Il “nervosismo” sulla parte lunga della curva obbligazionaria (soprattutto americana e giapponese) è servito da pretesto per avviare una correzione sui mercati azionari, comunque fisiologica dopo il robusto rialzo che ha caratterizzato gli ultimi mesi e probabilmente necessaria per la sostenibilità del trend nel medio periodo.
Analogamente il mercato obbligazionario ha ricominciato a prezzare una crescente probabilità che la riduzione del QE3 della Fed possa iniziare nel corso del secondo semestre, riportando il rendimento sui decennali americani verso i massimi dell’anno al 2,10%.
Tuttavia, il percorso di rialzo dei tassi non sarà comunque lineare, anche perché il movimento delle ultime settimane dei rendimenti americani ha avuto luogo in concomitanza con un calo dell’inflazione, con conseguente incremento dei rendimenti reali. Di fronte a questi sviluppi e considerando gli elementi di fragilità che ancora caratterizzano l’economia americana è probabile che, al di là del “pilotato” (almeno in parte) dibattito sulla exit strategy, la FED si muova con estrema cautela sulla rimozione del QE. Come ha lasciato intuire lo stesso Bernanke, è nella logica degli eventi che nei prossimi mesi vi sia un’ attenuazione del programma di acquisti, ma è altrettanto ragionevole che la FED si muova con molta flessibilità: secondo alcuni strategist la progressiva rimozione del QE potrebbe essere accompagnata dall’individuazione di precisi target sui rendimenti a lungo termine. Per verificare i tempi di rientro del QE resta fondamentale il monitoraggio dell’economia statunitense.
Il sell-off sul reddito fisso americano si è ripercosso bruscamente anche sui mercati valutari, che inizialmente erano sembrati meno vulnerabili rispetto agli altri asset rischiosi. Il movimento al rialzo del rendimento del decennale americano ed in particolare della sua volatilità si è trasmesso in un’impennata della volatilità valutaria e della correlazione dei cross, inducendo una generale chiusura delle posizioni più sovraffollate. Questo spiega per esempio la relativa debolezza del dollaro contro Euro e la forza dello yen, invertendo due dei trade di maggior consenso. La maggior parte del riaggiustamento è stato però assorbito dalle valute emergenti, che già risentivano negativamente della debolezza delle loro economie e della conseguente linea di politica monetaria più espansiva del previsto delle rispettive Banche Centrali ma che erano supportate dall’abbondanza di liquidità creata dalle Banche Centrali di Paesi Sviluppati. Ora che il mercato sta prezzando aggressivamente la probabilità di riduzione del QE3 della Fed, sta venendo meno anche il principale sostegno. La situazione è particolarmente pesante laddove le posizioni degli investitori esteri sui titoli di Stato in valuta locale erano più pesanti e dove esistono ampi disavanzi delle partite correnti che necessitano di afflussi di capitali esteri per essere finanziati: infatti la debolezza si è concentrata sull’America Latina e sull’area Europa, Africa e Medio Oriente, mentre le valute asiatiche hanno risentito molto di meno (lo yuan in effetti ha continuato ad apprezzarsi contro USD).
E’ proseguito il deprezzamento della TRY che ha perso nel mese di maggio il 4% sulla scia del crollo dell’azionario locale e delle tensioni sociali che in questi giorni si stanno verificando ad Istanbul contro il governo del premier Erdogan, colpevole di aver avviato una svolta autoritaria nel paese tentando di “islamizzare” la Turchia. E’ possibile che la banca centrale e le autorità turche adottino un atteggiamento più interventista, al fine di evitare che la valuta si indebolisca ulteriormente.
Il rand sudafricano, che continua a evidenziare un quadro tecnico molto debole nei confronti del biglietto verde, da inizio mese ha perso circa il 10% sul dollaro Usa. Il tasso di cambio USD/ZAR è volato sui livelli più alti da aprile 2009 a 10,09, dopo che il pil del Sudafrica è risultato inferiore alle attese degli analisti finanziari. Nel primo trimestre del 2013 il Paese è crescito dello 0,9% su base annua, decisamente più basso rispetto a quanto si aspettavano gli analisti, ovvero a +1,6%.
Nell’ultimo meeting del 30 Maggio la Banca Centrale brasiliana all’unanimità ha votato per un rialzo dei tassi a sorpresa di 50 bp, normalmente avremmo assistito ad un apprezzamento del real se non fosse che la BCB, contrariamente a quanto dichiarato nei meeting precedenti, si è detta non interessata alla leva del cambio per combattere l’inflazione. Il driver principale che ha spinto ad alzare il tasso Selic sono state le aspettative di inflazione previste per il 2013 e 2014 sopra il target di tolleranza della Banca Centrale (4.5%), nonostante un possibile miglioramento nel secondo semestre. Al fine di evitare una svalutazione disordinata, in effetti, stanotte è stata annunciata la riduzione delle imposte sugli acquisti dall’estero di bond. E’ possibile che la BCB aspetti ulteriori conferme circa la dinamica dei prezzi prima di lasciare che la valuta si deprezzi in maniera cospicua al di fuori della banda di oscillazione precedentemente dichiarata contro dollaro (USDBRL 1.95 – 2.10). Le aspettative di crescita invece continuano a deteriorarsi, attestandosi al 3% per il 2013 dal 4% dichiarato a Novembre.
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