataggio delle banche c’è la paura del panico

L’ANALISI: il salvataggio delle banche sarà sempre più a carico del comune depositante nonché risparmiatore

Esporsi meno ad azioni, obbligazioni e depositi bancari unica via per un minor rischio

Dopo il salvataggio delle ormai famigerate quattro banche italiane (Banca Marche, CR Ferrara, CR Chieti, Popolare Etruria) sembra essere scattata una psicosi collettiva tra i comuni risparmiatori. Una paura che viene ovviamente alimentata da un circolo vizioso e crescente di informazioni che amplificano la sensazione di insicurezza. Paure che se da un lato possono alzare il livello di allerta del singolo e quindi contribuire ad una migliore vigilanza e controllo delle personali posizioni detenute presso i diversi istituti italiani, dall’altro potrebbero arrecare ancor più danni se il latente terrore diventasse panico collettivo.

BANCHE IN CRISI

Nelle ultime settimane non sono mancate avvisaglie di tali sintomi sul mercato delle obbligazioni subordinate bancarie ed in particolare su quelle degli istituti le cui vicende di cronaca sono note da tempo e che sembrano allarmare maggiormente i risparmiatori dopo quanto accaduto. I quattro grafici riportati a titolo esemplificativo denotano lo stress che tale tipologia di strumento obbligazionario ha per ora subito dopo l’attuazione del decreto salva-banche, ovvero una vendita indiscriminata che sembra attualmente arginata grazie alla possibile marcia indietro del governo sulla gestione delle perdite subite dai risparmiatori coinvolti nel “salvataggio”.

Quanto accaduto ricorda molto i movimenti che tali titoli subirono durante la tensione sul debito italiano nella fase acuta dello spread BTP-Bund nel 2011/12. Allora l’elemento scatenante fu il panico innescato dal crollo dei prezzi dei titoli di Stato e questo perché le tesorerie delle banche erano piene di debito italiano. Un elemento quest’ultimo che per la cronaca non è cambiato ed anzi è bensì aumentato decisamente grazie all’intervento della BCE a guida Draghi, come mostrato dalla tabella elaborata da Unimpresa.

L’enorme debito pubblico posseduto dal sistema bancario italiano (ora circa ¼ del circolante) che rischiava di mandare a gambe all’aria il sistema fu infatti prima sedato col prestito agevolato di oltre 1.000 miliardi di euro all’intero sistema bancario europeo con scadenza 2015 (finanziamento con il quale le banche hanno sottoscritto ancora più debito pubblico) e poi dal successivo avvio dell’attuale Quantitative Easing, ovvero la stampa di 60 miliardi di euro al mese che da marzo di quest’anno porta avanti la BCE tramite l’acquisto diretto di titoli di Stato nell’eurozona. Il panico da allora è stato così fermato per non mettere in crisi sia gli Stati e sia i relativi sistemi bancari ma essendo rimasti non pochi problemi di bilancio all’interno di molte banche a causa dell’eccesivo credito erogato, spesso in malo modo, si è ora giunti dopo tre anni a risolvere quel problema in altra forma ed a partire dal 2016, seppur l’attuale “salvataggio” sia stato un parziale anticipo.

CAPIRE IL SISTEMA

Dopo la crisi dello spread si è assistito ad un generale irrigidimento del credito bancario, fatto che insieme alla bassa crescita del paese ha mandato sempre più in difficoltà il settore privato ed in particolare quello delle medie e piccole imprese, ovvero il target di clienti a cui le banche spesso di analoga dimensione hanno prevalentemente fatto credito in passato e che poi ha trasformato tali erogazioni prima in sofferenze e incagli nelle voci dei bilanci delle banche (cifra che nel sistema del credito italiano è stimata sui 200 miliardi) ed infine in perdite che hanno portato ai recenti salvataggi, con il coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti subordinati. Il problema che però non viene mai evidenziato è il motivo per cui tale situazione è venuta a crearsi, ovvero a seguito di due importanti regolamentazioni che hanno permesso nel tempo ed all’intero sistema bancario (non solo italiano) di poter arrivare a tali assunzioni di rischi ovvero ampliare al massimo l’impiego e l’utilizzo dei depositi versati dai depositanti. Il tutto è stato consentito dalla cosiddetta riserva obbligatoria o frazionaria (attualmente pari all’1% per l’eurosistema) e dalla trasformazione degli istituti da banche prettamente commerciali ad universali e dunque a più ampia operatività (quali ad esempio l’intermediazione finanziaria o l’assunzione di partecipazioni industriali).

