Commento sulla rupia indiana

 Sulla rupia indiana c’è una view positiva guidata dal processo ben avviato di riforme strutturali e riequilibrio macroeconomico che hanno reso l’economia meno vulnerabile a shock esterni e contemporaneamente aumentato il potenziale di crescita. Inoltre la Banca Centrale indiana ha disinflazionato con successo l’economia ed ha a sorpresa interrotto il processo di ribasso dei tassi d’interesse, probabilmente per considerazioni di stabilità finanziaria durante il processo di “demonetizzazione”, consolidando così un carry in termini reali molto elevato anche rispetto alle altre valute Emergenti. Il flusso di dati macroeconomici è complessivamente migliore del previsto, in particolare alla fine del 2016 quando l’impatto negativo della demonetizzazione avrebbe dovuto essere maggiore, anche se probabilmente è soltanto posticipato al primo trimestre 2017. Come economia grande e relativamente chiusa e con la bilancia delle partite correnti in deficit solo marginale, l’India dovrebbe essere poco esposta ai fattori di rischio esterni, in particolare da variazioni di politica economica negli USA. Infine, c’è stato un evento politico importante, con la vittoria schiacciante del partito di Governo BJP alle elezioni dello Stato dell’Uttar Pradesh (il più popoloso dell’India). Questo risultato, oltre a far svanire i timori di un impatto negativo sulla popolarità del Governo legata alla “demonetizzazione” e ad aumentare la probabilità che il Primo Ministro Modi sia confermato alle elezioni generali del 2019, favorisce l’accelerazione delle riforme strutturali, in particolare l’implementazione dell’imposta nazionale sui consumi e servizi e la riforma del diritto fallimentare, che è particolarmente rilevante per affrontare la questione dei prestiti inesigibili delle banche. Dopo la vittoria di Modi nell’Uttar Pradesh, la rupia indiana ha cominciato ad apprezzarsi fortemente ed il cambio USD/INR ha rotto al ribasso il supporto chiave di 66 che aveva retto per tutto il 2016. Inoltre sembra che le banche statali abbiano smesso di comprare US$ per conto della Banca Centrale, lasciando pensare che la Banca Centrale sia disposta a tollerare un cambio più forte.

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