Fa effetto vedere nel mondo tanta povertà, guerre e sofferenza e insieme tanta ricchezza. A livello mondiale la ricchezza finanziaria delle famiglie è cresciuta del 9,9% nel 2013. Allianz stima tale ricchezza in 118 mila miliardi di euro, che, come i polli di Trilussa, segnalano squilibri tra paesi, fra aree di uno stesso territorio e anche all’interno di uno stesso quartiere. In questa particolare classifica, l’Italia è quattordicesima con 48.800 euro di asset finanziari netti pro capite(+2,9%), anche se in discesa. Le cose sono andate particolarmente bene negli Stati Uniti (+11,7%), in Giappone (+6,1%) e in Europa occidentale (+5,2%), senza contare lo sprint di alcune aree emergenti. Purtroppo nella classifica della ricchezza liquida l’Italia ha perso ben sette posizioni e si è staccata dal gruppo dei Paesi che più accumulano e valorizzano il danaro: Svizzera, Danimarca, Regno Unito, Svezia, Olanda, Belgio. La Francia e la Germania seguono al quindicesimo e sedicesimo posto. Come si spiega questo? Dal 2007 gli italiani hanno perso circa il 60% della capacità di risparmio e, considerato l’andamento del Pil, è prevedibile un 2014, nella migliore delle ipotesi, in linea con il 2013. Se non si creano nuovi posti di lavoro non è possibile produrre nuova ricchezza e, a lungo andare, anche tagliando i consumi e avendo mercati favorevoli, le nostre famiglie finiranno per mangiare il risparmio accumulato negli anni. Il risparmiatore italiano, inoltre ha delle sue peculiarità: preferisce i depositi bancari, quindi la liquidità, titoli obbligazionari di duration limitata ed è investito per poco più del 10% nell’azionario. E’ insomma molto prudente e questo, in una fase di bassi tassi, riduce la rivalutazione della ricchezza. Inoltre è afflitto da un’eccessiva passione per la casa, che immobilizza circa il 60% della ricchezza totale. Un tempo questa scelta ha pagato, particolarmente nei periodi di alta inflazione; oggi, con un’inflazione ferma, le abitazioni, soprattutto le seconde case, sono sempre più tassate e con sempre meno mercato. Le compravendite sono scese del 3,6% nel secondo trimestre dell’anno in corso, rispetto all’analogo periodo del 2013. La leggera ripresa delle compravendite nei capoluoghi ,+1,8% e del 10,3 negli immobili industriali, indicano che solo la ripresa economica, con conseguente ripresa dell’occupazione, può far salire i rendimenti. Non basta quindi far lavorare bene il danaro, se non riparte l’Italia, la ricchezza accumulata è come i prosciutti nelle case dei contadini, invece di aumentare di numero, tagliati a fette sempre più grosse, rischiano di finire.
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