Come nasce e dove ci porta la crisi di Apple

L’ALIENO GENTILE

Dannato Tim Cook, ma cosa vuoi dalla mia vita? Perché le difficoltà della tua azienda devono diventare un problema mio? Apple ha annunciato una riduzione del giro d’affari: 7 miliardi di dollari di revenues previste in meno, e la Borsa Usa (e non solo) è andata in panico. Com’è successo che siamo diventati così fragili? Può venirci in soccorso la simbologia: quando l’11 settembre del 2001 due grattacieli furono colpiti da due aerei e crollarono, l’evento fu di portata storica per il simbolo che quei due grattacieli rappresentavano. Lo stesso vale oggi: Apple ha avuto una giornata da -10% in Borsa, perdendo in una seduta una capitalizzazione superiore all’intera Sony, ma sebbene sia notevole l’immagine di vedere cancellato l’equivalente di un’azienda come Sony in 24 ore, la crisi di Apple (che dal primo ottobre ha perso circa il 40% del suo valore) ha significato soprattutto perché Apple è la più grande azienda del mondo, è il simbolo della primazia americana, il totem del sogno americano: dal garage alle stelle.

Apple taglia le stime per il primo trimestre. Effetti sulle Bors

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LE DIFFICOLTÀ DELLE AZIENDE AMERICANE SONO APPENA INIZIATE

Il simbolismo dell’evento è ancora più elevato perché il messaggio che passa è che alla guida dell’ “aereo” che ha colpito la Mela morsicata c’è un signore biondo dal colorito arancione, che da un paio d’anni dimora alla Casa Bianca; le difficoltà di Apple stanno nella sua catena del valore, un bel pezzo della produzione e della vendita dei telefoni di Cupertino avviene in Cina e le politiche di Donald Trump stanno provocando seri danni. E se fa danni alla più grande, alla più forte, figuriamoci al resto: dal primo ottobre 2018 Google segna -20%, Amazon -25%, Ibm -25%, l’indice Nasdaq -20% e Micron Technologies (produttore di processori specificamente oggetto delle ritorsioni cinesi) vale la metà di quanto capitalizzava soltanto lo scorso luglio. Frutti amari di una politica economica che promette di danneggiare altre grandi aziende americane: Starbucks ha nella Cina il suo secondo mercato, mentre Ford e General Motors assegnano ai consumi cinesi ogni speranza di crescita per gli anni a venire.

MAKE CHINA SMALL AGAIN, LA VERA STELLA POLARE DI TRUMP

Nel marzo scorso Trump annunciava via Twitter che «trade wars are good and easy to win», cioé che le guerre commerciali sono un bene e facili da vincere. Si direbbe che il presidente abbia preso un granchio. Non sappiamo se grande quanto il “muro” che avrebbe dovuto essere costruito a spese del Messico e che oggi non ottiene il via libera al Congresso, ma senza dubbio di buona misura. A meno che, dietro la dialettica della guerra commerciale, non si nasconda un progetto politico più profondo. Che dietro il claim “Make America Great Again” ci sia il meno seducente ma più sincero “Make China Small Again”. L’ascesa dell’economia cinese prosegue incontrastata da anni e arriva, in prospettiva, a minacciare la supremazia americana, mettendo gli Usa nella condizione di voler allontanare l’inevitabile, frenando la crescita cinese a qualunque costo, inclusa una recessione.

IL NODO FED: COSÍ IL DOLLARO PERDERÀ TERRENO

Se questo è lo scenario, la speranza che le difficoltà delle grandi imprese americane possano far recedere Trump dalla sua Trade war sono prossime allo zero, piuttosto, nell’inasprirsi della crisi il presidente americano tuonerà contro la Fed pretendendo un intervento che, se i mercati andranno davvero male, dovrà – anche se malvolentieri – arrivare. La percezione di minore indipendenza della Fed da Washington toglierà fiducia al dollaro, facendogli perdere il terreno accumulato nell’ultimo anno. Un pannicello caldo per l’economia americana che, con un dollaro più debole, troverà un aiuto alle esportazioni. Il crollo di Apple in Borsa, secondo alcuni il campanello d’allarme che costringerà la Casa Bianca a cambiare politica, rischia dunque di essere – al contrario – l’inizio della concretizzazione di una richiesta che da tempo l’opinione pubblica sta elevando: il ritorno della supremazia della politica sull’economia. Bisogna stare attenti a ciò che si desidera, si rischia di ottenerlo.

Lettera 43

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