Tali modifiche nel tempo hanno consentito al sistema di poter impiegare i depositi versati con sempre più leva, ovvero aumentare l’erogazione del credito di n volte rispetto a quanto sono obbligate a detenere come accantonamento minimo (grazie alla sempre più bassa riserva) e/o destinarli ad attività non solo creditizie (grazie all’ampliamento delle attività autorizzate dal nuovo modello di banca). L’effetto “leva” ha ovviamente permesso al sistema di moltiplicare in passato i ricavi ma ha sempre più esposto il sistema a rischi sistemici crescenti in quanto e come noto a tutti, sia il credito che gli investimenti possono presentare pericoli di non restituzione o di perdita e dunque in grado di arrecare danni nei bilanci delle stesse banche tali da farne cessare l’attività stessa (es. l’azienda a cui è prestato il denaro fallisce e non rimborsa il credito alla banca oppure i depositi non utilizzati per far credito e semmai investiti in titoli di uno Stato in crisi, possono genera perdite all’istituto).

QUALE SICUREZZA?

Se immaginassimo per un attimo, portando all’estremo il ragionamento, che tutto il credito erogato da un istituto non fosse rimborsato o gli investimenti fatti in titoli ad esempio di uno Stato fallissero o se tutti i depositanti chiedessero contemporaneamente la restituzione dei loro risparmi, apparirebbe ovvio la fallibilità di qualsiasi istituto bancario (salvo che non abbia mai prestato denaro, mai investito la liquidità depositata e tutto sia pronto cassa nei caveau). Ecco perché non esiste una banca “sicura” al 100%. Può esistere bensì la sicurezza che si possa creare dal nulla quanta moneta si voglia da parte di una banca centrale ma col rischio ultimo che la stessa precipiti di valore e si crei la temuta iperinflazione. Tale ipotesi è però non auspicata da qualsivoglia banchiere centrale e perciò, prima di pensare a sostenere un’insostenibile eccesso di credito in tale modo, si è deciso a livello normativo europeo di preferire il fallimento delle banche irrecuperabilmente in crisi tramite l’ormai noto meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, procedura che sarà effettiva dal 1 gennaio 2016. In pratica si faranno fallire le banche che hanno ecceduto negli anni passati per poi procedere col loro risanamento o riavvio dell’attività bancaria grazie ai soldi privati dei risparmiatori-investitori (azionisti, obbligazionisti, correntisti oltre € 100.000) contribuendo così con il denaro allocato sugli strumenti dell’istituto (azioni, obbligazioni, conti) alla cancellazione delle perdite derivanti da quel credito irrecuperabile elargito eccessivamente o dalle perdite subite in errati investimenti fatti coi soldi dei depositanti. Un procedimento che dovrà essere gestito con cautela dai governi e dai banchieri in quanto vi sarà sempre ed in ultima analisi il rischio di panico nel pubblico e dunque di indiscriminata corsa allo sportello, ovvero la possibilità di far fallire anche banche che hanno ben operato senza rischiare in speculazioni o erogazioni “allegre” ma che per come è concepito l’attuale sistema bancario non possono far fronte ad una immediata restituzione di tutti i depositi conferiti.

COSA FARE

Per semplificare e ragionando solo per estremi ma senza arrivare ad essere così tranchant da considerare il caso di spostare i propri soldi fuori dall’Italia e dall’eurozona o di averli nel classico materasso e con la consapevolezza che ognuno ha poi la capacità di graduare il tutto, può essere sufficiente separare i propri risparmi dal rischio banca, ovvero ed in base alle regole europee della Bank Recovery and Resolution Directive, non detenere azioni ed obbligazioni (garantiti solo i covered bond delle banche), avere depositi al minimo necessario per i flussi di cassa di spesa personali (garantiti fino a € 100.000) ed allocando l’eccesso dei propri risparmi in strumenti finanziari non collegati alle sorti della banca in quanto inseriti nel personale e separato dossier titoli. Nell’utilizzo ad esempio di fondi, gestioni, assicurazioni ecc., ovvero il cosiddetto risparmio gestito deve però esservi l’avvertenza di sapere cosa vi sia realmente dentro in quanto ciò che si è semmai fatto uscire dalla porta con l’abbandono di azioni, obbligazioni e depositi della banca, potrebbe rientrare dalla finestra con tali strumenti nonché aver al suo interno altri generi di rischi non noti all’ignaro e spesso non finanziariamente preparato risparmiatore. Mancanza quest’ultima che può essere attenuata rivedendo in modo più critico e reale quel personale profilo Mifid che spesso l’intermediario finanziario fa firmare con superficialità ai propri clienti. Il dichiarare una bassa propensione al rischio ed una non elevata conoscenza finanziaria espone di fatto l’istituto a possibili risarcimenti nel caso in cui fosse accertata la mala fede nel consigliare strumenti non adatti al profilo dichiarato dal cliente e questo perché lo vincola ad una maggior prudenza. Una tutela in più a cui spesso i risparmiatori non danno il giusto peso ma che va tenuta in considerazione, non fosse altro per l’evidente conflitto d’interesse che spesso contrappone banche e risparmiatori e che dal 2016 potrà ancor più accentuarsi.

L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari. Per domande e chiarimenti potete scrivere a: info@rubensligabue.com

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.