di Rossella Savojardo
Dalla pandemia alla crisi immobiliare, gli analisti ritengono che un altro punto di debolezza della secondo economia globale sia anche la disoccupazione giovanile
La Cina eviterà la recessione sia quest’anno (+3,5% il pil) che il prossimo (+4,5%), con un’inflazione che rispetto ai paesi occidentali sarà bassa (2,8% nel 2022 e 1,9% nel 2023). Ma la forza dell’economia del Dragone nell’ultimo periodo si è affievolita e le cause sembrano essere almeno tre secondo gli esperti.
La pandemia e la politica zero-Covid
I casi di Covid-19 in Cina sono hanno segnato un nuovo aumento a oltre 31 mila contagi, un record da inizio pandemia. Questo ha di nuovo portato questa settimana a lockdown generalizzati in tutto il Paese con la chiusura anche di alcuni importanti centri produttivi. Jian Shi Cortesi, investiment director Asia e Cina Equities di Gam, spiega che “il governo cinese si trova di fronte a un compromesso tra i decessi causati dal Covid e il rallentamento dell’economia. Grazie al successo delle misure di contenimento adottate in Cina negli ultimi due anni, meno dello 0,1% dei cinesi è stato infettato dal Covid e la Cina ha registrato soltanto poche migliaia di decessi (rispetto a 1 milione registrato negli Usa)”.
Ciò, secondo Shi Cortesi, probabilmente rende la popolazione cinese altamente vulnerabile al Covid rispetto ai Paesi che stanno raggiungendo l’immunità di gregge. Il segmento più vulnerabile della popolazione cinese non è propenso a farsi vaccinare. In futuro probabilmente, per l’esperto, non si assisterà a un cambiamento immediato della politica cinese di zero Covid. Tuttavia, “le restrizioni sono sempre più pratiche. I lockdown generalizzati sono ora più rari. Si assiste invece a chiusure più mirate al fine di bilanciare le restrizioni Covid e l’impatto economico”.
Evergrande e la crisi immobiliare
Non solo Covid. In Cina a vacillare è anche il settore immobiliare anche a causa dei pericoli derivanti dal debito in sofferenza. “Tra il 2010 e il 2020 il mercato immobiliare in Cina era solido, con prezzi in aumento del 60% nelle principali cinque delle 70 città del Paese. Ciò ha portato alcuni acquirenti di case a lamentarsi dell’accessibilità economica degli immobili e il governo si è preoccupato che ciò potesse portare a una bolla immobiliare”, continua a spiegare Shi, evidenziando che per questo nel 2020 e nel 2021, alcune città in Cina hanno inasprito le regole per l’acquisto di un’abitazione nel tentativo di raffreddare il mercato immobiliare. Nel frattempo, il governo ha ordinato alle banche di rafforzare i criteri di erogazione dei prestiti alle società di sviluppo immobiliare fortemente indebitate. L’insieme di tali provvedimenti ha creato qualche problema di liquidità alle società di sviluppo immobiliare ad alto rischio, che, in qualche caso, sono risultate insolventi.
“I costruttori in difficoltà hanno interrotto la realizzazione di alcuni progetti. Il sentiment è diventato piuttosto negativo per il settore, con conseguente inasprimento delle condizioni finanziarie”. Per stabilizzare la situazione immobiliare Pechino ha messo in atto politiche di sostegno sempre più incisive, ed è proprio guardando a queste ultime che l’esperto di Gam vede una probabilità molto bassa che il rallentamento del settore immobiliare porti a rischi sistematici nel sistema finanziario cinese. “Tuttavia”, continua, “è probabile che gli anni del boom del settore immobiliare siano ormai alle spalle”. Secondo alcuni esperti infatti, le vendite annuali di nuove case dovrebbero scendere a 1-1,2 miliardi di mq nei prossimi anni, rispetto agli 1,6 miliardi di mq del 2021. Ciò costituirà un freno al tasso di crescita del prodotto interno lordo del Dragone.
Il problema della Cina è la disoccupazione giovanile?
Quando alla disoccupazione giovanile strutturalmente alta nel Paese? Ad accendere un faro su questo punto sono gli analisti di Credit Suisse, i quali ricordano che quando la forza lavoro di un paese si sta riducendo, come avviene attualmente in Cina, avere un alto tasso di disoccupazione giovanile aggrava la resistenza alla crescita del pil.
“I giovani di età compresa tra 16 e 24 anni hanno una maggiore propensione marginale a consumare”, spiegano in primo luogo, “per ogni dato livello di tasso di disoccupazione globale, un tasso di disoccupazione giovanile più elevato ha quindi proporzionalmente un effetto negativo maggiore sulla crescita dei consumi”.
Nel medio termine, da Credit Suisse ritengono dunque che la disoccupazione giovanile strutturalmente elevata si tradurrà in un minore potenziale di crescita, dato che questa riduce l’effettivo input di lavoro nell’economia ed esercita anche una pressione al ribasso sulla crescita dei salari. «Sulla base della nostra valutazione di vari fattori come i tassi di progresso tecnologico e la contrazione della forza lavoro, prevediamo una crescita del reddito disponibile pro capite in media intorno al 4,2% nei prossimi cinque anni, un netto calo rispetto al range dell’8-9% prima della pandemia», sottolineando dalla banca elvetica, “un tale calo della crescita tendenziale dovrebbe pertanto rimanere un vento contrario alla crescita dei consumi delle famiglie”.
Da Milano Finanza
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