Crisi europea; siete pronti per ballare il flamenco?

spagna-terra-di-flamenco-passione-paella-e-al-L-ShhD8KIl programma LTRO (Long Term Refinancing Operation) di Draghi ha riversato ben 1000 miliardi di euro sulle banche europee, nel tentativo di comperare del tempo.

Tuttavia, esaurita la doppia fase del programma terapeutico della BCE, sembra di essere tornati al punto di partenza.

In cima al dirupo.

I CDS (Credit Default Swap – assicurazioni contro il fallimento) sui titoli spagnoli a 5 anni hanno toccato, per la prima volta, quota 500 bp, e i CDS sui titoli italiani sono tornati a 433 bp.

Gli avvoltoi sono in picchiata sulle banche spagnole; si stima in 300 miliardi la provvista fatta con il LTRO. Non che quelle italiane stiano meglio, hanno preso ben 354 miliardi di euro; se sommiamo i prestiti arriviamo a 750 miliardi di euro a Spagna ed Italia.

Pare, che il vero debito/Pil della Spagna sia al 90% e non al 60% e c’è un’enorme problema con il prezzo degli immobili, con il rischio di arrivare al -50%, registrato in USA. La disoccupazione è al 23%, con quella giovanile oltre il 50%, e questa settimana ci sono le aste per i Bonos (titoli di stato spagnoli). La ricetta spagnola per uscire dalla crisi è la solita; più potere alla polizia, deroghe ai contratti di lavoro, lotta all’evasione, al contante ed alle rimesse di soldi all’estero. Film già visto.

Mariano Rajoy ha detto che la situazione ha creato un circolo vizioso che strangola la Spagna.

Le prossime date della crisi sono il 6 di Maggio con le elezioni greche, ed il 22 di Aprile con il primo turno delle presidenziali francesi. Avevamo ipotizzato che Ben Bernanke, avrebbe fatto il terzo QE (gli USA che stampano moneta), alla dipartita della Grecia dall’eurozona, e il nostro teorema è ancora in piedi. Nella crisi del 2001 e del 2008, gli Usa hanno reagito con una mossa potentissima e cioè portare a zero il costo del denaro; essendo ora il costo del denaro già a zero, altro non si può fare.

In questa crisi, l’avvitamento dell’Italia è certo a causa di quattro fattori:

– l’aver accettato il Fiscal Compact, ovvero la riduzione europea del debito/Pil al 60% entro 20 anni; ciò comporta all’Italia, che è al 120% di debito/Pil, di dimezzare progressivamente il debito pubblico, arrivato a 1900 miliardi di euro. Certo, si potrebbe aumentare il Pil, ma con tutti i lacci e lacciuoli che ci bloccano, di idee in circolo ce ne sono ben poche;

– la partecipazione dell’Italia ai meccanismi di aiuto europei. Noi contribuiamo pro quota BCE con circa il 20% ai vari fondi di salvataggio. Più aiutiamo gli altri, più ci andiamo ad incasinare;

– il sistema bancario bloccato. La cinghia di trasmissione principale della nostra economia, cioè le piccole aziende, hanno il credito bloccato per colpa di leggi e regolamenti fatti da burocrati e politici che non si rendono conto del disastro che stanno causando;

– il settore pubblico. Non si muove niente. Anche la riforma dell’articolo 18, non tocca lo stato. E qui apriamo un breve inciso.

La Grecia è saltata perché, dopo l’entrata in Europa, aveva assunto milioni di persone sotto lo stato, e per l’Italia il problema è identico. Certo, l’economia del centro sud Italia non può prescindere dal pubblico impiego, e se si lasciano a casa dei dipendenti pubblici, questi faticheranno a trovare lavoro, perché non ce n’è. Ma se al nord saltano le aziende, salta il gettito per pagare gli stipendi e lo stato fallisce. Esattamente come la Grecia, che ha liberalizzato le professioni per far si che questi disoccupati del pubblico, abbiano qualcosa da fare per vivere.

La riforma dell’Art.18 e le liberalizzazioni, sono ricette per non far fallire lo stato.

O ci pensiamo noi, o arriva il Fondo Monetario.

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