Belpaese terz’ultimo nella classifica Morningstar

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L’ANALISI Costi, trasparenza e distribuzione sono le criticità principali dell’industria del risparmio gestito

Il ‘Global Fund Investor Experience Report’ assegna rating C- all’Italia

L’industria del risparmio gestito in Italia sembra non conoscere sosta nella raccolta e sembra dipingere uno scenario in cui il comune risparmiatore è oggi diventato un evoluto investitore capace di indirizzare con sempre e maggior disinvoltura i propri risparmi verso forme di investimento cosiddette collettive e di portafoglio professionali. Un trend le cui cause sono ormai ben note ma i cui effetti sono gli oltre 1.730 miliardi di euro allocati in tali strumenti, un vero boom che largo circa genera 20-25 miliardi l’anno di ricavi al sistema.

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Un business che periodicamente è messo però sotto osservazioni da analisi indipendenti quali l’ormai più che ventennale rapporto annuale “Indagine sui Fondi e Sicav Italiani” dell’ufficio studi Mediobanca o il più recente e biennale “Morningstar Global Fund Investor Experience”. Quest’ultimo, appena pubblicato e consultabile sul sito americano della società Morningstar, leader mondiale nell’analisi, ricerca e rating dei prodotti gestiti, traccia una fotografia non certamente brillante per il nostro paese in quanto lo posiziona al terz’ultimo posto di una speciale classifica elaborata su 25 paesi e basata su quattro categorie quali regolamentazione e tassazione, grado di trasparenza, costi, distribuzione e media. Il giudizio attribuito all’Italia è stato C- ovvero poco sopra al peggior voto assoluto dato alla Cina con D+ e ben lontano dai paesi in cima alla graduatoria quali gli Stati Uniti. Dal report emerge che 3 dei 4 parametri analizzati sono sotto la media e solo quello relativo alla tassazione è allineato a molti altri Stati. Partendo perciò dall’elemento meno negativo sembra che il giudizio attribuito sia dovuto per lo più dalla diversa tassazione dei titoli di Stato italiani e cosiddetti “white list”, strumenti ancora tassati al 12,50% rispetto al regime del 26% generalmente applicato ed alle agevolazioni fiscali presenti sui fondi pensioni, seppur queste ultime siano da poco state ritoccate al ribasso. Gli elementi di maggior criticità risiedono invece nella voce costi e trasparenza. Il primo aspetto è facilmente comprensibile dall’osservazione dell’allegata tabella ovvero dall’enorme gap di commissioni e spese caricate in Italia rispetto agli Stati Uniti. Il costo medio nelle varie macro categorie dei fondi è fino a 2 o 3 volte superiore, fatta eccezione per gli strumenti di liquidità (Money Market). In particolar modo nel report viene posto l’accento sull’elevato addebito delle commissioni di performance e questo perché in genere non c’è alcuna riduzione o quantomeno compensazione in caso di sottoperformance dei fondi rispetto ai mercati in cui investono.

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Il giudizio complessivo rimane basso anche per la trasparenza nei dati di tali prodotti e questo perché la legge impone l’obbligatorietà della sola rendicontazione semestrale ed annuale, un aspetto che consente a quasi il 40% dei prodotti di non fornire ad esempio un’analisi mensile puntuale e completa sui titoli detenuti. Infine e seppur l’Italia sia in linea con le direttive comunitarie inerenti le regole di distribuzione, appare ancora evidente una situazione in cui l’offerta è guidata dalla domanda ovvero dagli intermediari finanziari classici quali banche, assicurazioni e reti di promotori. Nel report emerge infatti che più della metà e fino all’80% dei prodotti venduti ai risparmiatori siano da ricondurre ai fondi della casa e ciò nonostante la decantata offerta multibrand. Il quadro complessivo offerto da Morningstar non è una novità ed è ben noto agli addetti ai lavori ma il ripeterlo puntualmente ad ogni nuova indagine è forse uno dei modi in cui i media e tale rubrica possono aiutare ignari e spesso poco attenti risparmiatori nella gestione e tutela dei loro risparmi e questo perché la stessa indagine evidenzia come i mass media siano più focalizzati nell’analisi dei grandi fondi di punta (leggi performance) piuttosto che sull’educazione e la consapevolezza dei loro lettori, un elemento di ulteriore riprova della lunga strada che l’Italia ha da percorrere per poter ambire ai vertici delle classifiche internazionali.

