Se partecipi ad un dibattito fra sostenitori del si e del no alla riforma costituzionale, uno degli argomenti che viene sempre portato dai sostenitori del si è che se prevalesse il no, gli aumenti di capitale delle banche sarebbero bloccati per mancanza di investitori e i Btp perderebbero valore, con lo spread che tornerebbe ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi. Una volta c’era la paura del comunismo, oggi c’è quella dello spread. Vediamo se tutto questo ha un fondamento: oggi lo spread è salito oltre 170 e il rendimento dei titoli decennali è raddoppiato dall’1% al 2% in tre mesi. Una ragione è il rialzo delle scadenze lunghe in tutto il mondo, in particolare dopo l’elezione di Trump ci si attende una maggior spesa, più debito e più inflazione, conseguenza di ciò sarà una politica più restrittiva delle banche centrali, con la fine della discesa dei tassi. Vi è poi l’idea che il QE della Bce, non potrà continuare all’infinito, anche se l’inflazione nell’area euro è ferma allo 0,8%. Se le banche centrali passano al Tapering, i mercati perduto l’ombrello, tornano a valutare il rischio Italia, dove il Pil non raggiunge l’1% e il debito continua a salire. Ora sappiamo tutti che certi debiti non saranno restituiti, ma il mercato valuta la sostenibilità degli interessi, un aumento di questi avrebbe ripercussioni anche sulla crescita pur anemica del nostro Pil. La politica del rigore non va più di moda e abbiamo ripreso ad alzare le pensioni a ricchi e poveri, non tutte le pensioni basse sono dei poveri, anzi spesso chi se n’è andato prima, poteva farlo e quindi non era povero, ma la politica della cicala dura una sola estate e ora siamo in autunno. Quindi il rischio Italia è tornato a prescindere dal risultato referendario. Ora non si può negare che la vittoria del no porterebbe ad una momentanea ripresa dello spread e ad una caduta dei corsi azionari delle banche, ma la colpa non è della Costituzione, ma di chi ci ha portato in questa situazione, cioè la politica e i vari governi, che hanno aumentato costantemente il debito e protetto la malagestione delle banche, quasi tutte legate alla politica. Renzi poteva tagliare la spesa pubblica e ricorrere come gli spagnoli al fondo di salvataggio bancario, entrambe le cose avrebbero rassicurato i mercati ben più della riforma costituzionale, ma avrebbero interrotto la sua narrazione, meglio tagliarsi un braccio domani che un dito oggi. Il paradosso è che noi finanziamo il salvataggio delle banche spagnole e scarichiamo sette miliardi di euro sulle noste banche “sane”, per nascondere la spazzatura di Etruria ed Mps, banche legate o possedute dal governo. Certo la democrazia può avere dei costi, ma una volta passato il referendum, il mercato tornerà a guardare ai fondamentali e quelli non sono per niente buoni. Con questa Costituzione abbiamo vinto l’Oscar della lira e abbiamo avuto il miracolo economico, con questa Costituzione stiamo vincendo l’Oscar del debito, forse il problema non è la Costituzione ma la classe politica, quella dovremmo cambiare! Molti amici mi dicono: se cade Renzi dopo ci sono i grillini, io credo che dopo Renzi, in caso vincesse il no, ci sarebbe sempre Renzi o Franceschini con gli stessi numeri e mi domando se è meglio uno scossone o un declino senza fine? Il mondo giudica l’azione dei nostri governi, come si vede già ora, non le riforme della Costituzione, in Italia non c’è la paralisi legislativa, anzi ci sono troppe leggi e fatte male. Per questo ritengo che non dobbiamo sottostare ai ricatti di JP Morgan o delle agenzie di rating, ma votare con serena coscienza, il Sì avrebbe migliori ragioni da spendere, anziché aggrapparsi alla paura dei mercati. Il suo problema dentro e fuori è proprio l’azione del governo e l’aver chiamato gli italiani a votare per un uomo, Renzi e per una nuova stagione di potere. Auguriamo al premier ogni successo, ricordando che su quella strada sono caduti personaggi come De Gaulle, nonché il più modesto Cameron. Vogliamo ricordargli che anche in caso di successo, i numeri e le scelte saranno impegnative, come furono quelle del bistrattato governo Monti.
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