1) Bp. Il titolo Uk, che tratta 18,3 volte l’utile 2016 e 9,1 quello del 2017, ha un rendimento della cedola stimato 7,7% nel 2016 e 7,5% nel 2017. Il rating è overweight (sovrappesare). Il downstream di Bp rappresenta il 24% del capitale investito e nel 2015 ha generato circa 8 miliardi di dollari di cash flow. Sebbene gli analisti si aspettino un minore contributo da questo business nel 2016-2018, la trasformazione materiale del portafoglio downstream avvenuta nel corso degli ultimi 10 anni implica che la generazione di cash flow, e soprattutto di free cash flow, resterà comunque significativa. Il focus del management è sull’efficienza, visto l’obiettivo di 2,5 miliardi di dollari miglioramenti nel 2017 rispetto al 2014.
2) Royal Dutch Shell. Il rating è overweight (sovrappesare). Il dividend yield (azioni di classe A) è 7,8% nel 2016 e 7,6% nel 2017, mentre il p/e (prezzo/utile) crolla da 20,2 a 10,5. Quando Ben Van Beurden è diventato ceo all’inizio del 2014, il business Oil Products è stato identificato come un’area in cui erano necessari molti miglioramenti, che sono stati in seguito realizzati. Attualmente il downstream, compresi i prodotti chimici, pesa per il 36% sul capitale investito e nel 2015 ha generato 13 miliardi di dollari di cash flow, superiori al target di medio termine indicato dalla società. Come nel caso di Bp, anche Rds ha ristrutturato questo business, sebbene in misura minore. La capacità di raffinazione è scesa del 20% negli ultimi 10 anni, ma rimangono aree di scarsa efficienza.
3) Total . Rating neutrale (equalweight). Il titolo, che viene scambiato 16,1 volte l’utile 2016 e 11,1 quello del 2017, ha un rendimento della cedola del 5,6% sia nel 2016 che nel 2017. Il downstream rappresenta il 15% del capitale investito e nel 2015 ha generato 7,9 miliardi di dollari di cash flow (prima dei movimenti di capitale circolante). La capacità totale di raffinazione è in calo del 17% negli ultimi 10 anni e, aspetto ancora più importante, la capacità europea è in riduzione del 27%, parzialmente compensata dalla partecipazione della società nella nuova raffineria Jubail. Dal 2000 in media il 40% degli utili del gruppo deriva dal business Marketing & Supply e il resto da Refining & Chemicals. Il downstream è organizzato in sei piattaforme integrate (due in Europa, una negli Stati Uniti, una in Asia e due in Medio Oriente). Queste piattaforme dovrebbero rappresentare 90% dei risultati dei business raffinazione e petrolchimica entro il 2017.
4) Eni . Il rating è neutrale (equalweight). Il dividend yield è 5,8% sia nel 2016 che nel 2017, mentre il p/e (prezzo/utile) 2017 è 19,2. Eni ha una divisione downstream inferiore ai concorrenti, con meno del 10% di capitale investito nel business. Nel 2016 gli analisti si aspettano un Roace (redditività media del capitale impiegato) nel downstream del 5,5%, che rappresenta un netto miglioramento dai rendimenti negativi registrati nel 2010, ma è notevolmente al di sotto della media del settore (15%). I progressi sono stati finora trainati in parte dalla situazione del mercato e in parte dalla riduzione della capacità di raffinazione e dei costi. Il punto di breakeven dei margini di raffinazione del gruppo è attualmente intorno a 5 dollari al barile, ma per restare competitivo l’obiettivo di Eni è quello di scendere a 3 dollari al barile entro il 2018.
5) Repsol. Rating overweight (sovrappesare). Il titolo, che viene scambiato 10,6 volte l’utile 2016 e 8,7 quello del 2017, ha un rendimento della cedola del 5,2% nel 2016 e del 6,9% nel 2017. Molto è cambiato nel corso dell’anno da quando Repsol ha chiuso l’acquisizione di Talisman, ma il punto forza della società, vale a dire il business del downstream, non è cambiato e risulta sottovalutato dal mercato. Il downstream rappresenta il 24% del capitale impiegato dal gruppo anche dopo l’acquisizione e negli ultimi cinque trimestri ha generato l’80% del flusso di cassa. Repsol ha investito pesantemente nel downstream nel periodo 2006-2011, ristrutturando le raffinerie di Bilbao e Cartagena.