FOCUS ‘Meglio assumersi rischi in grado di misurare, piuttosto che misurare i rischi che si assume’

Diversificare in strumenti gestiti può aiutare ma bisogna essere consapevoli del contesto attuale

La diversificazione è indubbiamente uno di quei concetti che tutti i risparmiatori si saranno sentiti spiegare almeno una volta nella vita dai loro referenti per gli investimenti. Il classico detto “non mettere tutte le uova nello stesso paniere” è ovviamente molto rassicurante ed intuitivo ed ha portato e sta portando tanti investitori ad acquistare sempre più strumenti gestiti nella speranza di ritrovare i rendimenti perduti, con la “rassicurazione” di aver così adeguatamente diversificato il portafoglio e quindi il rischio. Il problema di un tale e corretto concetto matematico si scontra però con un elemento soggettivo quale l’emotività del risparmiatore e l’artificiale mercato dei capitali finora creato, guidato e controllato dalle politiche delle banche centrali. Politiche che hanno generato nell’ultimo biennio un effetto ricchezza rilevante su quasi tutte le asset class ed in particolar modo sulle obbligazioni e le azioni. Se si osserva l’allegata matrice di rischio/rendimento appare evidente come il rialzo dei prezzi e l’azzeramento dei tassi abbia schiacciato enormemente i rendimenti attesi e dunque reso davvero arduo per non dire impossibile conseguire guadagni senza rischi spropositati.

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Il fatto che però è spesso taciuto ai risparmiatori o quantomeno “edulcorato” dietro l’idea di diversificazione è il vero rischio di ritorno di volatilità estrema ed improvvisa, semmai simultaneamente correlata tra le varie asset class. Un concetto che gli addetti ai lavori chiamano “cigno nero” ovvero un evento imprevedibile in grado di far saltare tali schemi e creare perdite considerevoli. Episodi che sui mercati accadono più frequentemente di quanto si pensi e di quanto i modelli di controllo del rischio possono stimare. Modelli che peraltro nell’ultimo lustro sono stati fortemente influenzati nei loro calcoli dalla recente e favorevole serie storica di “facili” performance con bassa volatilità. Un “vincere facile” apparentemente garantito dalle banche centrali ma che oggi però, dopo il tandem all’unisono nelle politiche monetarie planetarie, sembra non essere più così scontato o comunque non più così controllabile in un contesto di economia stagnante, di dinamiche geo-politiche in fermento e di flussi di capitali sempre più a leva ed alla ricerca di rendimenti non più facilmente conseguibili. La sensazione “umana” e non “meccanica” dei modelli d’investimento robotizzati è quella di essere in attesa di un evento in grado di far saltare l’apparente rete di protezione finora garantita. E che sia l’uscita della Grecia dall’Euro o il default dell’Ucraina, le tensioni politiche in Medio Oriente ed in Turchia, oltre a quelle tra USA-UE e Russia o il crollo delle materie prime ed il deciso rallentamento delle economie emergenti o il rischio di un rialzo dei tassi inaspettato USA ed il possibile effetto sui paesi più esposti al dollaro o la bolla sul mercato azionario cinese o chissà cos’altro, visto l’enorme casinò di derivati in circolazione ed il cui elefante nella stanza, in termini di esposizione, è la Deutsche Bank e quindi la prima banca tedesca nel cuore dell’Europa, è forse utile rispolverare il pensiero espresso da colui che ha reso popolare il significato di “cigno nero”. Secondo Nassim Taleb è “molto più saggio assumersi rischi che si è in grado di misurare, piuttosto che misurare i rischi che ci si assume” e dunque, nonostante la sempre più elevata ingegnerizzazione dei prodotti finanziari e la più ampia diversificazione conseguibile con i fondi attivi o passivi è sempre buona regolare misura la propria disponibilità alla perdita in termini assoluti e personali, a maggior ragione visto gli ultimi episodi di elevata volatilità su molte asset class e l’anomala “tranquillità” finora espressa dell’azionario.

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L’autore della rubrica – “Risparmio, i conti in tasca” pubblicata su www.lanuovaprimapagina.it , è a cura del nostro consulente RUBENS LIGABUE, professionista certificato EFA – European Financial Advisor, associato SIAT – Società Italiana Analisi Tecnica, iscritto all’Albo Unico Nazionale dei Promotori Finanziari. Per domande e chiarimenti potete scrivere a: info@rubensligabue.com

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