Il complesso delle commodities ha accelerato al rialzo nell’ultima settimana, grazie ai buoni dati macroeconomici USA, alla riduzione delle tensioni commerciali dopo l’accordo inaspettato tra Trump e Juncker ed all’annuncio una politica fiscale più espansiva in Cina. Il movimento è stato guidato dalle commodities agricole, mentre soltanto i metalli preziosi hanno chiaramente sottoperformato.
Le quotazioni del petrolio hanno proseguito il lento recupero dopo la turbolenza delle settimane precedenti, con il WTI ed il Brent tornati ad avvicinarsi rispettivamente a quota 70 e 75 US$/barile. Mentre i report settimanali USA non hanno evidenziato grandi novità (l’attività estrattiva rimane elevata ma le scorte continuano a diminuire), i driver principali sono stati geopolitici, dalla tensione nella penisola arabica per la guerra in corso tra Arabia Saudita e ribelli in Yemen sostenuti dall’Iran alla possibilità che gli USA possano rilassare i target di efficienza energetica per le auto, che avrebbe conseguenze positive per la domanda di carburanti.
La maggior parte dell’attenzione è stata tuttavia catturata dai metalli industriali e dalle commodities agricole, che erano stati maggiormente penalizzati nella fase di intensificazione delle tensioni commerciali e di timori per le conseguenze macroeconomiche negative per la Cina. L’annuncio di un nuovo stimolo fiscale in Cina ha supportato il recupero dei metalli industriali come il rame, in linea con l’esperienza storica, dopo che le quotazioni avevano prezzato probabilmente uno scenario eccessivamente negativo. Analogamente l’accordo tra Trump e Juncker, che allenta la tensione commerciale tra USA e UE e prevede, tra le altre cose, maggiori acquisti europei di soia americana, ha favorito un drastico rimbalzo dei prezzi dei prodotti agricoli, sostenuti anche dalle pessime condizioni meteo in Europa, Russia e USA che stanno danneggiando i raccolti. Al contrario, ancora debole l’oro, scivolato in area 1220 US$/oncia, poiché il solido dato sul PIL USA del secondo trimestre consolida ancora lo scenario di politica monetaria restrittiva della Federal Reserve.
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